Nel 1691, poco dopo essere stato nominato dalla regina Mary giardiniere reale e curatore del giardino di Hampton Court, Leonard Plukenet dà alle stampe a proprie spese il primo volume di Phytographia; è l'atto di nascita di uno straordinario corpus di immagini di rarità botaniche provenienti da tutto il mondo, che arriverà a comprendere oltre 2700 figure. Con centinaia di specie inedite o almeno mai raffigurate in precedenza, è un'opera di riferimento imprescindibile per i botanici successivi, in particolare Linneo che volle dedicare a questo botanico "unico tra tutti" una pianta dai fiori altrettanto singolari, Plukenetia (Euphorbiaceae). Collezionista ed esperto di piante esotiche In Historical and Biographical Sketches of the Progress of Botany (1790) Richard Pulteney inizia il suo profilo di Leonard Plukenet (1642-1706) lamentando come gli sia toccato il destino comune a molti grandi uomini di cadere nell'oblio poco dopo la morte. Duecento anni dopo, la situazione non sembra cambiata di molto; al contrario degli amici-rivali Hans Sloane e James Petiver, la cui opera è ben nota e oggetto di ampi studi, Plukenet continua a ricevere un'attenzione marginale, né è disponibile uno studio complessivo del suo stesso capolavoro Phytographia. Eppure si tratta di un'opera notevolissima, tale da guadagnare al suo autore l'immensa stima di Linneo che lo definì "un botanico diverso da tutti gli altri". Poco conosciamo della sua vita fino ai quarant'anni. Nativo di Westminster, Plukenet dovette frequentare la Westminster School e poi forse l'università di Cambridge dove avrebbe stretto amicizia con William Courten e Robert Uvedale; la sua immatricolazione non risulta, così come non compare tra i laureati. Poiché esercitava la medicina e si firmava MD Medical Doctor, si suppone che si sia laureato all'estero. In ogni caso negli anni '80 viveva a Londra ed era di condizione agiata, anche se non sappiamo se cioè fosse dovuto al successo professionale o a qualche eredità. Il suo nome incomincia a emergere intorno alla metà di quel decennio; è citato in una lettera di John Ray a Hans Sloane (1684) e nel 1688, insieme a William Courten, Samuel Doody e James Petiver, è calorosamente ringraziato da Ray per l'assistenza prestata per il secondo volume di Historia Plantarum. Gli uomini citati sono alcuni degli animatori del Temple Coffee House Botanical Club, che a quanto pare cominciò a riunirsi nel 1689, sia in un caffè sia nella vicina casa di Courten a Middle Temple. Era un gruppo eterogeneo di appassionati e professionisti: Courten era un mercante che aveva ereditato dalla famiglia una intricata situazione patrimoniale e legami con le Barbados e altre colonie, che seppe sfruttare per creare un ammirato gabinetto di curiosità; Doody e Petiver erano membri della gilda dei farmacisti, botanici ben più che dilettanti e uno dopo l'altro curatori del Chelsea Physic Garden; Plukenet come sappiamo era medico. Tutti erano appassionati collezionisti. Anche se non conosciamo la cronologia e la stratificazione delle sue collezioni, all'epoca Plukenet doveva già essersi fatta una solida fama di esperto di piante esotiche, che si procurava attraverso una rete internazionale di corrispondenti, coltivava nel giardino di St Margaret’s Lane e pressava in un erbario sempre più voluminoso. Come si deduce dalla profonda conoscenza della letteratura botanica che emerge dalle sue opere, doveva anche possedere una fornita biblioteca. Furono certo queste due competenze, quella di botanico autodidatta ma di grande preparazione e quello di esperto di esotiche, a convincere William e Mary (ovvero Guglielmo III d'Orange e Maria II Stuart) a nominarlo sovrintendente dei giardini reali di Hampton Court. I due sposi, divenuti sovrani d'Inghilterra e Scozia in seguito alla Gloriosa Rivoluzione, condividevano la passione per i giardini e le piante esotiche (quelle stesse che attraverso le compagnie mercantili olandesi affluivano nei Paesi Bassi dall'Asia, dal Sudafrica, dai Caraibi e dal Suriname) e nei palazzi olandesi di Honselaarsdijk e Het Loo possedevano grandi limonaie e serre riscaldate dove d'inverno venivano ricoverate le loro grandi collezioni di agrumi e esotiche non rustiche. Poco dopo l'ascesa al trono, William incaricò Christopher Wren di ristrutturare palazzo e giardino di Hampton Court; per il godimento della Regina fu creato un giardino privato in stile barocco olandese con intricati parterre a ramages e sentieri in brecciolino colorato, una fontana e un pergolato; il vecchio stagno Tudor venne prosciugato per ospitare tre nuovi giardini murati: il quadrato dei fiori, quello delle Primula auricula (una delle piante preferite della sovrana) e quello degli agrumi (piante "dinastiche" degli Orange). In ciascuno di essi il carpentiere olandese Hendrick Floris costruì una serra riscaldata lunga circa 16 metri, tra le prime e le più perfette che si fossero viste in Inghilterra. D'inverno ospitavano la splendida collezione di esotiche, che invece nella bella stagione erano esposte all'aperto. Era la più ricca e raffinata del paese, con limoni, aranci e altri agrumi, cacti e succulente, palme, piante di caffè, dracene, agave, aloe, yucche, molte bulbose. Parecchie, soprattutto le sudafricane, erano delle novità assolute. A presiedere questa meraviglia furono chiamati come capo giardiniere George London (che abbiamo già incontrato alle dipendenze del vescovo Compton a Fulham) e come sovrintendente appunto Leonard Plukenet, nominato Queen's Botanist o anche Royal Professor of Botany (presumibilmente un titolo onorifico che non comportava insegnamento). I due, ovviamente, si conoscevano già, essendo entrambi assidui membri del Temple Coffee House Botanical Club, come lo stesso vescovo Compton. L'incarico permise sicuramente a Plukenet di incrementare le sue collezioni, accedendo alle piante coltivate sia a Hampton Court sia nei giardini di altri nobili e appassionati, come il braccio destro di Gugliemo III Hans William Bentnick, il primo conte di Portland, oppure la contessa di Beaufort. Gli diede anche il prestigio internazionale per corrispondere alla pari con colleghi di altri paesi, come Paul Hermann prefetto dell'orto di Leida (dove spedì London a fare incetta di piante) o Giovanni Macchion, giardiniere dell'orto di Padova. Un immenso corpus di immagini Certamente sulla base di un lavoro iniziato da tempo, già nel 1691 Plukenet fu in grado di dare alle stampe - a proprie spese - il primo volume di Phytographia, sive stirpium illustriorum et minus cognitorum icones, che, se non si presentava come un catalogo del giardino reale, ne condivideva lo spirito. Composto unicamente di figure (dette tavole fitografiche) e dedicato sia al "venerabile sommo mecenate di tutti i botanofili", ovvero il vescovo Compton, sia al re Guglielmo III, era essenzialmente una vetrina cartacea delle piante più nuove ed esotiche, anche se non mancava qualche specie locale. John Ray lo recensì con favore per le Philosophical Transactions della Royal Society, sottolineando che tra le centinaia di piante di cui "il colto e ingegnoso autore" dava la figura e la didascalia, moltissime in precedenza non erano state né descritte né raffigurate, altre descritte ma mai raffigurate o viceversa. Certo, il testo era limitato ai "titoli", ovvero ai nomi polinomiali, ma questi ultimi contenevano note caratteristiche sufficienti per distinguere una specie dall'altra. A soddisfare i desideri dei lettori, curiosità come l'Artemisia usata dai cinesi per la moxibustione, l'altrettanto celebre radice di Ginseng, o la miracolosa "erba dei serpenti" della Virginia (oggi Aristolochia virginiana), efficace antidoto contro il morso dei serpenti. Per comprendere il significato culturale e in un certo senso pedagogico di un'opera senza precedenti in Inghilterra, va sottolineato che non si trattava di un maestoso in folio pensato per fare bella figura nelle biblioteche dei ricchi, ma di un più maneggevole ed economico in quarto destinato allo studio e alla consultazione. Per ottimizzare lo spazio e abbattere i costi, ciascuna delle 72 tavole calcografiche non raffigura una singola pianta a piena pagina, ma da un minimo di tre a un massimo di sei piante, disegnate in modo essenziale ma ben riconoscibile; dato che spesso i disegni furono tratti non da piante vive ma da esemplari d'erbario, non sempre sono dotate di fiori e frutti. Dopo il primo volume, ne seguirono a ritmo serrato altri tre: la seconda parte nello stesso 1691 (tav. 73-120), la terza parte nel 1692 (tav, 121-250) e l'immensa quarta parte (tav. 122-328) nel 1696; insieme a quest'ultima uscì Almagestum botanicum, sive, Phytographiae Plukenetianae Onomasticon, Methodo Synthetico digestum, un volume di 400 pagine con le descrizioni, i nomi e i sinonimi di ben 6000 piante; per quelle raffigurate in Phytographia, Plukenet aggiunse anche le referenze bibliografiche e molte note critiche, che dimostrano una conoscenza approfondita della precedente letteratura botanica e un esame molto serio per giungere a identificazioni corrette. Impressionante per le dimensioni e l'erudizione, il lavoro di Plukenet si segnala anche per la notevole accuratezza delle descrizioni. Gli sono estranee invece preoccupazioni tassonomiche che vadano al di là di genere e specie: tanto nella Phytographia quanto nel Almagestum le specie, designate con un nome descrizione polinomio che ha come primo termine il nome generico, sono disposte infatti in ordine alfabetico. D'altra parte, le immagini di specie diverse dello stesso genere, pubblicate una di fianco all'altra nella medesima pagina, sono di per se stesse uno strumento di identificazione di straordinaria efficacia, che oggi ci è familiare, ma era all'epoca una novità assoluta. Nel 1700 seguì ancora un'appendice, Almagesti botanici mantissa, con ulteriori 25 tavole, altri sinonimi e note e gli indici completi delle due opere. Nel 1705, un anno prima della morte, Plukenet pubblicò infine Amaltheum botanicum (ovvero "Cornucopia botanica") con le tavole e le descrizioni di un centinaio di specie di origine per lo più cinese o indiana; per quest'ultimo volume, avendo evidentemente esaurito i fondi, si rassegnò ad indire una pubblica sottoscrizione. Tutti insieme, questi libri di Plukenet vanno a costituire un enorme corpus di 2740 figure, di fondamentale importanza per documentare la prima introduzione di nuove specie dalle Americhe, dal Sudafrica e dall'Asia orientale. Benché di piccole dimensioni e di qualità diseguale (furono affidate ad artisti diversi, tra cui spicca l'incisore fiammingo Michael Vandergucht), testi e illustrazioni divennero un riferimento imprescindibile per i botanici successivi. Morto nel 1706, Plukenet lasciò un immenso erbario di oltre 8000 esemplari che fu venduto dalla famiglia al vescovo di Norwich, uno dei sottoscrittori dell'Amaltheum. Qualche anno dopo, confluì anch'esso nell'erbario di Sloane, così come una collezione di circa 1500 insetti pressati e incollati su carta. Come altri collezionisti inglesi del suo tempo, Plukenet si servì di una vasta rete di corrispondenti e fornitori, che in parte coincide con quella di Petiver, di cui facevano parte botanici, giardinieri, collezionisti e appassionati, mercanti dediti al commercio internazionale, residenti nelle colonie nordamericane e un buon numero di medici e chirurghi al servizio della compagnia delle Indie. Tra i nomi più significativi, per le colonie americane spicca John Banister, di cui, con il permesso del vescovo Compton, Plukenet pubblicò diverse tavole, ma importanti invii si devono anche al medico tedesco David Krieg che visitò il Maryland; le numerose piante del Capo, punto di passaggio obbligato per le navi dirette nelle Indie orientali, si devono per lo più a chirurghi navali come Alexander Brown, che fece raccolte anche a Sant'Elena, o Patrick Adair che raccolse anche nelle Comore. Ci portano invece rispettivamente in India e in Cina le raccolte di Samuel Browne e James Cunnighame, soggetto principale di Amaltheum botanicum. Il primo, chirurgo del Fort St George (oggi Madras), raccolse nel Malabar e corrispose con Petiver e Ray, che mise in contatto con Kamel; il secondo, medico al servizio della Compagnia delle Indie nella factory di Chusan, fu il primo europeo a fare significative raccolte in Cina. Un botanico e una pianta senza uguali Prima di concludere, vale la pena di approfondire le relazioni con Petiver, Sloane e Ray che forse spiegano perché, nonostante l'enorme influenza sui botanici successivi, il nome di Plukenet abbia finito per essere dimenticato. I quattro facevano parte degli stessi ambienti, erano assidui del Temple Coffee House Botanical Club, si scambiavano fornitori ed esemplari. All'inizio erano indubbiamente amici. In Almagestum botanicum, Plukenet ringrazia ripetutamente Petiver e Sloane per avergli procurato esemplari rari; come abbiamo visto, la recensione di Ray alla prima parte di Phytographia è elogiativa. Eppure, qualcosa si guastò. Come collezionisti, Plukenet, Petiver e Sloane era naturalmente rivali, dal momento che ciascuno avrebbe voluto gloriarsi della collezione più vasta e ricca di rarità. In questa specie di gara, facendo capo alla medesima rete di raccoglitori, non devono essere mancati gli sgarbi. Per Petiver lo fu senza dubbio la pubblicazione stessa delle piante dei suoi corrispondenti Browne e Cunningham in Amaltheum botanicum, che privò della primogenitura i suoi articoli per la Royal Society. Ad aprire le ostilità fu per altro Plukenet, che nella Mantissa non risparmiò le critiche né a Petiver né alla Storia naturale della Giamaica di Sloane, definita "un caos". Ray, che all'epoca si proclamava ancora amico di Plukenet, cercò di fare da paciere, ma dovette arrendersi di fronte al suo pessimo carattere che così definisce in una lettera a Sloane: "E' un uomo pieno di puntiglio, piuttosto presuntuoso e supponente, incapace di accettare consigli". Se Ray e Sloane, signorilmente, si limitarono ad esprimere le loro riserve anche scientifiche nella corrispondenza privata, Petiver lo fece in pubblico. Nel suo articolo sulle piante indiane di Browne, pubblicato sulle Philosophical Transactions, lo colpisce nell'orgoglio: "Quel celebratissimo botanico, il dr. Plukenet, può ben vantarsi delle sue innumerevoli specie di piante, visto che le moltiplica, come ha fatto con questa, rendendola tre erbe diverse". Ora ci è chiaro perché il "Botanico della Regina" non abbia mai fatto parte della Royal Society e perché la sua opera sia stata apprezzata più nel continente che in patria. Tra i suoi più fervidi ammiratori vi fu certamente Linneo, che fece larghissimo uso del corpus di Plukenet (che egli conosceva in un'edizione complessiva, pubblicata nel 1720) citandolo in quasi pagina di Species plantarum. In Critica botanica, dedicandogli il genere Plukenetia, ne tesse un vero encomio: "La Plukenetia ha una struttura dei fiori unica tra le piante, come lo è Plukenet tra i botanici. Egli preferì le piante a ogni ricchezza; non risparmiò nulla per illustrare quelle rare per le quali ardeva più di ogni altro". Plukenetia L. (famiglia Euphorbiaceae) comprende una ventina di specie di liane e rampicanti volubili diffuse nelle aree tropicali di tutto il mondo. I fiori che avevano stupito Linneo sono curiosi sia per la struttura (privi di petali hanno un calice globoso che si apre in quattro lobi valvati), sia per la disposizione, con uno o due fiori femminili alla base e molti fiori maschili disposti lungo l'asse del racemo. Curiosi anche i frutti, con quattro lobi angolati o alati, che si aprono in quattro cocci bivalvi che contengono un seme. Sono proprio i semi a costituire il maggiore punto di interesse di diverse specie, compresa la più nota, P. volubilis, conosciuta come sacha ichi o arachide degli Inca. Originaria del Sud America tropicale, ma coltivata anche altrove, è una liana con foglie cuoriformi e piccoli fiori raccolti in cime seguiti da curiosi frutti verdi, capsule con 4-7 punte che a maturazione si aprono mostrando una polpa biancastra che avvolge grandi semi. Non commestibili da crudi, lo diventano previa tostatura. Ricchissimi di proteine e di oli, se ne ricava un olio considerato salutare per l'alta presenza di acidi grassi polinsaturi. Qualche approfondimento nella scheda.
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Linneo soprannominò eristici, ovvero seguaci di Eris, la dea della discordia, i botanici delle generazioni immediatamente precedenti, impegnati in polemiche tanto feroci quanto sterili a difesa dei rispettivi sistemi di classificazione delle piante. Il più litigioso era indubbiamente lo scozzese Robert Morison, che non si peritava ad attaccare a testa bassa i botanici del passato e del presente, definendo i loro errori "allucinazioni". Da loro pretendeva di non aver appreso nulla e di aver tratto il suo nuovo metodo dalla natura stessa; molto probabilmente a ispirarglielo era stato invece Cesalpino, che però non cita mai. Pagò cara questa arroganza: i botanici successivi lo ripagarono della stessa moneta, attingendo alla sua opera pionieristica sotto traccia e censurando con altrettanta asprezza le sue pretese. Tra i critici più recisi lo stesso Linneo, che tuttavia gli dedicò il genere Morisonia (Capparaceae), che, manco a farlo apposta, suscita polemiche altrettanto roventi. Formazione: Francia, Parigi e Blois Nel 1637, contro la pretesa del re d'Inghilterra Carlo I di imporre vescovi di propria scelta e un nuovo libro di preghiere sul modello anglicano, i presbiteriani scozzesi, con un patto giurato (Covenant) proclamarono che avrebbero difeso la loro fede fino alla morte. Ben presto si arrivò alla guerra aperta (prima e seconda guerra dei vescovi, 1639-1640), preludio alla rivoluzione inglese che avrebbe portato alla decapitazione del re e all'instaurazione del Commonwealth. Il solo fatto militare di una certa importanza della Prima guerra dei vescovi fu la battaglia del Bridge of Dee (18-19 giugno 1639) con la quale i Covenanter riuscirono a strappare alle truppe fedeli al re il controllo del ponte che dava accesso alla città di Aberdeen; tra coloro che militavano nell'esercito realista c'era anche il diciannovenne Robert Morison (1620-1683) che rimase gravemente ferito alla testa. Dopo la guarigione, come altri oppositori dei Covenanter che ormai controllavano la Scozia, decise di lasciare il paese e di rifugiarsi in Francia. Ci sarebbe rimasto vent'anni, cambiando del tutto il proprio destino. Anziché uomo di Chiesa, come avrebbe voluto la famiglia, divenne medico, naturalista e botanico. A Parigi, il suo primo rifugio, oltre a mantenersi come precettore del figlio di un certo consigliere Bizet, poté seguire lezioni di anatomia, zoologia, mineralogia, chimica e botanica, presumibilmente nel neonato Jardin des Plantes, dove fu allievo di Vespasien Robin. Nel 1648 si laureò in medicina a Angers, quindi nel 1649 o 1650, su raccomandazione di Robin, entrò al servizio dello zio del re, il principe Gastone d'Orlèans. Vale la pena di dedicare qualche riga a questo personaggio, che Morison proclamerà "patrono di tutti i botanici e mecenate veramente regale, versatissimo nell'arte botanica", tanto più che gli sono stati dedicati ben due generi di piante (entrambi oggi ridotti a sinonimi): Borbonia da parte di Plumier e Gastonia da parte di Commerson. Come politico, il duca d'Orlèans gode pessima stampa: intrigante e inconcludente, coinvolto in mille congiure tutte finite male, pronto a salvare la pelle abbandonando i suoi seguaci; brilla invece come mecenate delle arti e delle scienze, creatore della più vasta collezione di medaglie e antichità d'Europa, di una prestigiosa biblioteca, di un gabinetto scientifico e di collezioni d'arte. Della botanica era cultore più che dilettante grazie agli insegnamenti del medico che lo seguiva fin dalla nascita, il protestante Abel Brunier (o Brunyer, 1572-1665). Testimonianze del tempo riferiscono che conoscesse a memoria il nome di "tutte le erbe" (i comodi nomi binomiali di Linneo erano al di là da venire: siamo ancora all'epoca dei nomi-descrizione) e che amasse erborizzare, tanto che scoprì una nuova specie di trifoglio. A partire dal 1635, quando si stabilì a Blois al ritorno di un periodo di esilio, egli affidò a Brunyer, assistito dal secondo medico Jean Laugier e dal farmacista Nicolas Marchand (o Marchant), la creazione di un orto botanico, per il quale non lesinò attenzioni e spese. Dal 1644, ne fece anche immortalare le rarità su pergamena dall'abilissimo pittore Nicolas Robert: è l'inizio della spettacolare collezione nota come "Vélins du Roi". Tuttavia, dopo la morte di Richelieu nel 1642, egli si gettò nuovamente nell'agone politico e tornò a vivere a corte, portando con sé Brunyer, che per altro era ormai sulla settantina. Affidato ad altre mani, il giardino fu forzatamente trascurato. Dunque l'ingaggio di Morison, come terzo medico e botanico, era più che opportuno. E tanto più lo diverrà nel 1652, quando Mazzarino confinò il duca a Blois. Collezioni e piante divenivano ora la sola ragione di vita del principe sconfitto. Mentre l'anziano Brunyer rimaneva al suo fianco e allestiva il catalogo del giardino (Hortus Regius Blesensis, 1° ed. 1653, 2° ed. 1655), Laugier, Marchand e Morison venivano sguinzagliati per tutta la Francia alla ricerca di piante rare: come riferisce egli stesso, lo scozzese fu in Borgogna, Poitou, Bretagna (di cui esplorò le coste e le isole), Linguadoca e Provenza. Nel 1657, insieme a Laugier, esplorò l'area di La Rochelle, dove recensì 84 specie. Nel febbraio 1660 Gastone morì all'improvviso, lasciando erede delle sue collezioni il nipote Luigi XIV. Il giardino venne smantellato e Marchand, nominato direttore della coltivazione delle piante del Jardin du roi, fu incaricato di trasferire le piante nell'orto botanico parigino; anche Robert passò al servizio del re Sole, come "pittore ordinario del re per la miniatura". Una sistemazione fu offerta anche a Morison, ma eli preferì seguire in Inghilterra Carlo II, che proprio quell'anno aveva recuperato il trono. Il botanico lo aveva conosciuto proprio a Blois, durante una delle visite del re in esilio allo zio Gastone (Carlo II era figlio di Carlo I e di sua moglie Enrichetta, sorella di Luigi XIII e del duca d'Orlèans). Questa frequentazione altolocata non era l'unico lascito del decennale soggiorno a Blois. Fu quell'ambiente aperto e stimolante a fare nascere l'interesse di Morison per la classificazione delle piante. Tanto Brunyer quanto Laugier erano uomini di Montpellier: il secondo fu il maestro di Magnol, il primo sembra fosse alla ricerca di un metodo di classificazione razionale (non se ne trova però traccia nelle due edizioni del suo catalogo, semplici elenchi alfabetici). Nella fornitissima biblioteca del suo patrono, Morison poté leggere le principali opere dei botanici precedenti: De plantis di Cesalpino, l'Ekphrasis di Colonna, le opere dei fratelli Bauhin; sicuramente gli era nota anche l'opera di Boccone, che poi avrebbe contribuito a far conoscere in Inghilterra. Possiamo ipotizzare che il suo metodo sia nato dalla congiunzione tra queste letture, la ricerca sul campo e il confronto con il suo secondo maestro Abel Brunyer. Più tardi, egli lo negherà recisamente, proclamandolo un "nuovo metodo dato dalla natura, solo da me (senza arroganza) osservata, trovato da nessuno se non da me stesso". Maturità: Inghilterra, Londra e Oxford Carlo II, che a sua volta era vissuto in esilio quasi dieci anni, non di rado trattato alla stregua di un parente povero, provava ammirazione e riconoscenza per il botanico scozzese che aveva subito un lungo esilio per la causa della sua famiglia; lo nominò proprio medico personale e responsabile dei giardini reali, assegnandogli una casa a Londra e uno stipendio di 200 sterline. All'inizio del 1669, Morison pubblicò la sua prima opera, Praeludia botanica, un volume miscellaneo che riunisce tre lavori probabilmente scritti in momenti diversi. Di un certo interesse la dedica a Carlo II, in cui egli riferisce che, quando era al servizio del duca di Orlèans, aveva delineato un nuovo sistema di classificazione delle piante e che il duca gli aveva promesso di finanziare la pubblicazione di un libro per illustrarlo; ma la morte improvvisa del suo protettore aveva infranto le sue speranze. Ora si rivolgeva al re d'Inghilterra, degno nipote di tanto zio, per realizzare quel progetto che avrebbe d'un colpo reso la botanica inglese più illustre di quella italiana, francese o tedesca. La prima parte (e più cospicua del volume) è la terza edizione del catalogo dell'orto botanico di Blois, un elenco di circa 2600 piante, 260 delle quale sono indicate come nuove e sono descritte dettagliatamente in appendice. La seconda parte, Hallucinationes Caspari Bauhini in Pinace, item Animadversiones in tres Tomos Universalis Historiae Johannis Bauhini, è un feroce attacco contro gli errori di nomenclatura e classificazione dei fratelli Bauhin, puntigliosamente (e spesso non a torto) corretti e qualificati di "allucinazioni". La terza parte, Dialogus inter Socium Collegii Regii Gresham dicti et Botanographum Regium, è un dialogo sulla classificazione della piante tra se stesso e un membro della Royal Society. Morison magnifica la superiorità del proprio metodo, ma non lo descrive, limitandosi ad asserire, sulla scorta di Boccone, che la "nota generica" non deve essere tratta né dalle proprietà medicinali né dalla forma delle foglie, ma dalla fruttificazione, cioè dai fiori e dai frutti; non manca poi di stigmatizzare come "caos e confusione", pur senza citare in modo esplicito né l'opera né l'autore, il sistema elaborato da John Ray per le Tavole botaniche incluse nel saggio del vescovo Wilkin An Essay towards a Real Character and a Philosophical Language (1668). E' l'inizio di una frattura insanabile tra i due padri fondatori della sistematica britannica. Poco dopo l'uscita del libro, l'Università di Oxford gli offrì la cattedra di botanica: voluta da lord Danby all'atto di fondazione dell'Orto botanico di Oxford nel 1621, diventava effettiva solo ora, dopo un'attesa di quasi mezzo secolo. Era la prima in tutto il territorio britannico. Morison accettò e prese il nuovo incarico molto seriamente. I corsi si svolgevano nell'orto botanico per cinque settimane, nella bella stagione; una testimonianza del tempo ricorda che tre volte alla settimana il professore prendeva posto dietro un tavolo, posto al centro del guardino e colmo di piante, e le illustrava a studenti e uditori, che riusciva ad affascinare nonostante il duro accento scozzese. Per il resto dell'anno, tutto il suo impegno andava alla stesura dell'opera sognata per tutta la vita: se erano mancati i finanziamenti di due patroni regali, Gastone e Carlo II, ora Morison aveva trovato nell'Università di Oxford un sponsor disposto a pubblicare la sua opera, grazie soprattutto al sostegno dei fondatori dell'Oxford University Press John Fell del Christ Church e Obadiah Walker dell'University College. La grande opera, intitolata significativamente Plantarum Historiae Universalis Oxoniensis seu Herbarum distributio Nova per Tabulas Cognationis & Affinitatis ex Libro Naturae Observatae & Detectae, sarebbe stata il fiore all'occhiello della nova casa editrice e sarebbe stata riccamente illustrata. Morison ne diede un primo saggio in Plantarum Umbelliferarum Distributio Nova, pubblicato dalla casa editrice universitaria nel 1672. E' un fascicolo pilota il cui scopo fondamentare è sollecitare sottoscrizioni e donazioni per Historia universalis, di cui le Umbelliferae costituiranno la sezione IX; ecco perché nella Prefazione vengono finalmente presentati i principi del "nuovo metodo": "Il metodo è l'anima di ogni conoscenza: dunque in questa trattazione delle umbellifere, come pure in quella universale di tutte le piante, che promettiamo, mostreremo le note generiche ed essenziali tratte dai semi e dalla loro somiglianza, disponendo le specie in tavole sulla base di parentele e affinità. Aggiungeremo differenze specifiche tratte dalle parti meno nobili, ovvero radice, foglie, fusti, odore, sapore, colore, raccogliendo le singole specie sotto i singoli generi: in tal modo, specie riconoscibili per il diverso aspetto si schiereranno sotto generi intermedi, generi intermedi sotto generi supremi [ovvero tribù o famiglie], ciascuno distinto dalle proprietà essenziali e sempre nello stesso modo. Questo è l'ordine che la natura stessa ha dato alle piante, da me osservato per primo". Segue la trattazione delle piante con infiorescenza ad umbella, classificate sulla base delle caratteristiche dei semi, integrate con quelle di altri organi come le foglie. Morison distingue le Umbelliferae vere e proprie dalle Umbellae improprie dicto, dove troviamo generi come Valeriana, Filipendula e Thalictrum, e determina con chiarezza generi e gruppi di generi, le cui parentele e affinità sono illustrare da otto diagrammi (tabulas cognationis & affinatatis). La prima delle venti tavole calcografiche (le altre sono dedicate a specie nuove o meno note) raffigura le principali categorie di semi, sintetizzate nelle didascalie esplicative della pagina a fronte. Fin qui, la pars contruens; per non smentirsi, c'è anche la pars destruens, ovvero una quindicina di pagine dedicate alle Hallucinationes Caspari Bauhini, aliorum auctorum. La monografia, la prima dedicata a una famiglia e illustrata da tavole calcografiche, è una brillante riuscita. Del resto, il soggetto del fascicolo di lancio non è stato scelto a caso: da una parte, questa famiglia è stata una delle prime ad essere identificata (da Dodoens nel 1583); dall'altra, anche oggi pnel suo ambito i frutti e i semi sono determinanti per una corretta identificazione. Applicare il metodo all'universo modo delle piante è un'altra faccenda. Più difficile ancora trovare i soldi per continuare l'opera, costosissima proprio per il ruolo essenziale delle immagini. Il progetto prevede tre libri, il primo dedicato agli alberi e agli arbusti, gli altri due alle piante erbacee. Conscio della difficoltà dell'impresa, Morison parte da queste ultime, le più numerose e difficili da classificare, e nel 1680 esce finalmente la Pars secunda dell'Historia universalis, che contiene cinque delle quindici sezioni previste per le erbacee (De bacciferis, De leguminis, De siliquosis tetrapetalis bivalvis, De hexapetalis tricapsularis, De tricapsularis lactescentibus). Il risultato è inferiore alle attese: Morison per primo non si attiene al proprio metodo e le incongruenze abbondano. Non parliamo poi dell'aspetto finanziario: nonostante le sottoscrizioni di alcuni membri della Royal Society e del Collegio reale dei medici, egli è costretto a indebitarsi pesantemente con l'University Press. Comunque continua a lavorare alacremente al terzo volume; ma nel 1683, muore in seguito a un incidente stradale in cui incorre attraversando Charing Cross. Morisonia: le allucinazioni dei botanici continuano? Come abbiamo visto in questo post, sarà il diligente Jacob Bobart il Giovane a portare a termine il secondo volume. Il primo invece non uscirà mai. La casa editrice universitaria sarà per anni schiacciata dal debito di questa opera innovativa e audace, che non mancherà di influenzare i botanici successivi, mentre l'Università di Oxford si troverà per anni impelagata in una causa legale con la vedova per la proprietà dell'erbario. Il metodo di Morison fa scuola soprattutto in Germania: i suoi seguaci più entusiasti sono i fruttisti (secondo la terminologia di Linneo) Paul Amman, Christoph Knaut e Paul Hermann. In patria, gli nuocciono il carattere terribile e le offese a Ray, il cui metodo ben presto surclasserà il suo. A Morison è invece riservata una vera e propria damnatio memoriae. Più sotterraneo, ma determinante, l'influsso su Joseph Pitton de Tournefort, che dal botanico scozzese trarrà senza dubbio insegnamento per la precisa determinazione dei generi e la distinzione tra genere e specie. Ma la sua arroganza gli spiacerà sommamente, e non gli perdonerà di aver saccheggiato i botanici precedenti senza neppure citarli. Così si esprime in Elemens de botanique: "E' impossibile lodare a sufficienza questo autore. Ma mi sembra che si lodi già troppo da sé; perché invece di accontentarsi della gloria di aver partecipato al più bel progetto che si sia mai fatto in botanica, osa paragonare le proprie scoperte a quelle di Cristoforo Colombo, e senza parlare di Gessner, Cesalpino e Colonna, in molti luoghi delle sue opere afferma di non avere appreso nulla se non dalla natura. Gli si sarebbe potuto credere sulla parola, se non si fosse preso la pena di trascrivere pagine di questi due ultimi autori; dal che si vede che gli erano molto familiari. Il sig. Ray senza fare tanto chiasso è riuscito molto più di lui". I sospetti di Tournefort erano più che fondati; gli studiosi successivi hanno rilevato interi passi presi di peso da Cesalpino, che Morison conosceva benissimo ma non nomina mai: nella biblioteca di Oxford si trova una copia di De plantis fittamente annotata di sua mano. Quanto a Linneo (che guardava con un po' di sufficienza a questi predecessori in eterna lite tra di loro, tanto che li soprannominò Eristici, seguaci di Eris, la dea della discordia), in una lettera a Albrecht von Haller ne riconosce i meriti, ma conclude con una condanna senza appello: "Morison era vanitoso, ma gli va dato il merito di aver rinnovato un sistema mezzo morto. Se si osservano i generi di Tournefort, si deve ammettere quanto debba a Morison, tanto quanto questi doveva a Cesalpino, sebbene Tournefort stesso sia un ricercatore coscienzioso. Tutto ciò che c'è di buono in Morison è preso da Cesalpino, senza la cui guida egli si perde alla ricerca più di affinità naturali che di caratteristiche distintive". In ogni caso, riprendendo un suggerimento di Plumier, riserverà anche a lui la gloria di un genere botanico, Morisonia L., famiglia Capparaceae. E qui finiamo in una polemica non indegna dell'astioso dedicatario. La delimitazione in generi di questa famiglia nelle Americhe ha dato più di un grattacapo ai tassonomisti; tradizionalmente, la maggior parte delle specie erano assegnate a Capparis, affiancato da una serie di generi minori, tra cui appunto Morisonia, con circa otto specie. Questo amplissimo Capparis risultava però artificiale (polifiletico) e da qualche anno la linea prevalente è limitarlo alle specie del Vecchio Mondo. Quanto a quelle americane, alcuni ricercatori hanno iniziato a staccarne una serie di piccoli generi, finché nel 2018 nel quarto volume di The Global Flora è comparsa una nuova trattazione che ha incluso in Morisonia gran parte delle Capparaceae in precedenza assegnate a Capparis, allargandone i confini a oltre ottanta specie. La risposta di Xavier Cornejo (specialista di Capparaceae e principale fautore della divisione di Capparis in molti piccoli generi) non si è fatta attendere: in un articolo comparso lo stesso anno ha criticato aspramente questa soluzione, rilevando che, così inteso, Morisonia presenta una tale varietà di forme e comportamenti da diventare "un genere innaturale e difficile da comprendere". Dopo una pagina di critiche serrate, egli conclude che "la nomenclatura proposta [...] non ha supporto né morfologico né molecolare. Dunque nessuna di queste combinazioni ha valore nomenclatorio e va ridotta a sinonimi". Allucinazioni, avrebbe detto Morison. Ma noi viviamo in un'epoca più cortese (o forse più ipocrita). In attesa di futuri sviluppi che certo non mancheranno, conviene attenersi alle poche certezze: comunque venga inteso (con le ottanta e più specie di Morisonia sensu lato o le otto di Morisonia sensu stricto), si tratta di arbusti o alberelli del sottobosco delle boscaglie e delle foreste stagionalmente aride di Messico, Antille, Centro e Sud America. Sicuramente continuerà a farne parte la specie tipo di Linneo, M. americana; chiamata in inglese Ratapple, "mela dei ratti", nei paesi latino americani è conosciuta con tanti nomi che variano da un luogo all'altro: chocolatillo, zapote blanco, arbol del Diablo. E' un piccolo arbusto del sottobosco delle foreste aride caducifoglie, distribuito dal Messico all'Argentina settentrionale, attraverso le Antille; la caratteristica più notevole sono i piccoli frutti sferici con spessa corteccia marroncina e polpa biancastra edule usata come emolliente, con proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Qualche approfondimento nella scheda. Nella primavera del 1679 arriva in Virginia come pastore il reverendo John Banister; formatosi a Oxford, dove ha seguito i corsi di Robert Morison, è il primo naturalista con una formazione scientifica universitaria a stabilirsi nelle colonie inglesi del Nord America; all'impegno pastorale affianca infatti l'esplorazione della flora (e della fauna), incoraggiato da committenti inglesi, tra cui il suo diretto superiore, il vescovo Compton, cui invia molte primizie americane per il giardino di Fulham. Progetta di scrivere una storia naturale della Virginia, ma perde la vita in un incidente assurdo. A ricordarlo il genere Banisteriopsis (famiglia Malpighiaceae). Un pastore naturalista A fine Seicento, la Virginia, la prima delle tredici colonie del Nord America, incominciava ad assestarsi dopo un avvio tutt'altro che facile. I coloni, che l'avevano fondata nel 1609, avevano dovuto affrontare la fame, ripetute guerre contro le popolazioni native, due massacri (nel 1622 e nel 1644). Durante la guerra civile erano rimasti sostanzialmente fedeli alla monarchia (tanto che Carlo II, recuperando il trono, la soprannominò The Old Dominion, l'antica colonia). Malattie, uragani, alluvioni, l'ostilità dei nativi, le tensioni con il governo centrale non mancavano, ma la Virginia aveva ormai trovato la risorsa che ne avrebbe fatto la più ricca delle colonie: la coltivazione del tabacco. Non era però una situazione né tranquilla né pacificata. Nel 1676 il piantatore Nathaniel Bacon guidò una rivolta armata (la prima nelle tredici colonie) contro il governatore William Berkeley, biasimato da una parte per i suoi metodi autocratici, dall'altro per la sua politica di pacificazione con i nativi, che impediva ai coloni poveri di installarsi oltre i confini della colonia. Alla ribellione, che assunse carattere molto violento, con il genocidio degli indiani Susquehanock e l'incendio della capitale Jamestown, aderirono i medi e piccoli proprietari e molti degli immigrati più poveri arrivati in Virginia come "servi a contratto", mentre i grandi proprietari rimanevano fedeli al governatore. Repressa con ferocia da Berkeley, la ribellione si esaurì con la morte di Bacon, ma lasciò un'eredità pesante: da quel momento, a lavorare nelle piantagioni furono sempre meno europei semi-liberi e sempre più schiavi neri. La Virginia si avviava a trasformarsi in una società razzista, basata sul sistema di piantagione e lo schiavismo. Il protagonista della nostra storia vi arrivò a ridosso di questi eventi. John Banister (1650-1692), nato in una famiglia modesta, a diciassette anni fu ammesso come corista al Madgdalen College di Oxford; benché destinato al sacerdozio, incominciò a frequentare l'Orto botanico, facendo amicizia con Jacob Bobart il Giovane e seguendo le lezioni di Robert Morison, a quel tempo impegnato nella mastodontica Plantarum historia universalis oxoniensis. Allestì un erbario e un catalogo di piante; ad affascinarlo erano soprattutto quelle americane. A sua volta Morison fu colpito dal suo talento e lo segnalò al vescovo di Londra Henry Compton, che stava cercando missionari interessati alle scienze naturali da inviare nelle colonie. Fu così che Banister, dopo essersi laureato nel 1674 e aver servito per un biennio come cappellano, nel 1678 si imbarcò alla volta dell'America, ufficialmente come ministro anglicano, ufficiosamente come naturalista e cacciatore di piante per i suoi patroni Morison e Compton. Dopo due scali alle Barbados e a Grenada, raggiunse la Virginia nella primavera del 1679. Il 7 aprile 1679 (data della prima lettera a Morison a noi pervenuta) era ospite del piantatore e commerciante William Byrd I. Di poco più vecchio di lui, Byrd era emigrato in Virginia per prendere possesso di una proprietà di alcuni acri lasciatagli da uno zio e aveva cominciato ad arricchirsi trafficando con gli indiani rum, fucili, ferramenta e lana in cambio di pellicce; era stato uno dei primi seguaci di Bacon, prendendo anche parte ad alcune azioni armate, ma poi era passato dalla parte del governatore. Col tempo sarebbe diventato un ricchissimo piantatore, proprietario della Westover Plantation che si estendeva per 1200 acri (equivalenti a quasi 5 km quadrati). Byrd era interessato alle piante da un punto di vista pratico: fece venire semi di nuove varietà di tabacco e importò piante orticole e agricole dall'Inghilterra. Incoraggiò Banister nelle sue ricerche, coinvolgendolo nelle sue spedizioni lungo la frontiera, e più tardi mantenne per lui i rapporti con l'Inghilterra, curando i suoi invii di piante, semi e animali e procurandogli materiali da disegno, carta e libri. Nella lettera a Morison, dopo aver descritto in termini coloriti i conflitti con gli indiani "nemici barbari", Banister descrive la Virginia come una terra fertile e ricca di acque che può offrire ogni bene necessario per la vita e per il piacere. Riferisce con meraviglia della grande ricchezza di alberi, che potrebbero ripopolare gli impoveriti boschi inglesi: ogni tipo di quercia, castagno, salice. Biasima la ristrettezza di vedute dei piantatori, unicamente interessati al tabacco e ai soldi che ne possono ricavare, mentre è affascinato dalla grande varietà di piante coltivate dai barbari indiani: mais con chicchi di tutti i colori, patate in innumerevoli varietà, fagioli, angurie e meloni. A lui il tabacco interessava soprattutto dal punto di vista scientifico e più tardi raccolse i semi delle diverse varietà coltivate dagli Indiani, creando una specie di banca del seme ante litteram. In una data ignota, Banister divenne ministro della Parrocchia di Bristol, la cui chiesa parrocchiale si trovava nei pressi dell'attuale città di Hopewell, lungo il fiume Appomattox. Cercava di conciliare i doveri pastorali con le ricerche naturalistiche, ma dovette constatare che era impossibile vivere con i magri proventi della parrocchia e dei pochi acri di terra che gli erano stati concessi, tanto più che nel 1687 mise su famiglia, sposando una giovane vedova. Qualche aiuto gli sarà venuto dai suoi amici londinesi, ma alla fine si rassegnò a trasformarsi anche lui in piantatore; nel 1689 acquistò 1735 acri nella Charles City County. A quel punto doveva ormai essere uno dei maggiorenti locali: l'anno successivo lo ritroviamo tra i membri del comitato fondatore del College of William and Mary che, tuttavia, a causa di difficoltà finanziarie, nascerà ufficialmente solo dopo la sua morte. Banister cominciò ad esplorare la natura della Virginia fin dal suo arrivo nella colonia. Dato che muoversi da solo in quel territorio ancora di frontiera era estremamente pericoloso, approfittava il più possibile delle spedizioni di Byrd, anche se difficilmente si sarà allontanato da casa più un centinaio di km. Le spedizioni, che comprendevano cacciatori, boscaioli per aprirsi la strada, guide e interpreti, si muovevano lungo le piste commerciali, per lo più ai piedi delle colline, e più raramente si spingevano sulle montagne (contro l'immagine eroica che Linneo darà delle esplorazioni di Banister). Il primo invio del missionario-naturalista raggiunge l'Inghilterra nel 1680: ci sono insetti, aracnidi e molluschi per il medico Martin Lister e circa 150 tra disegni, esemplari di piante e semi per Morison e il vescovo Compton. A destare la maggior sensazione è il disegno di una pianta "dalla forma così strana e mostruosa che ne provo paura": è Sarracenia purpurea. Il vescovo e i suoi amici del Temple Coffee House Club ne sono elettrizzati e chiedono a Banister (si spera in cambio di qualche sussidio economico) di inviare disegni di piante, esemplari di erbario, piante vive, semi, tutto quello che potrà raccogliere. L'invio del 1682 comprende una lista di piante per John Ray, una serie di disegni per Leonard Plukenet (che li pubblicherà nella sua Pytographia), altre piante per il giardino di Fulham: la più notevole è Magnolia virginiana, la prima magnolia a toccare il suolo europeo. Seguiranno Lindera benzoin, Liquidamber styraciflua, Cornus amomum, Gleditsia triacanthos, Chionanthus virginicus, Acer negundo, Rhus copallina, Aralia spinosa, Merispermum canadense, Quercus rubra, Ostrya virginiana, Abies balsamea, Nyssa aquatica. Tra tanti alberi e arbusti c'è anche qualche erbacea, come il Dracunculus Virginianus latifolius di cui il vecchio amico Bobart pubblica un'immagine nel 1699: è la prima riproduzione di Echinacea purpurea. Banister si interessa anche di altri campi della storia naturale. In una lettera al vescovo Compton del 1689, descrive e riconosce la funzione dei bilancieri delle mosche, che erano stati descritti qualche anno prima da Robert Hooke, senza però individuarne la funzione; in un contributo poi inviato alla Royal Society studia la conchiglia e i disegni dorsali e ventrali del curioso granchio Limulus polyphemus; è il primo a descrivere l'anatomia interna di una lumaca. La lettera in cui descrive Mutinus elegans è considerata il primo articolo dedicato a un fungo del Nord America. Rimane però principalmente un botanico e il suo sogno è scrivere una storia naturale della Virginia; a tale scopo, raccoglie esemplari d'erbario, redige liste, prende note. Ma a soli 42 anni la sua vita viene spezzata da un incidente assurdo e crudele. All'inizio di maggio 1692, ancora una volta accompagna Byrd e i suoi uomini in una spedizione che seguendo la pista commerciale nota come Occaneechee Trading Path si dirige verso il Roanoke River; forse proprio per cercare qualche pianta, si addentra nella boscaglia. Uno dei dipendenti di Byrd, Jacob Colson, lo scambia per un animale e gli spara. Almeno, questa è la versione ufficiale, registrata nel Henrico County Court order book in data 16 maggio 1692. L'incidente, avvenuto lontano da occhi indiscreti, resta avvolto dal mistero: la famiglia venne informata che il pastore era stato ucciso dalla caduta di un albero, mentre Ray credeva fosse morto cadendo da una roccia. Lasciava una vedova, un bimbo di due anni e un'opera mai scritta. Il suo nome è ricordato da Banisteria, la rivista della Virginia Natural History Society, dedicata alla storia naturale della Virginia, con articoli che coprono la botanica, la zoologia, l'ecologia e la geologia. Botanici allucinati, piante allucinogene Dopo la sua morte, le collezioni di Banister furono riunite da Byrd e inviate a Londra insieme a una copia dei cataloghi. Le osservazioni sugli insetti della Virginia furono pubblicate nel 1701 nelle Transactions della Royal Society, mentre le raccolte botaniche, i disegni, le lettere e i cataloghi di piante influenzarono in vario modo la conoscenza della flora nordamericana e le opere di molti altri autori. In primo luogo, attraverso il giardino del vescovo Compton a Fulham, e in misura minore l'orto botanico di Oxford, furono dozzine le specie da lui introdotte in Inghilterra, in particolare quegli alberi e arbusti che sono alla base del passaggio dal giardino formale alla francese al giardino paesaggistico all'inglese. In secondo luogo, molti autori recuperarono le sue osservazioni sulla flora, la fauna e gli abitanti della Virginia, a volte senza citarlo. Così fece Robert Beverly, che in History and Present State of Virginia (1705) trascrisse verbatim intere pagine delle note di Banister. Molto ampia è la presenza delle sue raccolte nelle opere dei botanici britannici a cavallo tra Seicento e Settecento, a cominciare da John Ray che nel secondo volume di Historia Plantarum (1693) pubblicò un catalogo di piante americane, basato su una lista ricevuta nel 1682 da Banister, da lui salutato come "uomo eruditissimo e completissimo botanico". James Petiver in Museum Petiverianum cita 65 denominazioni di Banister per piante americane coltivate nel giardino di Fulham dal vescovo Compton e utilizza le sue note sui funghi nelle edizioni della sua Gazophylacii Naturae & Artis (1702–1709). Lister pubblica gli insetti, molluschi, aracnidi e animali primitivi da lui raccolti in Historia Sive Symposis Methodica Conchyliorum (1685–1692). Plukenet utilizza alcuni dei suoi disegni in Phytographia (1691–1705). Dillenius include i suoi muschi in Historia Muscorum (1741). Sono tutte opere ben note a Linneo, che durante la sua visita a Londra e a Oxford poté anche ammirare esemplari di erbario raccolti da Banister. E' dunque naturale che accogliesse la proposta di Houstoun di dedicargli un genere di piante. Houstoun aveva unito sotto il nome Banisteria un'intera famiglia di piante rampicanti tropicali, una delle quale era stata raccolta da Banister nelle Barbados. Forse attraverso racconti orali raccolti durante il soggiorno inglese, Linneo si era anche formata un'immagine romantica della figura di Banister, che ritroviamo nella dedica strappalacrime del genere Bannisteria (con due enne) in Hortus Cliffortuanus: "Houstoun ha destinato questa santa famiglia di piante alla memoria dell'inglese John Bannister [sic!] che prima di lui diede persino la carissima vita per le piante. Egli infatti penetrando i recessi della Virginia, scalando monti e rupi, affinché nulla rimanesse nascosto al suo zelo, per un caso sventurato inciampò, cade, si sfracellò e perì miseramente. Gli fu dunque dedicata una pianta americana rampicante con frutto spaccato color del sangue". Come si vede, egli segue la versione divulgata da Ray; la pianta in questione, qui Bannisteria foliis ovatis, ramis dichotomis [ecc.], ribattezzata in Species plantarum Banisteria (con una enne) fulgens, oggi si chiama Stigmaphyllon emarginatum. In effetti è un rampicante che ha per frutto uno schizocarpo che a maturità si divide in tre samare con ali rosso vivo. Linneo ufficializza il genere in Species Plantarum (1753), questa volta con la grafia corretta Banisteria. E' l'inizio di un nodo gordiano tassonomico. Egli distribuisce le specie che più tardi saranno assegnate alla famiglia Malpighiaceae in tre generi, distinti sulla base dei frutti: Malpighia, con frutto carnoso; Banisteria, con frutto che si divide in tre samare ciascuna con una grande ala dorsale trilobata; Thryallis con il frutto che si divide in tre cocci. Oggi, l'unico accettato rimane Malpighia. Il suo genere Banisteria, con il senno di poi, risulta un gruppo eterogeneo, che riunisce sette specie che oggi appartengono a quattro generi diversi (uno dei quali di un'altra famiglia). Dal resto, questo gruppo di Malpighiaceae è particolarmente difficile da classificare, e non possiamo prendercela con il vecchio Linneo, tanto più che i botanici che verranno dopo faranno di peggio. Nel corso dell'Ottocento, infatti, mentre cresceva il numero delle specie note e venivano creati nuovi generi, il nome linneano fu mantenuto e allargato a molte nuove specie. Particolarmente influente fu la trattazione di Banisteria di Adrien de Jussieu, seguita da molti autorevoli colleghi; ma il suo genere non aveva nulla a che fare con quello di Linneo, di cui non includeva neppure una specie. Infatti le specie linneane erano state tutte via via assegnate a nuovi generi; il gruppo più consistente era costituito da tre specie che ora facevano parte di Heteropterys, creato da Kunth nel 1821. Il primo ad accorgersi di questa incongruenza fu il botanico americano Charles Budd Robinson che nel 1910 propose di ripristinare il nome linneano per sostituire Heteropterys e ribattezzare Banisteriopsis "simile a Banisteria" il genere Banisteria nel senso di Jussieu. La proposta fu accettata solo in parte, generando ulteriore confusione; come capita in questi casi, a tagliare il nodo gordiano provò il Congresso Botanico Internazionale di Cambridge (1930) che decise di considerare legittimi Heteropterys e Banisteriopsis e di cassare Banisteria (nome reijcendum). La saga non finì lì, ci fu ancora qualche botanico che difese Banisteria, per non parlare di vivaisti e appassionati, finché negli anni '60 del Novecento il nome linneano fu definitivamente mandato in pensione e Banisteriopsis universalmente accettato. Banisteriopsis C.B.Rob. è un vasto genere della famiglia Malpighiaceae che riunisce una sessantina di specie di arbusti, piccoli alberi e liane rampicanti diffusi dal Messico al Sud America tropicale, con centro di diversità in Brasile, in due diversi ambienti: le savane tropicali, dove sono soprattutto arbusti, e la foresta pluviale, dove sono liane, a volte di dimensioni enormi. Dopo aver letto l'intricata storia della loro denominazione, forse non vi stupirete di scoprire che la specie più nota B. caapi è un potente allucinogeno. Tanto è vero che lo stato della Louisiana ha proibito la detenzione e la coltivazione di tutte le specie di questo genere, salvo per usi ornamentali. Qualche informazione in più nella scheda. Nella primavera del 2019, al termine di un lavoro di ricerca e restauro che ha coinvolto storici e botanici, nei giardini di Fulham Palace, la millenaria residenza dei vescovi londinesi, sono state aperte al pubblico "The Bishop Compton Beds", un gruppo di aiuole piantate con alcune specie che crescevano qui tra fine Seicento e inizio Settecento, ai tempi del vescovo Henry Compton. Figura politica di una certa influenza, Compton fu soprattutto un grande appassionato di piante esotiche, responsabile della prima introduzione di molte specie principalmente dalle colonie del Nord America. A ricordarlo, Comptonia peregrina, unica specie vivente di questo genere della famiglia Myricaceae. Intrighi politici e piante esotiche Nel giugno 1688 al re d'Inghilterra, l'impopolare Giacomo II, nacque il sospirato erede maschio, che avrebbe ricevuto un'educazione cattolica. Si profilava l'incubo di una dinastia cattolica (e assolutista) sul trono inglese. Subito incominciarono a circolare voci secondo le quali il bimbo, nato morto, era stato sostituito con un altro neonato. Il 30 giugno 1688 sette uomini politici inglesi, poi passati alla storia come i Sette immortali, scrissero al principe Guglielmo d'Orange, nipote del re e marito di sua figlia Maria, fino a quel momento erede al trono, per sollecitarlo ad intervenire militarmente per sostenere i diritti della consorte. E' l'atto d'inizio della Gloriosa rivoluzione che portò alla cacciata di Giacomo II, alla salita al trono di Guglielmo III e Maria II e all'instaurazione di una monarchia parlamentare sancita dalla Dichiarazione dei Diritti del 1689. I sette altolocati nobiluomini erano tutti laici, ad eccezione di uno: Henry Compton (1632-1713), il vescovo anglicano di Londra. Niente da stupirsi, se consideriamo le sue fiere posizioni protestanti e il suo legame personale con William e Mary, di cui nel 1677 aveva anche officiato il matrimonio. Henry era il sesto e ultimo figlio di Spencer Compton, secondo conte di Northampton, che morì in battaglia durante la guerra civile, quando il ragazzo aveva solo undici anni. Più tardi egli viaggiò a lungo all'estero e rientrò in Inghilterra solo con la Restaurazione, quando per un breve periodo militò come cornetta in un reggimento di cavalleria. Dopo pochi mesi però decise di entrare al servizio della Chiesa e, dopo essersi laureato a Cambridge, nel 1661 prese gli ordini. Dopo tutta una serie di incarichi minori, nel 1674 fu nominato vescovo di Oxford; ma già l'anno successivo divenne decano della Cappella reale e dal dicembre 1675 vescovo di Londra. Questa rapida promozione è in genere attribuita, oltre alle sue origini altolocate, alla protezione di un altro dei futuri "immortali", il conte di Danby, di cui condivideva la difesa delle prerogative della Chiesa d'Inghilterra e le posizioni anticattoliche. Fu così che la vita del vescovo Compton incominciò a intrecciarsi con quella della principessa Mary e della sorella minore Anne. Il re Carlo II gli affidò infatti l'educazione religiosa delle nipoti, che Compton educò nella fede protestante (e forse anche nella passione dei fiori). Come vescovo, aveva posizioni molto liberali verso i dissidenti religiosi e sostenne anche economicamente i protestanti perseguitati che trovavano rifugio in Inghilterra; era invece ferocemente avverso ai cattolici. Ciò lo portò a scontrarsi con l'erede al trono, il duca di York (ovvero il futuro Giacomo II) che si oppose alla suo nomina ad arcivescovo di Canterbury e nel 1785, alla sua salita al trono, lo allontanò dalla Cappella reale e dal Consiglio privato; nel 1686, quando rifiutò di sospendere John Sharp, rettore di St Gile's-in-the-Fields, per i suoi scritti antipapisti, fu egli stesso sospeso. Aveva dunque più di una ragione per sostenere la causa di William e Mary, anche se nel maggio 1688 era stato reintegrato nell'ambito di una serie di provvedimenti con cui Giacomo aveva cercato di recuperare il consenso della Chiesa d'Inghilterra. Entrambe le principesse gli erano assai affezionate, in particolare lo era la più giovane, Anne. E fu proprio da lui che ella si rifugiò nel novembre 1688, pochi giorni dopo lo sbarco di Guglielmo in Inghilterra, per sottrarsi al padre e chiedere aiuto per raggiungere il marito, il principe danese Georg che si trovava ad Oxford (anche il loro matrimonio era stato officiato da Compton). Forse memore dei suoi trascorsi militari, il vescovo la scortò fino ad Osford, insieme al fido capo giardiniere George London e a un nutrito gruppi di armati. Nell'aprile 1689, essendosi rifiutato di farlo l'arcivescovo di Canterbury William Sancroft, fu ancora lui a incoronare William e Mary nella chiesa di Westminster. Sperava indubbiamente di essere ricompensato con la nomina a primate d'Inghilterra, ma quando nel 1690 Sancroft fu dichiarato decaduto proprio per quel rifiuto, la scelta dei sovrani cadde su John Tillotson; Compton ne fu così deluso da lasciare ogni attività politica. Nel 1792, quando Anne diventò regina, rientrò nel consiglio privato, fu nominato lord elemosiniere e membro della commissione per l'unione tra Inghilterra e Scozia, incarico che però non gli fu confermato; né, nel 1694, alla morte di Tillotson, la sua antica allieva gli concesse il sospirato arcivescovato di Canterbury. Ne fu così deluso da lasciare il partito whig per quello tory, ma soprattutto trovò consolazione nella passione per la botanica e il giardinaggio, che l'aveva accompagnato almeno dalla sua nomina a vescovo di Londra, quando aveva deciso di trasformare i giardini della residenza di Fulham, creandovi una ricchissima collezione di esotiche. Il giardino risaliva almeno al XVI secolo, cosa che ne fa il secondo giardino botanico per antichità della capitale inglese. Si dice che il vescovo Grindal (1519-1583) vi abbia introdotto le tamerici (Tamarix gallica) dalla Francia; di certo vi faceva coltivare dell'uva di cui faceva omaggio alla regina Elisabetta. Ma a renderlo famoso fu proprio Compton. Forse perché coinvolto nella ricostruzione di Londra dopo l'incendio del 1666 (come vescovo, si occupò della riedificazione della cattedrale di St Paul), Compton era particolarmente interessato all'introduzione di alberi da legname che potessero reintegrare il patrimonio forestale britannico. Fu così che nei terreni che si allungavano lungo il Tamigi (un appezzamento molto più vasto degli attuali 13 acri) creò uno dei primi arboreti a noi noti. A popolarlo erano soprattutto alberi rustici nordamericani; infatti, come vescovo di Londra, Compton era il responsabile dell'organizzazione della Chiesa nelle colonie americane; manteneva i contatti con i pastori, che sceglieva il più possibili tra persone interessate alle scienze naturali, e li incoraggiava a spedirgli piante utili o semplicemente curiose. Il più produttivo di questi collaboratori fu il pastore John Banister che aveva già una formazione botanica, avendola studiato a Oxford; tra 1683 e il 1688, grazie a lui fecero il loro arrivo a Londra i primi esemplari di Cornus amomum, Lindera benzoin, Liquidambar styraciflua, Acer negundo e soprattutto Magnolia virginiana, la prima magnolia a raggiungere l'Europa. Compton era amico e corrispondente di molti botanici e assiduo frequentatore, insieme al suo capo giardiniere, del Temple Coffee House Botany Club, un club informale di appassionati e naturalisti che forse a partire dal 1689 prese l’abitudine di riunirsi ogni venerdì presso un caffè londinese per discutere di botanica e mettere a confronto le proprie collezioni. Corrispondeva regolarmente con Jacob Bobart il giovane, il curatore dell'orto botanico di Oxford; apriva volentieri il suo giardino a botanici come Leonard Plukenet, che sicuramente descrisse alcune delle sue piante in Phytographia, John Ray, che incluse in Historia plantarum quindici novità, per lo più introdotte da Banister, e il farmacista James Petiver, che a sua volta faceva incetta di piante grazie a una vasta rete di capitani e chirurghi di marina. Fu sicuramente attraverso Petiver che Compton ottenne Rhus chinensis, inviato dalla Cina da James Cunningham. Altri alberi che dovette far piantare sono citati dai visitatori che li videro nei decenni successivi. Willam Watson, che nel 1755 ispezionò il giardino, notò grandi esemplari di Acer saccharinum, Gleditsia triacanthos, Juglans nigra, tutti americani, e il mediterraneo Pinus pinea. Nel 1766 il botanico scozzese John Hope visitò a sua volta il giardino e misurò alcuni alberi: una quercia da sughero di 40 piedi, un noce nero di 65 piedi e un acero rosso (Acer rubrum) di quasi 30 piedi. Egli cita anche vari alberi che quell'anno erano stati abbattuti per fare spazio a nuove costruzioni: Lindera benzoin, Acer negundo, Juniperus virginiana, nonché un cedro del Libano piantato nel 1683. Altre testimonianze citano Liridodendron tulipifera, Diospyros virginiana e. tra gli arbusti e i piccoli alberi, Rhododendron viscosum, Rhus typhina, Sassafras albidum, Crataegus crus-galli, tutti probabilmente giunti a Londra grazie a Banister. C'erano anche altre mediterranee, come Celtis australis, Cercis siliquastrum, Phillyrea latifolia, Più difficile sapere che cosa il vescovo facesse coltivare nelle aiuole e nella magnifica serra, di cui non conosciamo né l'ubicazione né le dimensioni, benché i contemporanei ne parlino con ammirazione. Le collezioni dovevano comprendere almeno un migliaio di specie, ma andarono disperse subito dopo la morte di Compton (avvenuta nel 1713); le rarità da serra furono da lui lasciate in eredità all'orto botanico di Oxford, ma nessuna è sopravvissuta e non ne conosciamo nemmeno la lista. Qualche indizio ce lo forniscono diverse testimonianze più o meno dirette. Tra il 1675 e la morte nel 1682, visse a Fulham il pittore Alexander Marshal, famoso per i suoi dipinti di fiori e piccoli animali; tra gli altri dipinse tulipani, garofani e Primula auricola in forme variegate e doppie che potrebbero aver fatto parte della collezione di Compton. Petiver cita una pianta di goji (Lycium barbarum), arrivata evidentemente dalla Cina, mentre l'architetto John Evelyn, che visitò la serra nel 1681, vi poté ammirare un Sedum arboreum in fiore (oggi Aeonium arboreum) giunto da Madera. C'era anche una Passiflora caerulea e Clematis hederacea (oggi identificata come Campsis radicans). La maggior parte delle esotiche da serra dovevano però essere passate attraverso l'Olanda, con la quale, come sostenitore di William e Mary, Compton dovette avere intense relazioni. Nel 1691 si recò ad Amsterdam insieme a Guglielmo III e gli fu donato un florilegio, noto come Compton Codex e oggi custodito al British Museum, con una quarantina di disegni di piante sudafricane raccolte durante la spedizione in Namaqualand del 1685-86; a sua volta egli donò all'orto botanico di Amsterdam varie specie americane che allungano la lista di alberi e arbusti di oltre oceano: Aralia spinosa, Euonymus americanus, Physocarpus opulifolius, Taxodium distichum, Yucca aloifolia f. draconis. Il vescovo dovette invece riportare con sé dall'Olanda una notevole collezione di Pelargonium (tra quelli identificati, P. triste e P. capitatum) e alcune delle novità recentemente portate da Hermann dalla colonia del Capo, come Hermannia althaeifolia e la calla Zantedeschia aethiopica. Arrivava sicuramente dalle serre dell'orto botanico di Amsterdam l'allora ancora rarissima pianta di caffè, e probabilmente anche un ammirato Cereus che apriva i suoi fiori di notte. I vescovi di Londra hanno abitato a Fulham per oltre 1000 anni, dall'VIII secolo al 1975, quando il palazzo e i giardini sono stati ceduti alla municipalità di Hammersmith. All'inizio del secolo è iniziato un vasto programmi di restauri che ha coinvolto sia il palazzo sia i giardini, finanziato con i proventi della Lotteria Nazionale. Nel 2019 sono state aperte al pubblico aiuole (The Bishop Campton Beds) piantate con alcune specie coltivate ai tempi del vescovo Compton; tra gli alberi - quasi tutti a limitato sviluppo per non ombreggiare eccessivamente le altre specie - Diospyros virginiana, Celtis australis, Cercis siliquastrum e, ovviamente, Magnolia virginiana; tra gli arbusti, Rhododendron viscosum, Rhus typhina, Crataegus crus-gallii; ai loro piedi, tra le altre, Zantedeschia aetiopica, Asarum canadense, Adiantum pedatum, Dicentra cucullaria, Trillium sessile, Mertensia virginica. A giudicare dalle fotografie, per ora le aiuole appaiono ancora piuttosto spoglie, ma sono appunto recentissime. Un fossile vivente Anche se, come abbiamo visto, le collezioni di Compton furono disperse subito dopo la sua morte, il lascito del vescovo al giardinaggio inglese è imponente. Sandra Morris, che, basandosi sulle citazioni di Ray e Plukenet, l'erbario di Petiver confluito in quello di Sloane e le testimonianze di Watson e Hope, tra il 1991 e il 1993 ha pubblicato su "Garden History" due articoli, dedicati rispettivamente a alberi e arbusti il primo, alle piante erbacee il secondo, è riuscita a identificare 89 alberi o arbusti e 61 erbacee. Per diverse specie, la loro presenza a Fulham, retrodata l'introduzione in Inghilterra di parecchi decenni. Il vescovo meritava dunque l'omaggio di un genere botanico. A pensarci fu L'Héritier de Brutelle; ma dato che il nuovo genere avrebbe dovuto essere pubblicato nel secondo fascicolo di Stirpes novae che non uscì mai, a pubblicarlo per primo in Hortus kewensis (1789) fu Aiton, che precisa anche che la pianta in questione, Comptonia asplenifolia, fu introdotta in Inghilterra nel 1714, l'anno dopo la morte del vescovo, da un'altra grande collezionista, la contessa di Beaufort, una degli acquirenti della collezione di Compton. Oggi la pianta si chiama Comptonia peregrina ed è l'unico rappresentante vivente del genere Comptonia, famiglia Myricaceae. I paleontologi ne hanno identificato dozzine di specie fossili, distribuite in tutto l'emisfero settentrionale, la più antica delle quali risale al Cretaceo, 65 milioni di anni fa. Si tratta dunque di un vero fossile vivente, oggi confinato al Nord America orientale (dalla Nuova Scozia e al Manitoba a nord alla Georgia settentrionale a sud). E' un arbusto alto da un metro a un metro e mezzo, che si espande attraverso rizomi, con foglie dai margini dentati che ricordano singolarmente quelli delle felci, da cui il nome comune sweet fern, "felce dolce". L'aggettivo si riferisce al soave profumo delle foglie, percepibile anche a una certa distanza, dovuto alla presenza di oli essenziali. Per lo più monoica, porta in genere fiori femminili e maschili su piante diverse; i primi sono dei piccoli gattici arrotondati con brattee rossastre, mentre i secondi, più vistosi, sono gattici allungati giallo-verdastro. Dove trova le condizioni adatte, può formare dense colonie. Pianta adattata al freddo, è più comune nel settore più settentrionale dell'areale, dove cresce soprattutto in foreste aperte di conifere con suolo povero e acido, mentre più a sud ha una distribuzione sparsa, su suolo sabbioso, in praterie, savane e boscaglie, talvolta in querceti e pinete aperte, anche periodicamente allagati. Come adattamento agli incendi, produce semi che rimangono dormienti per decenni e germinano solo quando un incendio offre condizioni ottimali, riducendo la competizione degli alberi e degli arbusti più alti. Come adattamento a suoli poveri, è invece in grado di fissare i nitrati grazie a noduli delle foglie che non ospitano micorrize ma batteri. Qualche informazione in più nella scheda. La nostra storia comincia in un giardino di Messina; ospite del proprietario, il visconte Ruffo, una sera forse del 1662 il medico e professore universitario Marcello Malpighi vi passeggia, finché un ramo di castagno gli sbarra la strada; lo spezza, ma non lo getta; incuriosito dalla sua natura fibrosa, decide di portarselo a casa per studiarlo al microscopio. E' l'inizio dello studio dell'anatomia vegetale, di cui, insieme a Nehemiah Grew, lo scienziato emiliano è il padre fondatore. Ma anche uno dei padri dell'osservazione al microscopio, dell'embriologia e dell'anatomia comparata, lo scopritore dei capillari, dei globuli rossi, dei recettori sensoriali linguali e cutanei, dei tubuli renali che da lui prendono il nome di glomeruli di Malpighi, dello sviluppo embrionale del baco da seta e dei pulcini, e di molto altro. Recuperando un assist del solito Plumier, Linneo gli dedicò il genere Malpighia, che a sua volta dà il nome alla famiglia Malpighiaceae. E c'è ancora qualche sorpresa. Nemo profeta in patria: Malpighi e Bologna Il 28 dicembre 1667, Henry Oldenburg, segretario della Royal Society (fondata appena sei anni prima) scrive al medico e professore italiano Marcello Malpighi (1628-1691) per invitarlo a corrispondere regolarmente con la società, inviando informazioni e manoscritti su ogni soggetto interessante riguardante le scienze naturali. La lettera - segno della crescente reputazione internazionale di Malpighi - arriva in un momento delicato per lo scienziato bolognese (uno dei tanti, in realtà, della sua vita costellata di contrasti), che accetta di buon grado. Nel 1669 sarà il primo italiano a diventare membro della Society, che sosterrà finanziariamente le sue ricerche, pubblicherà la sua opera omnia e nel 1684, quando egli perde i suoi microscopi in un incendio, gli rifonderà la spesa e gli procurerà nuove lenti. Gli scontri con i sostenitori dell'ortodossia e dell'autorità di Galeno erano iniziati presto, quando Malpighi era ancora studente dell'università di Bologna. Qui prese a frequentare il circolo anatomico che si riuniva attorno a Bartolomeo Massari, dove si praticava la dissezione degli animali e, quando disponibili, di cadaveri umani, Furono forse queste frequentazioni ad attirargli l'ostilità del corpo accademico, e in particolare di Ovidio Montalbani (onnipossente professore di matematica, logica, astronomia e medicina, ma anche astrologo ufficiale della città e autore di fantasiosi almanacchi che firmava come Bumaldus, nome con il quale è entrato nella nomenclatura botanica grazie all'eponimo di Spiraea bumalda). Minacciato addirittura di morte, se volle laurearsi Malpighi dovette piegarsi a dichiarare la sua fedeltà alla medicina galenica. Fu forse per questo che, anche se gli venne proposta una cattedra di logica nell'ateneo bolognese, preferì accettare l'invito dell'arciduca Leopoldo di Toscana e si trasferì a Pisa ad insegnare medicina pratica. I tre anni trascorsi nella città toscana furono decisivi. Malpighi entrò a far parte dell'Accademia del Cimento, che si rifaceva al magistero di Galileo e al metodo sperimentale, legandosi particolarmente al matematico e naturalista Giovanni Alfonso Borelli che lo introdusse alla iatromeccanica, ovvero alla concezione - derivata dal razionalismo cartesiano - che assimilava i corpi di uomini e animali a macchine complesse. Riprese i suoi esperimenti e incontrò lo strumento che l'avrebbe accompagnato per il resto della vita: il microscopio. Nel 1659 un tragico affare di famiglia lo richiamò a Bologna: nel corso di una rissa per strada (molto simile nella dinamica all'episodio di Ludovico-fra Cristoforo nei Promessi Sposi) suo fratello Bartolomeo uccise Tommaso Sbaraglia, primogenito di una famiglia in lite con i Malpighi per questioni di confini e fratello di un altro dei rivali accademici di Marcello, Giovanni Girolamo. Bartolomeo Malpighi fu inizialmente condannato a morte, ma il fratello, grazie all'aiuto del Cardinal Farnese, riuscì a farlo rilasciare dopo meno di un anno di reclusione. Risolta l'incresciosa faccenda, Malpighi rimase a Bologna, assumendo la cattedra di medicina teorica. La sua prima importante scoperta - poi riferita nelle due epistole a Borelli De pulmonibus - è del 1660, quando indentificò la struttura spugnosa del polmone in termini di alveoli circondati da una rete di minuscoli vasi sanguigni e gettò le basi per la comprensione del processo di respirazione. L'anno successivo, partendo dall'osservazione dei polmoni di una rana, fornì la prova che confermava la teoria della circolazione del sangue di Harvey, scoprendo i capillari che mettono in relazione vene e arterie. Erano scoperte rivoluzionarie che lo resero famoso in tutta Europa, ma rinfocolarono più che mai il malanimo, il rancore e l'invidia dei tradizionalisti che, rifacendosi a Galeno, pensavano che il sangue fosse prodotto dal fegato e che i polmoni fossero costituiti da sangue coagulato. A venirgli in soccorso fu l'amico Borelli, che lo convinse a trasferirsi a Messina dove gli procurò una cattedra pagata quattro o cinque volte di più di quella bolognese. Nella città siciliana, dove Malpighi si mosse con prudenza, rinunciando persino a esercitare come medico per non suscitare risentimenti, continuò con grande successo le sue ricerche: studiò gli organi del gusto e del tatto e la loro connessione con il cervello, pubblicando poi i risultati dopo il rientro a Bologna, nel 1665, nei tre opuscoli De lingua (per lo studio delle papille della lingua si avvalse anche dell'aiuto della sua cuoca, che gli insegnò come rimuovere i due strati più superficiali di una lingua bovina, mettendo in evidenza il corpo papillare), De cerebro e De externo tactus organo. Come vedremo meglio in seguito, fu sempre a Messina che incominciò ad occuparsi di anatomia vegetale. Nonostante ogni cautela, anche nella nuova sede non tardarono a scoppiare le polemiche. Malpighi decise di rientrare a Bologna, dove gli fu assegnata la cattedra di medicina pratica e, come medico, si creò una vasta clientela che gli diede una certa agiatezza. Tuttavia, con la decisione di lasciare Messina si inimicò Borelli; fu forse per questo che accettò con entusiasmo la proposta della Royal Society da cui abbiamo preso le mosse, che lo sottraeva all'isolamento. Anche se non interruppe mai gli studi di anatomia (studiando il rene e il sangue, con la scoperta tra l'altro dei globuli rossi), i contatti londinesi lo spinsero ad allargare le sue ricerche, oltre che all'anatomia vegetale, all'embriologia, con De bombyce, sui bachi da seta, 1669 e soprattutto il fondamentale De formatione pulli in ovo, 1673, sull'embrione del pulcino, entrambi pubblicati a Londra a spese della Royal Society. La sua carriera scientifica e la fama internazionale avevano raggiunto l'apice, tanto che dal 1687 la Royal Society ne pubblicò l'opera omnia; ma non bastò per tacitare le polemiche nella provinciale Bologna. Nel 1676 il botanico Giovanni Battista Trionfetti attaccò e cercò di ridicolizzare i suoi studi sull'anatomia vegetale; nel 1689 il libello De recentiorum medicorum studio dissertatio epistolaris ad amicum, uscito anonimo, ma dovuto all'arcinemico Giovanni Girolamo Sbaraglia, sostenne l'inutilità dal punto di vista pratico delle indagini anatomiche e delle osservazioni al microscopio, difendendo le cure tradizionali che si rifacevano all'esperienza diretta e all'insegnamento degli antichi. Nel 1683 la casa di Bologna di Malpighi andò distrutta in un incendio; fu in questa occasione che la Royal Society gli venne in soccorso per ripristinare i preziosi microscopi. Sembra invece non sia mai avvenuta l'incursione nella sua casa di campagna di un gruppo di uomini mascherati guidato da Sbaraglia, che Malpighi racconta in una lettera a un amico: non è il racconto di un fatto reale - come a lungo si è creduto -, ma la metafora grottesca degli attacchi alla sua reputazione subiti da Sbaraglia e soci. Malpighi era ormai stanco delle polemiche; si facevano sentire anche l'età e crescenti problemi di salute. Nel 1691, una nuova svolta: l'ex cardinale di Bologna Antonio Pignatelli venne eletto papa con il nome di Innocenzio XII, e volle con sé il vecchio amico Malpighi come medico personale; nonostante fosse riluttante a lasciare la sua città, egli non poté rifiutare. Il pontefice lo nominò addirittura Cameriere segreto, con lo status ecclesiastico di monsignore e il diritto di esercitare liberamente la professione a Roma; con il che, cessarono anche gli attacchi alla sua persona, ormai divenuta intoccabile. Ma soltanto tre anni dopo moriva in seguito a due colpi apoplettici. Un trattato sull'anatomia delle piante All'origine dell'interesse di Malpighi per l'anatomia delle piante, c'è un piccolo episodio (l'equivalente della mela di Newton) e un convincimento scientifico profondo. Racconta lo stesso Malpighi che quando viveva a Messina (siamo probabilmente nel 1662) una sera stava passeggiando nel giardino di uno dei suoi protettori, il visconte Ruffo; a un certo punto, si imbatté in un ramo di castagno che gli sbarrava la strada; lo spezzò, ma, anziché gettarlo, da quel grande osservatore che era, fu subito colpito dalla sua natura fibrosa. Lo portò a casa e lo esaminò al microscopio, osservando la struttura che oggi chiamiamo xilema, Il convincimento scientifico è quello dell'uniformità della natura, che opera con i medesimi meccanismi in tutti suoi regni. Lo studio dell'anatomia delle piante sarà dunque un grimaldello per comprendere le strutture di organismi più complessi, come egli stesso spiega nella prefazione di Anathome plantarum: "La natura delle cose, avvolta nelle tenebre, si svela solo con metodo analogico, e deve essere investigata nella sua totalità, affinché noi, attraverso lo studio delle macchine più semplici e più accessibili ai sensi, possiamo risolvere la struttura di quelle più complicate". In giovinezza aveva studiato essenzialmente l'anatomia dell'uomo e degli animali "perfetti", ma per comprenderla aveva dovuto passare a quelli più semplici: "questi, avvolti nelle proprie tenebre, rimangono nell'oscurità; per cui è necessario studiarli analogicamente attraverso gli animali semplici. Mi arrise quindi l'indagine degli insetti; ma anche questa comporta le sue difficoltà. Finii quindi a rivolgermi alle piante, in modo che una lunga esplorazione di questo mondo mi aprisse la strada per ritornare ai miei primi studi, partendo dal gradino della natura vegetante". Quando entra in contatto con la Royal Society, ha già fatto molti passi avanti in questo campo e nel 1674 è in grado di inviare a Londra il manoscritto di quello che diverrà il primo volume di Anatome plantarum, pubblicato l'anno successivo dalla società londinese; il libro, scritto in latino, comprende 82 pagine, più un'appendice con il saggio sull'embrione dei pulcini, 54 tavole in bianco e nero con 336 figure, basate su disegni dello stesso Malpighi, un eccellente disegnatore. Solo una quindicina riproducono strutture viste al microscopio perché anche Malpighi, come Grew, integra l'osservazione a occhio nudo (o con una lente di ingrandimento) con quella al microscopio. Dunque lo stesso termine Anatome va inteso più come Morfologia che come anatomia in senso stretto. Nell'introduzione Malpighi rivendica l'importanza metodologica dello studio dell'anatomia delle piante, in precedenza ritenute organismi indifferenziati e privi di organi; egli le concepisce invece come un sistema che può essere diviso in parti con relazioni sinergiche, dunque veri e propri organi. Quindi li passa in rassegna analiticamente, a iniziare dal tronco con la corteccia (cortex) cui è dedicato il primo capitolo. Seguono le parti del fusto (de partibus caulem vel caudicem componentibus), in cui i termini caulis e caudex indicano rispettivamente lo stelo delle piante erbacee e il tronco di quelle legnose. Si passa quindi alla crescita della corteccia e ai nodi (de caudices augumento & nodis) con l'individuazione degli anelli di crescita annuale, di un cilindro legnoso, fasci fibrosi e fasci legnosi. Il quarto capitolo è dedicato alle gemme (de gemmis) di cui è correttamente riconosciuto il ruolo nella produzione di foglie e foglioline, nel caso di piante con foglie composte; vengono esaminate le gemme di varie piante, di cui è riprodotta la sezione longitudinale, e viene descritta la forma generale di varie foglie, poi esaminate nel capitolo successivo (de foliis). Con il sesto capitolo si passa ai fiori (de floribus) di cui Malpighi riconosce esplicitamente il ruolo nella riproduzione, descrivendone varie parti anche se in modo impreciso, e analizzando diversi tipi di fiori e infiorescenze. Non stupisce che il biologo bolognese, che in quegli stessi anni studiava l'embriologia animale, riservi il capitolo più ampio alla formazione del seme (de seminum generatione), dedicato alla fecondazione, alla formazione dell'embrione e alle prime fasi dell'emergenza della plantula, esplicitamente collegata al seme (seminalis plantula). Va nello stesso senso il capitolo successivo, dedicato alla formazione del frutto, significativamente non chiamato così, ma utero (de uterorum augumento & ipsorum succedente forma), presumibilmente inteso come ovario; vengono poi descritti diversi tipi di frutti in modo piuttosto esatto, anche se con una terminologia a volte imprecisa (viene però introdotto il termine pericarpo). Il nono e ultimo capitolo (De secundinis (et) contento plantarum foetu) ritorna sulla questione della formazione dell'embrione prima della germinazione del seme e della nascita della plantula. Nel 1679, sempre a spese della Royal Society, uscì una seconda parte, un volume di 93 pagine e 39 tavole, con 142 figure. Mentre la prima parte può essere considerata un trattato generale sull'anatomia della piante, la seconda parte si occupa essenzialmente di malformazioni e anomalie e strutture specifiche e in qualche senso curiose, con capitoli dedicati a galle, tumori e altre formazioni ipertrofiche, a peli, spine, viticci e formazioni analoghe, a piante eterotrofe e parassite. Di particolare interesse il capitolo sulle galle, che Malpighi spiegò correttamente come escrescenze prodotte dalla deposizione di uova da parte di particolari insetti; una spiegazione che fu contestata tra gli altri da Francesco Redi. In sintesi, in tutti i variegati campi in cui operò, Malpighi aprì nuovi orizzonti o, per dirla con il contemporaneo Domenico Gagliardi (Anatomes Ossium Novis Inventis Illustratae Pars Prima, 1689), nuovi mondi: "come un secondo Colombo del microcosmo, egli scoprì non soltanto uno, ma innumerevoli nuovi mondi nella sola struttura delle viscere", e - potremmo aggiungere - delle piante. Omaggi floreali L'ammirazione di Gagliardi è condivisa da Charles Plumier che pochi anni dopo la morte di Malpighi, nel suo Nova plantarum americanarum genera (1703) lo celebra con la dedica del genere Malpighia, accompagnata da un vero peana: "Il celeberrimo Marcello Malpighi bolognese, professore di medicina, archiatra del sommo pontefice Innocenzio XII, filosofo eminentissimo, membro della Royal Society, accuratissimo esploratore delle opere della natura, gettò le basi della vera anatomia delle piante con un'opera degna di ogni ammirazione, ovvero un ricchissimo tesoro botanico-anatomico che abbraccia 24 trattati". Linneo riprende la proposta in Hortus Cliffortianus e la ufficializza in Species plantarum. Oggi Malpighia è il genere tipo di un'intera famiglia, Malpighiaceae, con oltre 70 generi e 1300 specie, che a sua volta dà il nome a uno dei più vasti ordini delle Angiosperme, Malpighiales, cui fanno capo 36 famiglie e più di 16000 specie (l'8,5% delle Eudicotiledoni). Non male per il bistrattato Malpighi! che del resto è un nome familiare persino agli studenti delle scuole medie, ricordato da parti anatomiche, istituti e accademie, piazze e strade, un'isola dell'Antartide e un asteroide, mentre quello del rivale Sbaraglia è noto solo a pochi specialisti. Malpighia L. comprende un centinaio specie di arbusti e piccoli alberi nativi dell'America tropicale e subtropicale, dal Texas e dalla Baja California a Nord al Perù settentrionale a Sud, passando per l'America centrale e le Antille, dove troviamo il centro di diversità, con 58 specie (di cui 53 endemiche) nell'isola di Cuba. Sempreverdi e molto ramificati, hanno spesso dense chiome, rami spinosi o densamente pelosi, foglie semplici, fiori solitari o raccolti in umbelle, con cinque petali unghuiculati bianchi, rosa, rossi o viola, seguiti da un drupa dall'aspetto simile a una ciliegia. E sono proprio i frutti a far apprezzare la specie più nota, M. emarginata, nota con il nome comune acerola o ciliegia delle Barbados. Dal gusto delizioso, i frutti di acerola sono anche molto salutari perché contengono un'altissima percentuale di vitamina C (sei volte quella dell'arancia), nonché vitamine A, B1, B2 e B3, carotenidi e bioflavonidi; oltre che freschi, vengono consumati sotto forma di succo, marmellata e gelatina; l'estratto del succo è utilizzato, sotto forma di pastiglie, come integratore con ottime proprietà antiossidanti. In alcune erboristerie sono anche disponibili panetti di polpa essiccata. M. emarginata è talvolta confusa con M. glabra, che tuttavia ha fiori assai diversi e frutti più piccoli e insipidi. Ha invece essenzialmente usi ornamentali M. coccigera, un arbusto originario dei Caraibi, con foglie dai margini spinosi che ricordano quelle dell'agrifoglio e fiori con petali bianchi frastagliati seguiti da bacche rosse molto apprezzate dagli uccelli. Sempre nell'ambito delle Malpighiaceae, troviamo ancora due omaggi indiretti a Malpighi. Il primo è il genere Malpighiodes Nied. (ovvero "affine a Malpighia"), che comprende quattro specie di liane legnose diffuse tra il Venezuela, le Guiane e il Brasile settentrionale. Il maggiore tratto distintivo sono le aeree infiorescenze a dicasio, con 4 o 8 fiori portati in coppie di umbelle o corimbi; le corolle, a simmetria bilaterale, hanno petalo posteriore differente dagli altri quattro; il frutto è una samara con ali membranacee o ridotte. Sorprendentemente, si rifà a Malpighia anche il genere Galphimia: infatti ne è l'anagramma! L'enigmista che si divertì con questo gioco di parole non è altri che l'abate Cavanilles, il direttore dell'orto botanico di Madrid. Con circa 25 specie di grandi erbacee, arbusti e piccoli alberi, si estende dal Messico al bacino dell'Amazzonia, con centro di diversità in Messico, con una ventina di specie. Quella più nota è la bella G. gracilis, un arbusto originario del Messico orientale, spesso coltivato nei giardini a clima mite per l'alta resistenza alla siccità e i racemi di brillanti fiori gialli. Tanto per fare un po' di confusione, è commercializzata anche come G. brasiliensis o G. glauca (o anche Tyrallis brasiliensis e T. glauca), che però sono specie diverse. Dalle foglie e dai fiori essiccati di G. glauca si ricava un tè con proprietà rilassanti, dovute alla presenza di galpimina B; ecco perché in Messico è nota come noche buena o buena noche, la pianta della buona notte. Estratti di questa pianta sono usati in fitoterapia e omeopatia per contenere i disturbi da ansia e alcune allergie. Nella seconda metà del Seicento, due studiosi con le loro ricerche innovative al microscopio si qualificano come padri dell'anatomia vegetale: sono l'italiano Marcello Malpighi e l'inglese Nehemiah Grew. Entrambi sono sponsorizzati e finanziati dalla Royal Society di Londra, e dimostrano grande stima l'uno per l'altro, anziché litigare furiosamente per la primogenitura delle scoperte, come in quegli stessi anni fanno Newton e Liebnitz, o giurarsi odio eterno per una divergenza d'opinioni come lo stesso Newton e Hooke. Neanche in questo blog li faremo litigare: entrambi dedicatari di generi di piante, meritano un post ciascuno. Iniziamo dal più giovane, ma anche quello che pubblicò per primo: Nejemiah Grew, dedicatario di Grewia (Malvaceae) Studiare le piante con il microscopio I primi microscopi vennero fabbricati intorno al 1590 da artigiani di Leida; utilizzavano diverse lenti sovrapposte, tra le quali veniva inserita dell'acqua, ed erano ancora molto insoddisfacenti, Perché acquisissero una risoluzione accettabile bisognò attendere circa mezzo secolo, con i perfezionamenti introdotti dallo scienziato inglese Robert Hooke (1635-1703), che gli permisero una serie di scoperte entusiasticamente esposte in Micrographia restaurata (1665); per la botanica, la più importante è la scoperta delle cellule, che egli osservò nel sughero. Nel 1660 venne fondata la Royal Society, e dal 1662 Hooke ne divenne il curatore degli esperimenti. La nuova società scientifica incoraggiò le ricerche microscopiche non solo di Hooke, ma anche di altri due soci: l'italiano Marcello Malpighi (1628-1694), membro corrispondente dal 1669, e l'inglese Nehemiah Grew (1641-1712), membro dal 1672 e segretario della società insieme allo stesso Hooke tra il 1677 e il 1679. Le ricerche dell'italiano e dell'inglese procedettero in contemporanea e sono un caso singolare e felice di scoperta parallela, senza le gelosie e le rivalità che contrapposero - in modo feroce - Newton a Hooke o a Leibnitz. Secondo le loro stesse dichiarazioni, Malpighi iniziò i suoi studi anatomici mediante il microscopio intorno al 1661, il più giovane Grew ad appena tre anni di distanza, nel 1664. Nel 1670 o all'inizio del 1671 egli comunicò i primi risultati delle proprie ricerche in un saggio che la Royal Society pubblicò nel novembre 1671 con il titolo The Anatomy of Vegetables begun. Circa un mese dopo, nella seduta del 21 dicembre (la stessa in cui fu presentata la candidatura di Newton), venne letta una comunicazione sullo stesso argomento inviata dall'Italia da Malpighi. Negli anni successivi tra i due scienziati si instaurò un rapporto di grande stima, anche se ostacoli materiali impedirono una vera collaborazione; una missiva o un pacco spediti dall'Italia potevano metterci sei mesi a raggiungere Londra (e viceversa), e non era infrequente andasse perduto, Ad esempio, sappiamo che il trattato sulle radici di Grew, pubblicato nel 1673, fu affidato a Boccone perché lo consegnasse a Malpighi, ma il botanico, anziché proseguire per l'Italia, si trattenne ad Amsterdam, e il libro non arrivò mai allo scienziato bolognese, che non poté tenerne conto. Ecco dunque che le ricerche dei due padri dell'anatomia vegetale proseguirono in modo parallelo ma diverso, riflettendo anche le differenti personalità dei due, come sottolinea Anne Arbor nel suo saggio Nehemiah Grew (1641-1712) and Marcello Malpighi (1628-1694): An Essay in Comparison (1942). Riservando a Malpighi un altro post, soffermiamoci dunque per ora su Nehemiah Grew. Nato a Mancetter nel Warwickshire, era figlio del vicario non conformista di una parrocchia di Covenrty, che come lui portava un altisonante nome biblico: Obadiah Grew. Nehemiah studiò al Pembroke College di Cambridge e probabilmente frequentò il circolo di naturalisti che si riuniva intorno a John Ray; tuttavia, nel 1662, in seguito alla restaurazione, sia il neodiplomato Grew sia Ray dovettero lasciare l'università in quanto non conformisti. La stessa sorte toccò al fratellastro di Grew Henry Sampson (nato dal primo matrimonio della madre), che completò gli studi di medicina a Padova e a Leida. Poco dopo aver lasciato Cambridge, Nehemiah Grew cominciò a interessarsi all'anatomia dei vegetali, un argomento già di per sé rivoluzionario, dato che all'epoca si pensava generalmente che le piante non avessero organi interni con funzioni differenziate e che il loro aspetto esterno fosse una "chiave" fornita dal buon Dio per riconoscerne le virtù medicinali, secondo al diffusa teoria delle segnature. Grew iniziò coltivando diverse piante a partire dai semi e studiandone le fasi di sviluppo; l'idea di accostare all'osservazione "a occhio nudo" quella microscopica gli fu suggerita da letture come Anathomia hepatis di Glisson (1654) - che ipotizzava l'utilità generale dello studio anatomico dei vegetali, in quanto più semplici degli animali - o la stessa Micrographia di Hooke, che contiene anche dieci tavole con forme e strutture vegetali viste al microscopio. Ma a un certo punto le necessità della vita imposero a Grew di trovarsi una professione. La carriera ecclesiastica, tradizionale nella sua famiglia, gli era preclusa. Nel 1666 il padre, come non conformista, perse il lavoro di vicario (più tardi sarebbe stato anche incarcerato per le sue idee). Seguendo l'esempio del fratellastro, Grew optò per la medicina; nel luglio del 1671, con un viaggio lampo, si recò a Leida e vi rimase giusto i pochi giorni necessari per presentare la tesi e laurearsi. Quindi tornò a Coventry e avviò una carriera di medico. A cambiare la sua vita (e la storia della biologia) fu il fratellastro Henry Sampson. Dopo la laurea si era stabilito a Londra, dove lavorava come medico ed era entrato in contatto con Henry Oldenburg, il segretario della neonata Royal Society; gli parlò delle ricerche di Nehemiah e alla fine del 1670 o nei primissimi giorni del 1671 gli fece avere un manoscritto con i risultati delle sue prime ricerche; nel maggio 1671 la Royal Society lo accettò e lo pubblicò all'inizio di novembre come The Anathomy of Vegetables begun. Al di là del titolo modesto, è uno studio particolareggiato e attentissimo di tutte le strutture dei vegetali, che guadagnò a Grew l'immediata ammissione alla Royal Society. Come ho anticipato, pochi giorni dopo la sua pubblicazione giunse a Londra e fu letta la comunicazione di Malpighi sullo stesso argomento. Forse Grew temeva di essere messo da parte, a favore del più vecchio e più quotato collega; invece l'altro segretario della Society, il vescovo John Wilkins, sentenziò che in un campo così nuovo il lavoro parallelo e indipendente di due ricercatori avrebbe ridotto gli errori e moltiplicato gli avanzamenti e convinse Grew a trasferirsi a Londra. Nell'aprile 1672 Grew divenne curatore del gabinetto di curiosità della società con uno stipendio di 50 sterline; garantita da una sottoscrizione di dieci privati, che in parte si tirarono ben presto indietro, di fatto la somma non gli fu mai versata interamente; almeno sul piano simbolico, è comunque una tappa verso la professionalizzazione degli scienziati: per la prima volta, uno studioso veniva pagato per svolgere una ricerca su un argomento specifico. Grazie a Hooke, Grew, che fino ad allora aveva utilizzato uno strumento molto scarso, ebbe a disposizione un microscopio di qualità superiore. Il risultato fu una serie di comunicazioni lette alle sedute della Society del 1672 e riunite nel 1673 in Idea of a Phytological History; è un testo essenzialmente metodologico, che schematizza i vari metodi di osservazione delle piante. Tra il maggio 1672 e l'aprile 1674 Grew si dedicò alla sistematica analisi anatomica delle radici e di steli e tronchi, esponendo i risultati rispettivamente in Anatomy of Roots e Anatomy of Trunks. Ulteriori lavori su foglie, fiori, frutti e semi seguirono tra il 1676 e il 1677. A un certo punto, lo stipendio venne meno, e Grew tornò per breve tempo a Coventry. Tuttavia dopo la morte di Oldenburg lo sostituì come segretario della Royal Society, incarico che mantenne tra il 1677 e il 1679, curando tra l'altro la pubblicazione di cinque numeri delle Philosophical Transactions, e la redazione del catalogo del gabinetto delle curiosità Museum Regalis Societatis (1681), in cui è evidente il passaggio dall'interesse per lo strano e il mostruoso all'osservazione e alla catalogazione sistematica della natura. Le ricerche di Grew sull'anatomia vegetale confluirono infine in Anatomy of Plants, pubblicato sotto il patrocinio della Royal Society nel 1682: è una grande opera in folio che riprende in gran parte i lavori precedenti e si articola in quattro volumi: Anatomy of Vegetables begun, Anatomy of Roots, Anatomy of Trunks and Anatomy of Leaves, Flowers, Fruits and Seeds, con un'appendice di sette articoli di argomento chimico, principalmente dedicati all'analisi di prodotti vegetali. Impressionanti per finezza e precisione dei dettagli le 83 tavole con le sezioni anatomiche al microscopio. Non meno innovativi i contenuti di questa pietra miliare della storia della biologia vegetale. L'idea guida di Grew è che tra animali e piante ci sia un'affinità e che negli uni come nelle altre si trovino organi deputati alle diverse funzioni. Egli dunque esamina e descrive con estrema precisione la struttura delle diverse parti delle piante (radici, fusto, foglie, fiori, frutti e semi), osservate dapprima a occhio nudo, poi al microscopio. Partendo dalla scoperta della cellula da parte di Hooke (un termine che questi aveva ripreso dalle celle degli alveari), egli individua nei tessuti vegetali due "parti organiche essenzialmente distinte", la parte legnosa e la parte del midollo, composta da cellule (che egli chiama vesciche) indifferenziate separate da spazi vuoti. Riprendendo un termine già usato da Glisson la chiama parenchima, un termine ancora oggi usato nello stesso significato. Le fasi della germinazione del seme sono studiate con attenzione; Grew chiama i cotiledoni "foglie", ma comprende che si tratta dei "lobi" dei semi e verifica che in alcuni casi rimangono sotterranei; descrive con accuratezza vari modi di vernalizzazione del germoglio; osserva i movimenti dei viticci e nota che non tutti si avvolgono nella stessa direzione. Fu anche il primo ad estrarre la clorofilla, dissolvendola in olio. La parte più innovativa è però l'esame delle strutture del fiore, dal boccio all'antesi; Grew riconosce che i sepali che formano il calice sono foglie modificate, mostra che i capolini delle Asteraceae sono infiorescenze formate da molte parti, ipotizza correttamente la funzione del pistillo come organo femminile e degli stami come organi maschili, di cui il polline è il seme. Fu il primo a studiare al microscopio il polline, constatando che i granuli di polline delle diverse specie sono diversi tra loro, mentre quelli della stessa specie sono identici. Al momento della pubblicazione di Anatomy of Plants Grew aveva solo 41 anni, e ne avrebbe vissuti altri trenta. A partire dal 1680, visti gli scarsissimi emolumenti pagati dalla Royal Society, si dedicò soprattutto alla professione medica, con notevole successo. Gli interessi scientifici non si spensero, ma passarono in secondo piano e si dispersero in una moltitudine di soggetti: studiò la struttura della neve, la composizione chimica dei sali marini e dei sali delle acque termali, osservò e descrisse i pori, le pieghe e le creste cutanee presenti sulla superficie delle mani e dei piedi e nel 1684 pubblicò i primi accurati disegni di impronte digitali. L'ultimo scritto, Cosmologia Sacra, è un ritorno alle origini familiari, trattandosi di un trattato teologico che intende dimostrare "la verità e l'eccellenza della Bibbia". Una sintesi della vita del poliedrico personaggio nella sezione biografie. Fiori a stella e frutti rinfrescanti Fu Linneo in persona a celebrare il padre dell'anatomia vegetale e della palinologia (la scienza dei pollini) dedicandogli il genere Grewia. Dalla dedica in Hortus Cliffortianus è evidente che ne aveva grandissima stima: "Consacrata alla memoria dell'inglese Nehemiah Grew, abilissimo e sagacissimo anatomista delle piante". Anche la bellezza delle due specie che egli assegnò inizialmente al nuovo genere, G. occidentalis e G. orientalis, testimonia questa stima. Dai tempi di Linneo il genere è cresciuto assai e oggi gli sono assegnate oltre 280 specie di alberi e arbusti diffusi nelle aree tropicali e subtropicali di Africa, Asia e Oceania, in una varietà di ambienti. Un tempo assegnato alle Tiliaceae o alle Sparmanniaceae, oggi - non senza molti dubbi - il genere fa parte delle Malvaceae. Comprende piccoli alberi o grandi arbusti solitamente piuttosto ramificati, con giovani rami pelosi, foglie alternate con margini serrati o raramente lobati, fiori a stella, solitari o raccolti in cime, con sepali più lunghi dei petali, e in genere dello stesso colore (bianchi, gialli, rosa o lilla), con un folto ciuffo di stami al centro. Alcune specie sono coltivate per le fioriture molto attraenti; quella più nota e più facilmente disponibile da noi è la sudafricana G. occidentalis, un bell'arbusto con piccole foglie lucide, sepali e petali lilla e stami giallo-arancio. Ugualmente sudafricana e di notevole impatto estetico è G. lasiocarpa, con grandi foglie quasi circolari e fiori rosa chiaro, seguiti da bacche quadrilobate che maturando diventano nere e rimangono a lungo sulla pianta. Sono proprio i frutti a costituire il maggiore richiamo di diverse specie, e non solo per gli uccelli e per gli altri animali selvatici che, cibandosene, favoriscono la dispersione e la germinazione dei semi. In Asia, G. asiatica, comunemente nota come falsa o phalsa, è intensamente coltivata per le piccole bacche che maturano d'estate e vengono utilizzate per produrre sciroppi e bevande rinfrescanti dal gusto acidulo e dalle proprietà astringenti. La medicina Ayurvedica attribuisce proprietà medicinali ai frutti, ma anche alle radici, alla corteccia, alle foglie e ai germogli. Da G. mollis, nativa dell'Africa tropicale, dello Yemen e dell'Oman, si ricava invece una gomma edibile, un polisaccaride mucillaginoso che trova impiego come eccipiente in farmacia. Diverse altre specie hanno notevole importanza ecologica, come alimento degli animali selvatici, compreso il raro rinoceronte nero. Altre informazioni nella scheda. Nel Seicento, la lontana Danzica diventa uno snodo centrale del commercio olandese con la Polonia, la Prussia orientale e la Russia. Nella città casciuba si stabilisce una fiorente colonia di mercanti olandesi che commerciano, tra l'altro, la cocciniglia polacca, all'epoca ancora abbondante anche se sta già subendo la concorrenza della meno costosa cocciniglia messicana. Proprio a questo piccolo insetto deve la sua fortuna il ricchissimo mercante Jacob Breyne, che unisce all'abilità negli affari una sfrenata passione per le piante: quelle di casa, che studia e raccoglie nei suoi erbari, e quelle esotiche, che, trasportate dalle navi delle compagnie olandesi, l'EIC e la VOC, dai quattro angoli del mondo, si riversano sempre più numerose negli orti botanici di Leida e Amsterdam e nei "paradisi" (ovvero i giardini privati) dei magnati della giovane Repubblica delle province unite. In occasione dei ricorrenti viaggi nel paese d'origine della sua famiglia, Breyne li visita, osserva e annota le novità, e si porta a casa quello che può, ad arricchire il suo stesso "paradiso". Alle esotiche dedica non meno di tre libri, il primo dei quali, curatissimo nella veste editoriale e nell'apparato iconografico, affidato a pittori e incisori di vaglia, è un capolavoro dell'editoria botanica secentesca. Con questi libri, anticipando tutti, è spesso il primo a far conoscere novità sudafricane destinate a grande fortuna, come Pelargonium, Agapanthus, Mesembrianthemum. E' bravo anche a stabilire rapporti umani, creando una vasta rete di contatti che negli ultimi anni della sua vita si estende anche alla nuova potenza coloniale (e orticola) emergente: l'Inghilterra. Insieme al giardino, alla biblioteca, alle collezioni naturalistiche, la lascia in eredità al figlio Johann Philipp, che la allargherà ulteriormente e diventerà un membro riconosciuto dell'establishment scientifico internazionale. A ricordare entrambi, il loro splendido giardino e le loro opere che fecero conoscere tante piante rare, il genere Breynia (Phyllantaceae). Un mercante olandese a Danzica Nel Seicento, la Repubblica delle Province unite aveva forti legami commerciali con Danzica, all'epoca il maggiore porto del Baltico, oltre che una città cosmopolita appartenente al Regno di Polonia ma con una forte presenza tedesca. I mercanti olandesi commerciavano soprattutto granaglie e l'apprezzatissimo colorante rosso ricavato dalla cocciniglia polacca, Porphyrophora polonica. La città casciuba era una piazza così importante che spesso, invece di avvalersi di agenti locali, per seguire gli affari sul posto vi mandavano un figlio cadetto. Questo destino toccò anche a Jacob Breyne senior, membro di una famiglia di mercanti che dal Brabante si era trasferita nei Paesi Bassi nel 1585, in seguito all'assedio di Anversa. A Danzica Jacob fece fortuna trasportando a Amsterdam e Leida piante medicinali e cocciniglia; si sposò con Anna Moorman, anch'essa appartenente a una famiglia di origine olandese, e nel 1637 ne ebbe un figlio: è il nostro Jacob Breyne (1637-1697), il primo protagonista di questa storia. Grazie alle buone disponibilità finanziarie del padre, egli ricevette un'ottima educazione e incominciò presto a interessarsi di scienze naturali, che del resto erano anche un ferro del mestiere per chi commerciava merci ricavate da animali e piante. Uno dei suoi professori al ginnasio accademico, Christian Mentzel, che vi insegnò dal 1648 al 1650, lo coinvolse nelle sue ricerche sulla flora locale, insegnandogli le tecniche per predisporre un erbario. All'inizio degli anni '50, il padre lo inviò a Leida da suo fratello Pieter per imparare le tecniche commerciali; Jacob junior ne approfittò per seguire le lezioni di botanica di Adolf Vortsius (1624-1663), prefetto dell'orto botanico, nelle cui aiuole egli incontrò la passione della sua vita: le piante esotiche. Dotato di un gran talento per i rapporti umani, strinse amicizie durevoli sia nell'ambiente universitario sia tra i ricchi possidenti che nei loro giardini (Paul Hermann li chiamò giustamente "paradisi") facevano a gara a coltivare le specie più rare e nuove portate ad Amsterdam dalle navi delle due compagnie olandesi, l'EIC (Compagnia olandese delle Indie occidentali) e la VOC (Compagnia olandese delle Indie orientali). Alla morte del padre nel 1655, Jacob Breyne si stabilì definitamente a Danzica, ma mantenne i contatti con l'Olanda, che visitava periodicamente. Allargò il giro d'affari della famiglia, estendendolo anche all'Inghilterra. Senza però dimenticare la passione per le scienze naturali: nella sua bella casa nella centralissima via Długa creò una notevole collezione di naturalia e una fornitissima biblioteca; in una delle sue proprietà (non ne conosciamo l'ubicazione) creò anche un orto botanico privato, ispirato ai paradisi che tanto aveva ammirato nei Paesi Bassi. Riprese anche a esplorare la flora locale; all'inizio, doveva essere poco più di un passatempo. Visitava i dintorni della città e sistemava le piante che veniva raccogliendo in un erbario con i nomi in olandese e talvolta qualche annotazione sull'aspetto generale; era una specie di diario botanico privato che chiamava Herbarium vivum (la copia che ci è giunta risale al 1659). Ma negli anni '70, con una situazione economica ormai orientata al bello stabile, poté dedicare più tempo alla botanica e concepire due progetti paralleli e complementari: da una parte esplorare e fare conoscere la flora locale, dall'altra documentare le novità esotiche introdotte nei giardini europei dagli olandesi. Complementari perché, per i naturalisti del Seicento, la flora della Casciubia e della Prussia orientale era non meno esotica e inesplorata di quella sudamericana, sudafricana o indonesiana. Avvalendosi probabilmente anche di una rete di informatori e raccoglitori, nel 1673 Breyne creò un secondo, assai più ambizioso erbario, Plantes rariores borussicae et casubicae ("Piante più rare della Prussia e della Casciubia"), un corposo manoscritto in quattro volumi con i nomi e le annotazioni in latino. Con i duplicati, ne creò anche un certo numero di copie, dal contenuto variabile, che inviava come dono a protettori, amici e corrispondenti; il più importante era sicuramente l'influente uomo politico Hieronymus van Beverningh, che fu anche curatore dell'università di Leida, città nei cui dintorni possedeva uno dei più spettacolari "paradisi" della Repubblica. Nel 1697, l'anno stesso della morte di Breyne, una copia raggiunse anche James Petiver, con il quale il mercante corrispondeva da qualche anno e dal quale aveva ottenuto semi di varie piante nordamericane coltivate a Chelsea. Pur vivendo in un luogo apparentemente periferico, Breyne riuscì infatti ad inserirsi brillantemente nella grande rete dei naturalisti europei che scambiavano disegni, fogli di erbario, semi, tuberi e bulbi di piante esotiche, potendo anche approfittare dei legami commerciali della sua famiglia con l'EIC e la VOC. In cambio di esemplari dell'altrettanto esotica flora della Polonia settentrionale, riceveva materiali e preziose informazioni dai quattro angoli dell'impero olandese. Tra gli agenti della VOC con cui fu in contatto, vale la pena di citare almeno Willem ten Rhijne, medico delle VOC a Dejima tra il 1674 e il 1676, e Paul Hermann, che prima di diventare prefetto dell'orto botanico di Leida, aveva visitato Ceylon e il Capo di Buona Speranza. Dai suoi periodici viaggi in Olanda, durante i quali non mancava mai di informarsi sulle novità orticole e di visitare i più bei giardini, Breyne riportò anche l'attrezzatura per creare una propria tipografia, alla quale nel 1677-78 affidò la stampa di Exoticarum aliarumque minus cognitarum plantarum centuria prima, un corposo e curatissimo in folio con splendide illustrazioni dovute ai migliori artisti locali, tra cui il pittore Andreas (o Andrzej) Stech e l'incisore Isaak Steel. Il libro, dedicato a Hieronymus van Beverningh, contiene la presentazione in latino di cento piante, una ventina delle quali raccolte da lui stesso nella Polonia settentrionale, le altre osservate nei giardini olandesi o segnalate dai suoi corrispondenti; tra le prime Geum rivale, Pulsatilla pratensis, Pulsatilla patens, Saxifraga hirculus. Le seconde sono quasi un'epitome dei traffici olandesi nel secolo d'oro: ci sono parecchie americane, giunte dal Suriname ma anche da altre parti del centro e sud America, come la splendida Caesalpinia pulcherrima (che Breyne chiama Crista pavonis, cresta di pavone), Asclepias curassavica e Jatropha multifida; da Ceylon o da Giava arrivano Gomphrena globosa, Clitoria ternatera L., Hibiscus rosa-sinensis (Breyne lo chiama Alcea javanica arborescens flore pleno, a segnalare che gli olandesi l'hanno incontrato a Giava, in una forma coltivata e stradoppia) e una delle piante che da Breyne prenderanno il nome, Frutex indicus baccifer vitis ideae secundae clusii foliis, oggi Breynia vitis-idaea; grazie a Willem ten Rhijne, dal Giappone abbiamo la canfora (Cinnamomum camphora) e la prima rappresentazione a stampa del tè The Sinensum, sive Tsia japonensibus (Camellia sinensis). Ma a fare la parte del leone è il Sudafrica, grazie allo stesso ten Rhijne ma soprattutto alle raccolte di Paul Hermann: ecco la oggi assai nota Leonotis leonurus, i primi pelargoni, Pelargonium triste e P. lacerum, parecchie Aizoaceae tra cui Cylindrophyllum calamiforme, che campeggia in un elegante vaso al centro del frontespizio, la prima Proteacea Protea conifera, la prima Restionacea Restio dichotomus. E poi ancora le bulbose Wachendorfia paniculata, Drimia elata, Oxalis purpurea, e quello che Linneo chiamò in suo onore Tulipa breyniana, oggi Moraea collina. In appendice Breyne pubblicò un trattatello sul tè scritto dal caro amico (così lo definisce, summus amicus meus) Willem ten Rhijne. Breyne sperava di pubblicare una seconda centuria; nel 1680 ne diede un'anticipazione in Prodromus fasciculi rariorum plantarum, dedicato alle piante esotiche osservate - in occasione di un viaggio del 1670 - nell'orto botanico di Leida e nei giardini di Beverningh e altri appassionati, incluso Jan Commelin, futuro commissario dell'Orto botanico di Amsterdam; nel 1689 ne pubblicò una seconda edizione, Prodromus fasciculti rariorum plantarum secundus, che include le piante viste nel viaggio in Olanda dell'estate di quello stesso anno; qui Breyne aveva potuto tra l'altro incontrare il giardiniere Georg Meister, di ritorno da Batavia e dal Giappone, che gli consegnò un pacco di esemplari inviati da Andreas Cleyer. Ad assisterlo nella pubblicazione fu il figlio Johann Philipp che all'epoca aveva solo nove anni. Sono opere di minor impegno rispetto alla Centuria prima: in entrambi i casi, si tratta una lista di piante in ordine alfabetico, priva di illustrazioni, con una descrizione sintetica e l'indicazione di dove le vide e se poté averne semi o talee. Le sudafricane anche qui hanno il primato, con l'arrivo di Agapanthus e Mesembrynathemum; da segnalare anche la pubblicazione della prima Nepenthes, raccolta da Hermann a Ceylon: Breyne le conservò il nome locale Bandura zingelensium, Linneo la ribattezzò Nepenthes distillatoria. In effetti, dato che Paradisus batavus di Hermann (anch'esso un resoconto delle piante esotiche coltivate nei grandi giardini olandesi) poté essere pubblicato postumo solo nel 1695, in qualche modo Breyne gli soffiò la primogenitura: sono spesso i suoi libri, pubblicati nella periferica Danzica, ad aver fatto conoscere a botanici e appassionati europei le piante esotiche introdotte dagli olandesi. Talis pater, talis filius Breyne non riuscì mai a scrivere la progettata seconda centuria; inoltre, come confidò in una lettera all'amico Petiver e come sappiamo anche dalla testimonianza del figlio, avrebbe voluto scrivere una flora della Casciubia e della Prussia orientale, ma ne fu impedito da una penosa malattia e dalla morte, sopraggiunta nel gennaio del 1697, pochi giorni dopo il suo sessantesimo compleanno. Lasciava idealmente il compito in eredità al figlio minore Johann Philipp (1680-1764), che, come abbiamo visto, fin da bambino aveva coinvolto nei suoi progetti. Alla morte del padre Johann Philipp era un ragazzo di sedici anni. Qualche anno dopo, secondo le consuetudini familiari, anch'egli fu inviato a Leida; non però per avviarlo alla mercatura (di questo si occupava il fratello maggiore), ma per seguire i corsi di medicina del grande Hermann Boerhaave. Ottenuta la laurea di primo livello nel 1699 e quella magistrale nel 1702, munito delle lettere di presentazione dei suoi professori intraprese un grand tour scientifico attraverso l'Europa. La prima lunga tappa fu Londra, dove si trattenne per nove mesi, ospite del corrispondente del padre James Petiver, che gli fece conoscere Ray e Sloane, grazie al quale egli fu introdotto alla Royal Society, di cui divenne membro nel 1703. Fu poi la volta dell'Italia dove studiò la fauna marina nei dintorni di Ancona e visitò Padova, ospite di Vallisneri. Il viaggio proseguì attraverso Austria, Boemia e Germania, per concludersi nei Paesi Bassi, da dove rientrò a Danzica nel 1704. In una lettera del 1705 all'amico Petiver, dichiara di aver l'intenzione di riprendere e completare entrambi i progetti paterni. In realtà, per almeno venticinque anni, durante i quali esercitò con successo la professione medica, il proposito fu accantonato. Non però la passione per il giardino e le collezioni. Nel 1707 investì la dote della moglie Constantia Ludewig nell'acquisto di una casa e di un vasto giardino nel sobborgo di Brabank, dove poté sistemare le collezioni paterne che continuò ad arricchire per tutta la vita; oltre agli erbari, ai compendi di botanica, alle matrici delle opere del padre, c'erano monete, illustrazioni naturalistiche e a stampa (incluse le opere di Maria Sibylla Merian), minerali, fossili, pietre preziose o meno, ambre, preparati anatomici umani e animali conservati in formalina. Il giardino era così celebre che nel 1717 fu visitato dallo zar Pietro il Grande. Dalle testimonianze dell'epoca, sappiamo che c'erano una grotta, fontane, statue a grandezza naturale di Flora e Apollo, piante medicinali e molte esotiche: ananas, acacie, oleandri, fichi, ma anche banani, alberi di canfora, caffè e cannella. Ben noto negli ambienti scientifici europei anche grazie ai suoi viaggi, oltre che della Royal Society era membro della Leopoldina, e corrispondeva con oltre 170 scienziati, tra i quali, oltre al già citato Sloane, Leibnitz, Bernard de Jussieu, Peter Collinson e lo stesso Linneo. La corrispondenza con gli altri naturalisti europei era anche un modo per mantenere viva la fiamma della scienza in un ambiente che giudicava, se non ostile, poco interessato: "Per quanto mi riguarda, sono confinato in questo angolo d'Europa dove alla gente interessano solo i soldi", si sfogò con Hans Sloane. Alcune sue comunicazioni comparvero sporadicamente anche in precedenza sulle Transactions della Royal Society, ma l'attività scientifica occupò il centro della sua vita solo dopo il 1730, quando (anche in seguito alla morte del fratello che lo lasciò unico erede della fortuna familiare) si ritirò a vita privata. Tuttavia non scrisse mai né la seconda centuria né la progettata flora della Cascubia e della Prussia. Si accontentò di pubblicare una nuova edizione dei due fascicoli del Prodromus (1739), dandole però una splendida veste editoriale con eccellenti incisioni; in appendice vi pose una biografia del padre scritta da G. D. Seyler e un trattato sul ginseng, in origine la sua tesi di laurea. Le altre opere, per lo più brevi opuscoli usciti tra il 1730 e il 1740, dimostrano l'ecclettismo ma anche la mancanza di sistematicità dei suoi interessi: scrisse delle piante e degli insetti che aveva osservato sulla costa spagnola durante uno scalo del suo viaggio alla volta dell'Italia, del cosiddetto agnello vegetale o barometz, della cocciniglia polacca cui la sua famiglia doveva la propria ricchezza, di una foglia preistorica racchiusa nell'ambra, di alcuni tipi di molluschi fossili, delle ossa e dei denti di mammut scoperti in Siberia da un altro dei suoi amici, il conterraneo Daniel Gottlieb Messerschmidt. Come si vede, la paleontologia finì per occupare un posto importante nelle sue ricerche. Dalla moglie ebbe ben otto figli, ma tutti i maschi morirono bambini o in giovane età. In una commovente lettera a Linneo, confessa di essere vecchio e malato e provato dalla morte dell'unico maschio superstite, morto a ventiquattro anni nel 1740. Gli rimanevano invece quattro figlie, tre delle quali coltivarono gli interessi naturalistici di famiglia in uno dei pochi modi concessi all'epoca alle donne (escluse anche dalla lingua della scienza, il latino): la pittura. Saper danzare, strimpellare un clavicembalo e dipingere alla meno peggio un acquarello faceva parte dell'educazione delle fanciulle di buona famiglia, ma per Constantia Philippina (1708-?), Anna Renata (1713-1759), Johanna Henrietta (1714-1797) Breyne, cresciute praticamente in un museo naturalistico dove potevano ammirare le opere di grandi illustratori e in uno dei giardini botanici privati più belli d'Europa, dipingere piante e animali fu qualcosa di più di un passatempo. Nelle collezioni del castello di Gotha sono conservati molti loro disegni e acquerelli, caratterizzati da un livello di esecuzione notevole per delle dilettanti. Ciascuna di loro si specializzò in un capo preciso: i disegni di piante e uccelli si devono per lo più a Anna Renata (che era anche poetessa e musicista) e in parte a Constantia Philippina; Johanna Henrietta si dedicò alle immagini di animali marini. In almeno un caso, abbiamo la prova che i disegni di piante, presi dal vivo nello splendido giardino, erano destinati a illustrare le opere del padre. Furono utilizzati anche da almeno uno dei naturalisti che frequentavano casa Breyne, Jacob Theodor Klein. Impegnato anche nella creazione della prima società naturalistica polacca, Breyne fece della sua casa-museo un luogo di incontro dei naturalisti e ne incoraggiò l'attività, finanziando tra l'altro la pubblicazione della Flora quasimodogenita di Georg Andreas Helwing, di cui scrisse anche la prefazione. Johann Philipp Breyne morì nel 1764. Due anni dopo gran parte delle sue collezioni fu acquistata dagli agenti di Caterina II e finì nella Kunst Kamera imperiale di San Pietroburgo. Quasi tutti i manoscritti dei due Breyne, le lettere e i disegni rimasero però a Danzica fino alla morte dell'ultima delle sue figlie (1797); due anni dopo furono acquistati da Ernesto II di Sassonia-Gotha. Un albero dalle foglie rosa Nonostante vivessero in una città tanto periferica, le opere e le attività di padre e figlio erano ben note ai naturalisti europei, con i quali, come abbiamo visto, i due si mantennero in assiduo contatto epistolare. Il primo a voler celebrare Breyne padre fu Plumier che ne ammirava grandemente la Centuria prima per la nitidezza dei caratteri tipografici, l'eccellenza delle incisioni e il contributo alla conoscenza di tante nuove piante. Ma nel dedicargli il genere Breynia il buon frate incorse anche in una fake news: chissà attraverso quali fonti, gli era giunta la notizia che quella Centuria fosse la sola superstite di parecchie, ma "delle quali, oh, dolore!, ne sopravvive una sola prima e ultima; tutte le altre furono distrutte dalle fiamme inique, come riferiscono, di un incendio fortuito che distrusse la casa e le opere. Ma l'opera di un tale uomo e la sua memoria tra gli uomini per bene e i botanici né le fiamme né le onde potranno farle perire". Linneo fece propria la denominazione e la ufficializzo in Species plantarum, nel 1753. Senza considerare che il nome non era più disponibile (all'epoca non c'erano ancora regole fisse) nel 1776 i Forster dedicarono ad entrambi i Breyne un secondo genere Breynia con una motivazione che ben testimonia la reputazione dei due naturalisti di Danzica: "In onore dei sommi botanici Jacob Breyne e suo figlio Johann Philipp Breyne, dottore in medicina, entrambi i quali coltivavano piante esotiche in un giardino di Danzica e molte le pubblicarono disegnate con grande arte e descritte con ingegno immortale". Benché il nome linneano preceda quello dei Forster, quest'ultimo è considerato nomen conservandum ("nome da conservare") perché comprende almeno una specie piuttosto coltivata e diverse specie alquanto diffuse nell'Asia meridionale e orientale. Breynia J.R.Forst. & G.Forst. (famiglia Phyllanthaceae) è comunque un genere dalla tassonomia travagliata, che minaccia prima o poi di confluire in Phyllanthus, Al momento attuale comprende, a seconda delle fonti, da 25-30 specie a oltre 90. Sono alberi o arbusti monoici diffusi nell'Asia tropicale, in Australia e nelle isole del Pacifico. Come abbiamo visto, una specie indiana e indocinese, Breynia vitis-idaea, fu descritta per la prima volta proprio da Jacob Breyne. La specie più nota è Breynia disticha, nativa della Nuova Caledonia e delle Vanuatu. Conosciuta con il nome comune "albero della neve", è coltivata nei giardini delle zone a clima mite per le foglie, rosa nella forma giovanile, poi crema o verde chiaro. Alcune specie di questo genere, tra cui proprio B. vitis-idaea, sono anche studiate dai biologi come esempio di mutualismo e coevoluzione con alcune falene del genere Epicephala, che impollinano i fiori, assicurando così la produzione di semi vitali, ma depongono anche le loro uova nell'ovario; i semi potrebbero essere distrutti dalle larve, se nonché in alcuni frutti esse abortiscono e non riescono a svilupparsi. Questo meccanismo è stato paragonato al mutualismo obbligato tra il fico e le sue vespe impollinatrici. Non c'è dubbio che, tra i botanici che hanno avuto l'onore di ricevere la dedica di un genere da Linneo in persona, a fare le parte del leone siano i medici e cattedratici tedeschi. Del resto, in quel mosaico di città libere e di principati laici ed ecclesiastici che la Germania fu fino all'età napoleonica, quasi nessun centro di una qualche importanza rinunciava a una propria Università; molte avevano una facoltà di medicina, dove si insegnava botanica farmaceutica e in genere c'era un orto botanico, per lo più adibito soprattutto alla coltivazione delle piante medicinali (i semplici). Tra secondo Cinquecento e inizio Settecento, due furono soprattutto gli ambiti che interessarono i botanici tedeschi (solitamente laureati in medicina e quasi sempre medici di professione): da una parte la flora locale, con una relativamente copiosa produzione di Flore di territori circoscritti; dall'altra la sistematica. In entrambi troviamo impegnati due fratelli di Halle: Christoph e Christian Knaut. Il primo scrive una flora dei dintorni della città, in cui classifica le piante seguendo il sistema di Ray con qualche modifica; il secondo, più giovane di quasi una generazione, crea un proprio sistema di classificazione, basato essenzialmente sui petali. Non senza una frecciatina polemica, in Hortus Cliffortianus Linneo gli dedica il genere Knautia, anche se più tardi, in Critica botanica, estende la dedica anche al fratello maggiore. Due fratelli, due generazioni a confronto A fine Seicento, nonostante si facessero ancora sentire il segni della Guerra dei Trent'anni che nella prima metà del secolo aveva devastato in profondità i territori dell'Impero, in Germania si contavano quasi trenta università; l'ultima ad arrivare, quasi allo spirare del secolo, fu quella di Halle, fondata nel 1691, per volontà del principe elettore di Brandeburgo. Anche questa relativamente importante città del Magdeburgo, all'epoca città libera, aveva gravemente sofferto per il conflitto, finché nel 1680 fu annessa al Brandeburgo. Nell'intento di risollevarla, il principe elettore Federico III (il futuro Federico I di Prussia) volle dotarla di un ateneo, presto celebre per gli studi giuridici, filosofici e teologici e come centro promotore del pietismo luterano e dell'Illuminismo tedesco. Dal 1694 vi furono aperti anche corsi di medicina. Quattro anni dopo l'elettore donava all'Università una parte dei suoi giardini per creare un hortus medicus destinato all'insegnamento della botanica farmaceutica (Materia medica), che tuttavia vivacchiò a lungo, tanto che ancora nel 1749 vi si coltivavano non più di 191 specie. Nessuno dei tre botanici prelinneani di una certa fama nati ad Halle però studiarono qui, vuoi per motivi anagrafici, vuoi per l'ancora scarso prestigio di quel nuovissimo ateneo. Si tratta dei fratelli Christoph (1638-1694) e Christian Knaut (1656-1716) e di Paul Hermann (1646-1695), che abbiamo già incontrato nei panni di direttore dell'orto botanico di Leida. Non conosciamo il percorso accademico del maggiore dei Knaut, morto lo stesso anno dell'inaugurazione dei corsi di medicina ad Halle; sembra però molto credibile l'ipotesi che abbia studiato a Lipsia (che dista da Halle appena una quarantina di km, ma faceva parte del ducato di Sassonia): infatti proprio a Lipsia egli fece stampare la sua opera più nota, un catalogo delle piante spontanee dei dintorni di Halle (Enumeratio Plantarum Circa Halam Saxonum Et In Eius Vicinia, Ad Trium Fere Milliarium Spatium, Sponte Provenientium, 1687); inoltre, per classificare le piante seguì i sistemi di Morison e Ray, il cui diffusore in Germania fu Paul Amman, professore di botanica a Lipsia dal 1674. Linneo esamina il libro del maggiore dei Knaut in Philosophia botanica e ne colloca l'autore tra i "fruttisti", ovvero coloro che hanno classificato i vegetali sulla base del pericarpo, dei semi o del ricettacolo, insieme a Cesalpino e appunto Morison e Ray, Hermann (un altro allievo di Lipsia) e la scuola di Leida. Lo svedese fa notare che il sistema di Knaut è vicino a quello di Ray, ma rovesciato: anche Knaut senior mantiene la tradizionale divisione tra erbe e alberi, e distingue le erbacee in base ai fiori perfetti (con i petali) e imperfetti (privi di petali), ma mentre Ray inizia con i fiori imperfetti, egli li mette alla fine. Le piante dotate di fiori perfetti sono poi classificate in base al frutto: carnoso, membranoso o nudo; ciascun gruppo è ulteriormente diviso in classi determinate dal numero e dalle caratteristiche dei petali (monopetale, tetrapetale regolari e irregolari, pentapetale, esapetale, polipetale) per un totale di 17 classi. Linneo recensisce l'opera, ma ne ha poca stima, e così i botanici successivi; unico merito di Christoph Knaut essere stato il primo ad usare il termine Compositae, modificando la denominazione di Ray Composito flore. Molto più stimato da Linneo è il fratello minore Christian. Era di sedici anni più giovane di Christoph, tanto che talvolta nei vecchi repertori viene detto suo figlio. Iniziò gli studi di medicina a Lipsia, dove seguì i corsi di Gottfried Welsch e Johannes Bohn per l'anatomia e di Paul Amman e Michael Ettmüller per la botanica. Completò poi gli studi a Jena, dove si laureò nel 1682 con una tesi intitolata De fermentatione in sanguine non existente. Quindi tornò nella città natale dove divenne medico personale del principe Emanuel-Lebrecht di Anhalt-Köthen che gli affidò anche la direzione della biblioteca della città di Halle. Come bibliotecario, scrisse alcuni trattatelli di argomento storico e genealogico, ma a noi interessa per la sua unica opera di botanica, Compendium Botanicum sive Methodus plantarum genuina, stampata postuma nel 1716: non una flora locale con le piante organizzate in modo sistematico come quella del fratello, ma un vero e proprio metodo per classificare le piante con forti aspirazioni teoriche. Dai tempi della Flora di Halle di Christoph sono passati quasi trent'anni e il panorama della botanica tedesca è del tutto cambiato; ora l'interesse per i "sistemi" si è fatto preminente e la nuova autorità è Rivinus (August Bachmann), che proprio a Lipsia - dove insegna ed è direttore dell'orto botanico - elabora il suo nuovo sistema basato non più sui frutti ma sulla corolla, nel quale per la prima volta erbe e alberi non sono più assegnati a classi separate. Sempre in Bibliotheca botanica, Linneo lo colloca tra i "corollisti", dove sta lui stesso, insieme a Pitton de Tournefort e vari altri, tra cui appunto il nostro Knaut junior, che, se non ne fu un seguace acritico, ne fu profondamente influenzato. Secondo Linneo, come il sistema di Christoph Knaut "rovescia" quello di Ray, il sistema di Christian Knaut "rovescia" quello di Rivinus: entrambi usano come criterio principale i petali, ma mentre in Rivinus la regolarità viene prima del numero, in Knaut junior succede il contrario. Mentre quello di Rivinus comprende 18 classi, Knaut ne prevede sostanzialmente otto, con diciassette sottoclassi: fiori con un petalo regolare e irregolare; fiori raggruppati regolari, irregolari e regolarmente irregolari; fiori con due petali regolari e irregolari; fiori con tre petali regolari e irregolari; fiori con quattro petali regolari e irregolari; fiori con cinque petali regolari e irregolari; fiori con sei petali regolari e irregolari; fiori con molti petali regolari e irregolari. Come si vede, mancano i fiori apetali, e tra poco scopriremo perché. Linneo ne apprezzò il rigore teorico (lo cita moltissime volte nelle sue opere giovanili), e in Philosophia botanica ne riprende il criterio per definire i generi; "Ogni pianta che produce le capsule dei semi nello stesso modo appartiene allo stesso genere, e così il contrario". Tuttavia non mancò di criticarlo per aver creato molti generi inutili sulla base della modalità di fioritura e, soprattutto, si fece beffe di due dei suoi assiomi più recisi. Secondo Knaut, il petalo costituisce l'essenza del fiore, dunque egli non ammette che il perianzio, gli stami e lo stilo ne facciano parte; perciò, nega l'esistenza di fiori apetali. Quanto al frutto, sostiene che ne esistono di due soli tipi: carnosi e membranacei; il primo è quello che troviamo nelle mele, nelle bacche, nelle ciliegie; il secondo comprende le capsule e quelli che i botanici del suo tempo chiamavano "semi nudi" di cui contestava recisamente l'esistenza. Aveva ragione ad osservare che tutti i frutti sono protetti da una membrana, ma sbagliava ad assimilarla a una capsula. Knautia, una pianta "semplice" dalla tassonomia intricata Ciò che apprezzava e ciò che lasciava perplesso Linneo in Knaut junior si fondono nella dedica di Knautia, inizialmente al solo Christian, in Hortus cliffortianus (1737); erigendo a genere una specie che Boerhaave aveva separato da Scabiosa (oggi Knautia orientalis), Linneo osserva che in essa i singoli flosculi sono assai irregolari, ma insieme costituiscono un fiore regolarissimo; quanto ai semi, è assai dubbio se sono nudi o rivestiti. E aggiunge: "Dunque ci è soccorsa la memoria di Knaut che negava assolutamente i semi nudi e cercava assiduamente l'intera salvezza della botanica nell'uniformità e difformità della corolla, alla cui memoria dedichiamo questo genere". Dunque, una dedica con un pizzico di malignità (che Linneo considerava umorismo). E' chiaro che egli si riferisce a Christian, il solo Knaut che apprezzasse, ma sempre nel 1737 in Critica botanica è indicato anche il fratello maggiore, che così rientra dalla finestra tra i dedicatari di un genere botanico. Genere per altro interessantissimo. Esteso dall'Europa alla Siberia e all'Asia centrale, con la sua cinquantina di specie è uno dei più ricchi di diversità della flora europea, con tanti endemismi limitati a piccole zone, particolarmente numerosi nelle Alpi e nei Balcani. Con le sue infiorescenze a capolino che ricordano un puntaspilli (e gli inglesi la chiamano proprio così, pincushion) con numerosissimi fiorellini circondati da un involucro di squame, Knautia è un tipico rappresentate di quella che un tempo era la famiglia Dipsacaceae e ora la sottofamiglia Dipsacoideae delle Caprifoliaceae. E i semi, sono nudi o vestiti? Chi lo sa! I frutti in cui sono contenuti sono acheni o nucule che non si aprono, quindi in un certo senso fanno tutt'uno con il seme... Vestitissimi dunque, se non fosse che all'epoca di Knaut il termine semina nuda indicava proprio questo tipo di frutti. La disputa che non faceva dormire i botanici a cavallo tra Seicento e Settecento era solo una questione terminologica. Knautia è un genere dalla tassonomia intricata, in cui discriminare tra specie, sottospecie e varietà non è facile, né lo è distinguere una specie dall'altra. Vive in ambienti diversi: prati aridi ma anche umidi, pascoli alpini, boschi aperti e foreste, ma anche aree ruderali. Ad eccezione di poche specie, si tratta di perenni. Della flora italiana, oltre alla diffusissima e polimorfa K. arvensis, fanno parte una quindicina di specie, alcune delle quali endemiche: K. baldensis, presente in poche località attorno al massiccio del Baldo; K. gussonei, raro endemismo dell'Italia centrale; K. lucana, endemismo della Lucania a sud-est di Potenza; K. persicina, endemismo dei monti che circondano il lago di Garda. Altre informazioni nella scheda. L'inglese William Sherard è una figura chiave della botanica a cavallo tra Seicento e Settecento. Eppure, a parte un modesto catalogo degli orti botanici di Parigi e Leida, non ha pubblicato nulla di proprio. Per tutta la vita ha cercato di scrivere una grande opera che però non è mai riuscito a completare: a distoglierlo dal compito, oltre alle necessità concrete della vita, fu soprattutto la sua generosità senza limiti, che lo spinse ad affiancare il lavoro di tanti amici più famosi come raccoglitore, donatore di semi, exsiccata e somme di denaro, curatore di opere altrui. Fu generoso anche nelle sue ultime volontà, con le quali non solo legò all'università di Oxford il suo importante erbario, le sue note e una notevole collezione di disegni e manoscritti, ma anche un lascito per istituire la prima cattedra di botanica in terra d'Inghilterra, che ancora porta il suo nome: Sherardian professorship. A ricordarlo è anche il genere monospecifico Sherardia, omaggio di un amico che godette della sua generosità in vita e in morte. Una vita al servizio degli amici Quando il diciottenne William Sherard (1659-1728) giunse a Oxford per studiare diritto non sapeva ancora che il suo destino, più che a codici e leggi, sarebbe stato legato alle piante. La conversione sulla via di Flora avvenne tra le aiuole dell'orto botanico di Oxford, il solo esistente in Inghilterra all'epoca. A fargliene conoscere le meraviglie fu il curatore, Johann Bobart il Giovane, che fu anche il primo di una lunga lista di amici a beneficiare della sua passione e del suo altruismo: egli stava curando la pubblicazione postuma di Historia Plantarum Universalis Oxoniensis di Morison e Sherard lo aiutò raccogliendo per lui piante nelle campagne dei dintorni. Nel 1683 si laureò in legge e divenne membro del suo college, ma ormai il suo interesse andava tutto alla botanica; studiarla in Inghilterra non era possibile, perché non era insegnata in nessuna università; Sherard attraversò la Manica - il primo di tanti viaggi europei - e si trasferì a Parigi per seguire le lezioni di Pitton de Tournefort al Jardin du roy; anche a lui, per il quale nutriva un'ammirazione che rasentava la venerazione, non lesinò il suo aiuto, raccogliendo piante nei dintorni di Parigi. Nel 1686, quando Paul Hermann venne a visitare il Jardin du roy, strinse amicizia con lui, e decise di seguirlo in Olanda. In attesa che i suoi ammirati maestri potessero mettere mano ai cataloghi degli orti di Parigi e Leida, nel 1688 pubblicò una lista delle loro collezioni; sotto il titolo Schola botanica, è la sua unica opera edita e per modestia è firmata con le sole iniziali S.W.A. Nel 1689 tornò in Inghilterra e mise le sue nuove competenze al servizio di un altro amico: fece importanti raccolte nell'Inghilterra meridionale e nelle Channel Island, ma invece di pubblicarle a suo nome, cedette le sue note a John Ray, che le pubblicò in appendice a Synopsis methodica stirpium britannicarum (1690). In teoria era membro del St John College e avrebbe dovuto tornare a insegnare a Oxford, ma evidentemente l'impiego non soddisfaceva né le sue tasche né il suo cuore; preferì diventare tutor o insegnante privato di una serie di gentiluomini. Il primo fu il baronetto irlandese Arthur Rawdon che possedeva una vasta tenuta a Moira nella Contea di Down; era un grande appassionato di orticoltura e giardinaggio, tanto da essersi guadagnato il soprannome di "padre del giardinaggio irlandese". Possedeva un notevole giardino con una delle prime serre riscaldate d'Europa, un labirinto, uno stagno e molte piante esotiche, incluse 400 piante fatte arrivare dalla Giamaica e uno dei primi esemplari noti di Robinia pseudoacacia, famoso per le sue eccezionali dimensioni. Per Sherard il soggiorno in Irlanda, che si prolungò per tre anni, fu una gioia e gli permise anche di esplorare la flora dell'Ulster. Nel 1694 era di ritorno a Oxford dove divenne dottore in diritto civile, ma ben presto ne ripartì per accompagnare il visconte Charles Townshend nel suo gran tour in Europa. Nel febbraio del 1795 si fermò a Leida, dove si assunse il difficile compito di preparare per la pubblicazione il manoscritto di Paradisus batavus di Paul Hermann. Tornò poi in Inghilterra giusto il tempo necessario per trovare un altro ingaggio, questa volta come chaperon del giovane marchese di Tavistock, il futuro secondo lord Bedford, con il quale visitò la Francia e l'Italia. Fu l'occasione per visitare giardini e incontrare altri botanici; in Italia conobbe Francesco Cupani e Paolo Boccone, dal quale appreso il metodo della stampa naturale (che consiste nell'utilizzare come matrici le piante stesse, inchiostrate e pressate sulla carta; ne ho parlato qui). A Parigi strinse amicizia con Sébastien Vaillant. Questi incontri e queste amicizie lo spinsero a concepire l'idea di aggiornare il Pinax di Bauhin, aggiungendo le piante scoperte e pubblicate dopo il 1623. Un'impresa che, come vedremo, lo accompagnò tutta la vita, ma non giunse mai a termine. Tornato in Inghilterra verso la fine del 1698, si lasciò ancora una volta convincere a diventare tutor di un altro giovane gentiluomo, un nipote della duchessa vedova di Beaufort. La nobildonna era una grande appassionata di piante e giardini e contava sui contatti internazionali di Sherard, il cui nome incominciava ad essere piuttosto noto tra i botanici europei, per incrementare le sue collezioni. Purtroppo il giovane morì dopo meno di un anno, e Sherard si trovò disoccupato. Per breve tempo si rassegnò a insegnare a Oxford come borsista, quindi fece parte di una commissione governativa che si occupava dei prigionieri di guerra, finché nel 1703 la Compagnia del Levante gli offrì un posto come console a Smirne. Egli accettò: una decisione pessima per i suoi studi botanici e ottima per le sue tasche. Nei dieci anni che visse in Turchia infatti, privo di libri e troppo occupato con i suoi compiti quotidiani, dovette mettere da parte la botanica, ma in compenso accumulò una notevole fortuna. Cercò anche altri interessi, ricopiando antiche iscrizioni e collezionando monete. Nel 1711 acquistò una casa a sette miglia da Smirne. Nell'impero ottomano era impossibile viaggiare da soli, e non trovando altri accompagnatori nelle sue escursioni botaniche, dovette limitarsi a un solo viaggio, che sempre nel 1711 lo portò a Alicarnasso. Alla fine del 1716 o all'inizio del 1717 lasciò Smirne e tornò in Inghilterra. Nel frattempo anche suo fratello minore James (1666-1738) aveva fatto fortuna; farmacista, gestiva una bottega di successo a Londra, nella centralissima Mark Lane. Negli anni giovanili, era stato un notevole musicista dilettante e un virtuoso del violino, ma ora la gotta gli impediva di suonare. Dopo il ritorno di William dal Levante, decise di andare in pensione e di fare della botanica la sua nuova passione. Acquistò una splendida proprietà a Eltham, un sobborgo di Londra, dove, con l'aiuto del fratello maggiore, creò un giardino presto famoso in tutta Europa per le sue piante rare. William riprese a lavorare alla revisione del Pinax, ma nel 1721 viaggiò di nuovo nel continente insieme al fratello, per cercare piante per Eltham. Visitò anche l'orto botanico di Giessen, dove conobbe il giovane botanico Jacob Dillenius. Dopo essere stato per tutta la vita generoso di semi, esemplari e tempo con i suoi amici, ora poteva esprimere la sua generosità anche come mecenate: propose a Dillenius di trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo con l'interminabile revisione del Pinax e con la catalogazione del giardino di Eltham. Dillenius accettò: avrebbe portato a termine il secondo compito, scrivendo il magnifico Hortus Elthamensis, ma non il primo. Nel 1723 e nel 1727 Sherard tornò nuovamente a Leida, per aiutare Boerhaave a pubblicare l'opera postuma dell'amico Vaillant, Botanicon parisiense. Assisté anche Catesby, aiutandolo con le identificazioni della prima parte di Natural History of Carolina. Solo con un "collega" ci fu uno screzio: non sappiamo esattamente perché, si scontrò con Hans Sloane - un amico di lunga data anche di suo fratello - che rifiutò di mettergli a disposizione gli erbari di Plukenet e Petiver. Verso il 1727 ci fu una riconciliazione, ma ormai la salute di Sherard stava declinando, con crisi di quella che è stata definita "demenza senile". Consapevole che in Inghilterra, proprio come ai tempi della sua giovinezza, ancora mancava una cattedra universitaria di botanica, volle rimediare con le sue ultime volontà: non solo lasciò all'università di Oxford il suo erbario di oltre 12,000 pezzi, le sue carte, le sue collezioni di disegni e manoscritti, ma stabilì un lascito per istituire una cattedra di botanica. Impose però una condizione: il primo titolare doveva essere Dillenius. Morto William Sherard nel 1728 (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), ne seguì una lunga trattativa tra l'Università e il suo esecutore testamentario, ovvero suo fratello James. Di conseguenza, Dillenius assunse l'incarico solo nel 1735, avendo nel frattempo anche completato Hortus elthamensis. Ma non la revisione del Pinax. La grande opera della vita di Sherard rimase un torso inedito. Secondo H.M. Clokie, studioso del suo erbario, la causa prima stava nella eccessiva generosità di questo botanico dal carattere troppo amabile: "Sembra che la sua difficoltà fosse concentrarsi sul proprio lavoro invece di aiutare gli amici. La sua generosità sembra non aver conosciuto limiti". Sherardia, dal Mediterraneo alla conquista del mondo Nonostante non abbia pubblicato quasi nulla di suo, curando la pubblicazione di due opere centrali come Paradisus batavus di Hermann e Botanicon parisiense di Vaillant e sponsorizzando il lavoro di Dillenius, senza parlare delle raccolte botaniche messe generosamente a disposizione di tanti illustri colleghi, Sherard ha avuto un ruolo di rilievo nella botanica negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento; è riuscito a far dialogare e a integrare tra loro le diverse scuole botaniche europee, da quella francese a quella olandese, da quella italiana a quella tedesca, contribuendo come nessuno allo sviluppo della scuola britannica, come sottolinea la creazione della cattedra di Oxford. Sia Vaillant sia Dillenius si sono ricordati del loro benefattore con la dedica di un genere Sherardia. Particolarmente toccanti le parole di Sébastien Vaillant: "Dato che i botanici, quando creano un nuovo genere hanno il diritto di dargli il nome dei loro autori, o dei loro benefattori o dei loro amici, per resuscitare i primi e immortalare i secondi nella botanica, io ho imposto a questo [genere] il nome dell'illustre Mr. Sheridan che è allo stesso tempo un vero amico, un benefattore per le piante essiccate; per diventare illustre più di tutti gli autori messi insieme non gli rimane che terminare il suo Pinax e offrirlo al pubblico che attende questo capolavoro con estrema impazienza". Linneo, tuttavia, nell'ufficializzare il genere Sherardia in Species plantarum (1753) scelse quello di Dillenius (famiglia Rubiaceae) e non quello di Vaillant (famiglia Valerianaceae); quest'ultimo fu ripreso da Miller, ma troppo tardi (1754); la denominazione valida è dunque quella di Dillenius - Linneo. Sherardia L. è un genere monotipico rappresentato dalla sola S. arvensis, una piccola pianta erbacea diffusa in tutta Europa, nel bacino del Mediterraneo e in Vicino oriente; si è inoltre largamente naturalizzata in altri continenti, tanto da essere ormai considerata cosmopolita. E' un'annuale comune in campi, prati, incolti, aree disturbate; piuttosto simile a Galium, da cui si distingue per la lunghezza del tubo corollino, ha piccole foglie lineari riunite in verticilli di 4-6 e minuscoli fiori da rosa pallido a lilla con un lungo tubo e quattro petali liberi raccolti in gruppi di 6-10 e circondati da un anello di sei brattee simili alle foglie. Come la robbia (Rubia tinctoria) dalle sue radici si estraeva un colorante rosso. E' una pianta modesta, ma graziosa, e come il suo dedicatario è una grande viaggiatrice. In fondo, un accettabile ritratto vegetale. Una sintetica presentazione nella scheda. A partire dalla fine degli anni '30 del Settecento, a San Pietroburgo c'erano ben due orti botanici: uno dipendeva dalla Cancelleria medica e ospitava soprattutto specie medicinali; l'altro era annesso all'Accademia delle scienze ed era essenzialmente un giardino didattico e di acclimatazione. A volere fortemente il secondo fu il professore di botanica Johann Amman che, educato a Leida, pensava che il "vecchio" giardino (vecchio per modo di dire: aveva poco più di vent'anni) fosse ormai obsoleto, oltre che troppo lontano dall'Accademia. Ben presto i due giardini furono diretti dalla stessa persona e la bipartizione perse via via significato, finche nel 1823 vennero fusi a formare il nuovo Imperiale orto botanico. Amman, morto giovanissimo, fu ricordato dall'amico William Houstoun con il genere Ammania; Linneo lo fece proprio, ma lo ribattezzò Ammannia (con due enne) e lo dedicò a un omonimo: Paul Amman, direttore secentesco dell'orto botanico di Lipsia e precursore della classificazione naturale. Un giardino, anzi due... A studiare la storia russa, si ha sempre l'impressione che tutto sia complicato, non lineare, contraddittorio. E così capita che nell'arco di meno di mezzo secolo, l'autorità imperiale prenda l'iniziativa di fondare tre orti botanici, che poi continuano la loro vita parallela in una gran confusione di funzioni, conflitti personali, sperpero di denaro. Si comincia a Mosca nel 1706, quando Pietro il Grande ordina di creare un orto dei farmacisti (Aptekarskij ogorod) destinato alla coltivazione di piante officinali per le farmacie cittadine. Lo zar ci tiene tanto che, si racconta, vi piantò di sua mano tre conifere (l'ho raccontato qui). Il giardino è gestito dalla Cancelleria delle farmacie, un organismo tradizionale controllato da membri dell'alta aristocrazia. Ma intanto Pietro ha deciso di creare ex novo, facendola sorgere letteralmente dal mare e dalle paludi, la sua nuova capitale, San Pietroburgo, dove trasferisce a forza la corte e tutte le strutture amministrative. Mette mano anche alla riforma della medicina, affidandola al suo medico personale, lo scozzese Robert Erskine, che crea un nuovo organismo, la Cancelleria medica, che d'ora in avanti controllerà l'attività dei medici civili e militari e dei farmacisti. E' in un certo senso un doppione della Cancelleria dei farmacisti, che però per non creare un conflitto immediato con l'aristocrazia moscovita non viene abolita, ma svuotato dall'interno. Erskine dirige un gigantesco trasferimento di documenti, materiali e piante. La centrale operativa della Cancelleria medica viene stabilita in una delle isole settentrionali del delta della Neva, piuttosto distante dal nucleo centrale, dove vengono costruiti la sede degli uffici, un laboratorio per la preparazione dei medicamenti e un vasto orto botanico, la cui fondazione è decretata verso la fine del 1713. Si chiamerà Aptekarskij sad (giardino dei farmacisti) e l'isola stessa prenderà il nome Aptekarskij ostrog, Isola dei farmacisti. I due giardini hanno la stessa funzione, ma vista la distanza è sensato avere due giardini medici che coltivano piante officinali per le farmacie delle rispettive aree; un po' meno che uno dipenda dalla Cancelleria dei farmacisti (dunque da un organismo semi autonomo), l'altro dalla Cancelleria medica (dunque direttamente dal sovrano, attraverso il suo archiatra). Le cose si complicano quando, sull'esempio degli orti botanici di Parigi e Leida, si decide di farne anche dei giardini di acclimatazione delle piante esotiche ottenute con lo scambio semi da orti botanici europei e delle specie raccolte in natura nel vastissimo e variegato impero russo dalle numerose spedizioni naturalistiche che si succedono nel corso del secolo. Finisce per imporsi una certa specializzazione "geografica": fatto salvo che il centro è San Pietroburgo, le spedizioni che esplorano la Russia europea, le rive del mar Nero, il Caucaso tendono a far capo a Mosca, e il giardino moscovita si arricchisce soprattutto di piante delle steppe. I materiali raccolti dalle spedizioni che operano al di là degli Urali ed esplorano la Siberia fino alle rive del Pacifico, i confini con la Cina, l'Asia centrale tendono ad affluire all'Isola dei farmacisti. Le prime spedizioni, come quella di Messerschmidt in Siberia (1719-1727) o di Buxbaum (1724-1727) a Costantinopoli, sono organizzate dalla Cancelleria medica, ma nel 1724 viene fondato un terzo organismo, con compiti scientifici e didattici: l'Accademia russa delle Scienze, con sede nell'isola Vasil'ekskij, accanto all'edificio dove è conservata la Kunstkamera, la camera delle meraviglie imperiali. L'imperatore e il suo archiatra considerano tutto ciò che viene riportato dalle spedizioni russe un tesoro nazionale che va ad arricchire la Kunstkamera e deve essere studiato e pubblicato esclusivamente dai professori dell'Accademia. E così succede che le piante vive e i semi raccolti da Gmelin durante la Grande spedizione del Nord (salvo quelli che egli coltiva nel suo giardino privato) finiscono nelle aiuole dell'isola dei farmacisti, mentre gli esemplari d'erbario sono custoditi nell'isola Vasil'evskij. Qui il professore di botanica del ginnasio e dell'Università accademica tiene le lezioni teoriche, mentre lezioni pratiche, le "dimostrazioni", toccano al dimostratore del Giardino dei farmacisti. Meglio ancora, tre! All'inizio del 1733, mentre i professori dell'Accademia si preparano a partire per la Grande spedizione del Nord, da Londra arriva il giovane medico svizzero Johann Amman (1707-1741). Ha appena venticinque anni, ma ha ottime referenze: in primo luogo si è laureato a Leida con Boerhaave, il più grande professore di medicina e botanica dell'epoca; in secondo luogo, ha lavorato per tre anni come curatore della collezione naturalistica di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, alla quale egli stesso è stato ammesso nel 1731. Viene immediatamente nominato professore di botanica e scienze naturali in sostituzione di Gmelin in partenza per la Siberia e gli viene affidata la pubblicazione delle raccolte di Buxbaum e Messerschmidt. Nel 1735, dopo anni senza un direttore, al Giardino dei farmacisti viene nominato direttore e dimostratore il tedesco Johann Georg Siegesbeck, celebre per la sua polemica con Linneo e il suo pessimo carattere. La convivenza con Amman non è facile; Siegesbeck è frustrato perché briga inutilmente per essere ammesso all'Accademia e al rango di professore, Amman - la cui salute è purtroppo precaria - considera uno spreco di tempo e un disagio sempre più gravoso dover fare la spola tra le due isole, specie d'inverno, nel clima proverbialmente pessimo della capitale petrina. Incomincia così a fare pressioni perché l'Accademia si doti di un proprio orto botanico, dove studiare le piante dal vivo e impartire le lezioni pratiche. Educato a Leida, pensa che sia ora che anche San Pietroburgo abbandoni la vecchia concezione strumentale dell'hortus medicus, e si doti di un vero orto botanico moderno per la didattica e l'acclimatazione di piante esotiche e novità botaniche. Come ci informano le sue lettere a Sloane, l'idea fa breccia lentamente nell'amministrazione: all'inizio ha a disposizione solo un giardinetto, e come serra la sua stessa stanza. I finanziamenti per fare le cose in grande arrivano solo nel 1738 o nel 1739, quando la grande massa di piante giunte dalla Siberia e dalla Kamčatka grazie a Gmelin, Krašeninnikov e Steller rende urgente trovare loro una sede adeguata. E così, a San Pietroburgo, a pochi km di distanza, ci saranno due orti botanici: quello dell'Isola dei farmacisti, dipendente dalla cancelleria medica e principalmente orientato alle piante medicinali, e quello dell'isola Vasilev'skij, dipendente dall'Accademia, orientato alla didattica e alla coltivazione delle piante esotiche. Nel 1741 Amman, afflitto da ricorrenti problemi di salute fin dal suo arrivo a San Pietroburgo, morì a soli 34 anni. Siegesbeck ottenne finalmente la sospirata ammissione all'Accademia e gli succedette sia come professore sia come direttore del neonato orto accademico, mantenendo la direzione anche del Giardino dei farmacisti. Pochi anni dopo sarebbe stato scacciato con ignominia per il suo pessimo carattere e per la sua discutibile preparazione. Dopo di lui, i due giardini furono quasi sempre diretti dalla stessa persona, rendendo via via più assurdo il doppione, tanto più se si considerano gli angusti spazi dell'isola Vasil'evsij e il progressivo miglioramento dei trasporti urbani. Bisognò però attendere il 1823 perché i due orti botanici pietroburghesi fossero fusi in uno solo (denominato Imperiale orto botanico di san Pietroburgo), anche se il giardino dell'Accademia continuò ad esistere fino all'inizio del Novecento come sezione staccata. Un'Ammannia per due (forse) Prima di concludere, ancora due parole su Ammann. Testimonianze contemporanee lo descrivono come un uomo di grande cultura e insieme di grande umanità, che parlava molte lingue ed era profondamente dedito allo studio. La salute gli impedì di partecipare a raccolte sul campo, a parte brevi escursioni nei dintorni della capitale, ma fu un attivissimo "botanico da scrivania". Oltre a completare la pubblicazione dell'opera di Buxbaum, seminò nel giardino dell'Accademia i semi inviati dai suoi numerosi corrispondenti europei e raccolti dalle spedizioni di Orenburg, in Siberia e in Kamčatka e trasse un notevole erbario dagli esemplari adulti. Descrisse le specie nuove raccolte soprattutto da Heinzelmenn durante la spedizione di Orenburg, da Messerscmidt e da Gmelin in Siberia in Stirpium Rariorum in Imperio Rutheno Sponte Provenientium Icones et Descriptiones (1739) in cui descrisse 285 piante. Quest'opera illustrata, di grande impegno editoriale, fu una una delle prime a fare conoscere piante precedentemente inedite del Caucaso, dell'Asia centrale e della Siberia centro-meridionale. Oltre che con Sloane, era in corrispondenza con Collinson, Dillenius e Miller in Gran Bretagna cui inviò molte piante e ne ottenne i semi di molte piante nordamericane che fu il primo a introdurre in Russia. Fu uno dei primi corrispondenti di Linneo, neo professore a Uppsala, e molto contribuì al suo "giadino siberiano". Si ritiene che attraverso di lui abbiano fatto il loro ingresso nei giardini europei Lonicera tatarica, Gypsophila paniculata e Delphinium grandiflorum. Quando studiava a Leida, Amman aveva stretto amicizia con William Houstoun, che fu proprio la persona che lo presentò a Sloane. L'amico volle ricordarlo con uno dei nuovi generi da lui scoperti in Messico e nelle Antille, Ammania; egli non motivò la dedica, che però è confermata dalla testimonianza dell'amico comune Philip Miller. Linneo riprese il genere da Houstoun e lo ufficializzò in Species plantarum come Ammannia. In Critica botanica (1737) dichiara però di averlo dedicato al medico e botanico tedesco Paul Amman (1631-1694). Se pensiamo che all'epoca Johann Amman era ancora vivo, non aveva scritto nulla e la sua stessa corrispondenza con Linneo era ancora al di là da venire, non è strano che egli abbia cambiato il dedicatario. Inoltre, dal punto di vista di Linneo, Paul Amman (Paulus Ammannus) era certamente meritevole di essere ricordato. Direttore dell'hortus medicus di Lipsia nella seconda metà del Seicento ne fece il più importante della Germania; famoso per il suo sarcasmo e le sue critiche corrosive, oltre al primo catalogo del giardino, che comprende anche le piante della flora locale, scrisse Character plantarum naturalis (1676) in cui diede una prima diagnosi dei generi, basandosi principalmente sul frutto, e tentò una classificazione delle piante che riprende il sistema di Robert Morrison. Era dunque uno dei quei "sistematici" che Linneo considerava suoi predecessori. Per non fare torto né a Houstoun né a Linneo, ricordiamo dunque entrambi gli Amman, sia Johann sia Paul, delle cui vite troverete una sintesi nella sezione biografie. Il genere Ammannia L. (famiglia Lythraceae) - in seguito alla confluenza dell'affine genere Nesaea -comprende un centinaio di specie di piante erbacee acquatiche o di palude provenienti da varie zone temperate o tropicali; per lo più annuali, hanno fusti eretti o decombenti, che possono crescere sulle rive o fluttuare semisommersi, foglie da arrotondate a lanceolate o lineari, fiori minuti con 4-5 petali (ma talvolta apetali), in genere rosa, seguiti da capsule che contengono un grandissimo numero di semi. Questi ultimi, concavo-convessi, sono atti a fluttuare sulle acque e si mantengono vitali relativamente a lungo. Alcune specie (solitamente in precedenza classificate come Nesaea) sono utilizzate come piante da acquario. Tra di esse A. pedicellata, originaria di ambienti acquatici dell'Africa sudorientale, con folti ciuffi semisommersi di foglie lunghe e strette, che nella cultivar 'Golden' sono giallo dorato; A. gracilis ha invece foglie verdi nella parte inferiore e rosso vivo in quella superiore o emersa. Alcune specie sono presenti come avventizie nella nostra flora, soprattutto come occasionali infestanti delle risaie: A. coccinea (il nome deriva dal fatto che i fusti sono spesso rossastri) cresce in ambienti umidi della pianura padana, come fossi e arginelli delle risaie; A. robusta è segnalata in Lombardia e in Veneto; A. verticillata è naturalizzata in Sardegna e sporadicamente ritrovata altrove. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
May 2024
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