Torniamo a solcare i mari delle Indie orientali per incontrare, dopo Garcia de Orta, l'altro dedicatario del genere linneano Garcinia. E' il chirurgo e poi medico franco-svizzero Laurent Garcin che per otto anni lavorò per la VOC visitando molti dei paesi che si affacciano sull'Oceano indiano, dalla Persia all'Indonesia. Oltre alla dedica da parte di Linneo, vari aspetti della sua biografia lo accomunano a Orta: entrambi sono figli di rifugiati per motivi religiosi, entrambi studiano da pionieri flore quasi sconosciute in Europa, entrambi tengono in grande considerazione le tradizioni mediche locali. E, ovviamente, entrambi hanno scritto del mangostano, ovvero Garcinia mangostana. Un chirurgo navale fuori dal comune Nel 1733, il medico franco-svizzero Laurent Garcin pubblica nelle Transactions della Royal Society, di cui è membro corrispondente, una memoria in cui propone l'istituzione di un nuovo genere di piante "detto secondo i malesi Mangostano". Qualche anno dopo (1737), Linneo, che probabilmente lo conosce di persona (all'epoca entrambi vivono nei Paesi Bassi e frequentano gli stessi ambienti), in Hortus Cliffortianus gli intesta il nuovo genere, con la seguente motivazione: "Ho chiamato questo nuovo genere di albero Garcinia, da Garcin, che primo ne ha dato i caratteri nelle Transactions, e da Garcia de Horta che l'ha descritto per primo". E' perciò nel segno del mangostano che due pionieri dello studio della flora delle Indie orientali si trovano congiunti nella nomenclatura botanica. Torniamo dunque anche noi nelle Indie, quasi un secolo e mezzo dopo il rogo di Goa che ridusse in cenere le spoglie di Garcia de Orta e le pagine dei suoi Colóquios dos simples (l'ho raccontato in questo post), per seguire i passi del co-dedicatario Laurent Garcin. Nel loro destino c'è una strana coincidenza: come il medico portoghese era figlio di ebrei spagnoli, espulsi dalla loro patria nel 1492, Garcin era figlio di calvinisti francesi che dovettero abbandonare la Francia in seguito alla revoca dell'editto di Nantes del 1685. Il padre era un medico e decise di stabilirsi con la famiglia non lontano dal confine, a Neuchâtel, all'epoca un principato retto in unione personale dal re di Prussia, ma di fatto largamente autonomo. All'epoca in cui lasciò la Francia, Laurent, di cui non conosciamo con esattezza la data di nascita, doveva avere circa 4 anni. Intorno ai 14 anni fu mandato a studiare nei Paesi Bassi (un paese calvinista e assai all'avanguardia nella scienza medica); secondo alcune fonti, studiò medicina sotto il celebre Boerhaave, ma poiché non risulta immatricolato in nessuna università olandese, è più probabile che sia stato affidato come apprendista a un maestro chirurgo. Intorno al 1704 (di nuovo, poco sappiamo della sua giovinezza) si arruolò come chirurgo militare in un reggimento fiammingo nel quale servì per sedici anni, nelle Fiandre, in Spagna e in Portogallo. Nel 1720 lasciò l'esercito e fu assunto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali (d'ora in avanti VOC) come chirurgo di bordo di una nave in partenza per Batavia, il quartier generale dell'impero olandese delle spezie. Aveva dunque circa 40 anni, un'età in cui - lo sottolinea egli stesso - i suoi colleghi, se erano stati abbastanza fortunati da sopravvivere, intraprendevano il viaggio di ritorno. La VOC lo assegnò come capo chirurgo (oppermeester) alla Oudenaarde, in partenza il 20 maggio dal porto di Middelburg. Circa sette mesi dopo, il 19 gennaio 1721, Laurent Garcin sbarcava a Batavia. A questo punto, avrebbe potuto essere assegnato all'ospedale della VOC a Batavia oppure alle navi della compagnia che facevano la spola tra i porti e gli empori asiatici. Probabilmente prestò servizio in entrambi i ruoli, ma soprattutto come chirurgo di bordo, visto che risulta abbia visitato la Persia, Surat, la costa del Coromandel, il Bengala, Ceylon e varie isole indonesiane, nel corso di almeno tre viaggi. In tutti questi paesi, osservò fenomeni naturali poco noti, si dedicò a osservazioni barometriche, raccolse semi e esemplari di piante, e si informò sistematicamente sulle pratiche mediche locali. A impressionarlo, furono soprattutto la competenza medica dei bramini indù e dei medici cinesi che incontrò in Malacca. Oltre a corrispondere ai suoi interessi, imparare a riconoscere le erbe locali e le loro proprietà officinali era anche una necessità per un chirurgo impegnato nelle Indie, sia per rifornire la farmacia della nave con rimedi freschi, sia per far fronte alle malattie tropicali che i medici europei non conoscevano e non sapevano come affrontare; invece i medici locali possedevano un tesoro di pratiche e saperi tradizionali che, forse, erano più disponibili a spartire con un chirurgo che con uno spocchioso medico formato in un'università europea. Fu dunque con un bagaglio materiale di semi e piante essiccate e immateriale di conoscenze mediche (ma non solo) che il 1 novembre 1728 Garcin si imbarcò sulla Valkenisse per il viaggio di ritorno. Il 26 giugno sbarcò nei Paesi Bassi. Deciso a esercitare la medicina anche in Europa, a quasi cinquant'anni dovette rimettersi a studiare: si fermò ancora un anno a Leida per completare gli studi medici con Boerhaave e si laureò a Reims. Le competenze acquisite nelle Indie in medicina, botanica, meteorologia gli aprirono le porte della società scientifica europea, come attesta la corrispondenza con personaggi come Daniel Bernoulli, Pieter van Musschenbroek (l'inventore della bottiglia di Leida), Hans Sloane, Réamur, Bernard de Jussieu. Nel 1731 fu ammesso alla Royal Society come membro onorario. Nei Paesi Bassi, oltre a Boerhaave, il suo principale referente era Johannes Burman, cui cedette gran parte dell'erbario raccolto nelle Indie, che fu poi utilizzato dal figlio Nicolaas Laurens Burman per la sua Flora indica (1768). E' probabile che a casa di Burman abbia conosciuto Linneo, anche se non sono rimaste lettere tra i due. E' certo però che fu il primo a far conoscere il sistema linneano in Svizzera, preferendolo a quello di una gloria locale come Haller. Dopo la laurea, ritornò per qualche tempo in Svizzera per sposarsi e rivedere la famiglia. Quindi lavorò come medico a Hulst, in Zelanda e dal 1739 si stabilì definitivamente a Neuchâtel, divenendo un membro eminente della piccola comunità scientifica del principato. Ammesso come membro corrispondente anche all'Accademia delle scienze francese, pubblicò articoli su diversi argomenti, oltre che sulle Transactions della Royal Society, sul Journal helvétique/Mercure Suisse, per il quale teneva anche una rubrica meteorologica, e collaborò alla revisione del Dictionnaire universel de commerce (1742). Morì a Neuchâtel nel 1752. Una sintesi della vita nella sezione biografie. Anche suo figlio Jean-Laurent Garcin (1733–1781), poeta e letterato, si occupò di botanica e rivide per l'Encyclopédie d’Yverdon le voci botaniche scritte da Jean-Jacques Rousseau. Frutti tropicali e pigmenti trasparenti Il mangostano, nome botanico Garcinia manogostana, è la specie più nota di un genere molto vasto delle Clusiaceae (il secondo per dimensioni della famiglia), che comprende da 260 a 400 specie di alberi e arbusti diffusi nella fascia tropicale e subtropicale di tutti i continenti. Sempreverdi, sono in genere dioici e in qualche caso possono riprodursi per apomissia (ovvero senza fecondazione). Per l'estrema varietà delle strutture fiorali, Garcinia è considerato un genere dalla tassonomia discussa, come dimostra anche l'incerto numero di specie. Molte di esse, come altre Clusiaceae (che proprio per questa ragione un tempo si chiamavano Guttiferae), producono resine bruno-giallastre per la presenza di xantonoidi come la mangostina, talvolta usate come purganti o lassativi piuttosto drastici, ma più spesso come coloranti. Molte specie producono frutti eduli, talvolta dolci e da consumare crudi, talvolta acidi e da consumare essiccati. Il frutto più noto è ovviamente proprio il mangostano: è originario del Sud Est asiatico (il nome deriva dalla lingua malese) dove è talmente amato da essere chiamato "regina dei frutti"; già prima dell'arrivo degli europei, fu diffuso in altri paesi asiatici: sicuramente era già noto in India nel Cinquecento, come attestano proprio i Colóquios dos simples di Garcia de Orta. Furono gli inglesi a introdurlo nel resto del mondo: arrivato a Kew intorno 1850, fu importato nelle Antille britanniche, specialmente in Giamaica, che divenne il centro di diffusione in paesi come Guatemala, Honduras, Panama e Ecuador. Tuttavia richiede condizioni ambientali difficili da riprodurre; il sudest asiatico conserva il primato nella produzione mondiale (il paese leader è la Thailandia), e le coltivazioni in altre aree giocano un ruolo marginale. Poco noto da noi fino a pochi anni fa, oggi non è difficile vederlo in vendita tra i frutti tropicali anche sui banchi dei supermercati. I frutti di altre specie sono consumati per lo più a livello locale. Ma non sono solo i frutti a rendere interessanti le Garciniae. Da qualche anno sono stati lanciati sul mercato capsule o estratti di Garcinia gummi-gutta (in genere commercializzati sotto il sinonimo G. cambogia); ricavati dalla scorza dei frutti, dovrebbero facilitare la perdita di peso. Studi scientifici in doppio cieco hanno in realtà dimostrato che la loro efficacia è pari a quello del placebo, mentre sono stati evidenziati effetti collaterali a carico del fegato e dell'apparto gastro-intestinale. Nel sudest asiatico, i frutti essiccati di G. gummi-gutta, ma anche di molte altre specie, dal gusto acido, sono un ingrediente di diversi piatti della cucina tradizionale, come il kaeng-som della Tailandia meridionale. In Vietnam, per dare colore e sapore al bún riêu, si usa G. multiflora. La resina estratta da varie specie di Garcinia, in particolare G. hanburyi, G. morella, G. elliptica e G. heteranda, è nota con il nome gommagutta; in inglese è conosciuta come gamboge, derivato dal Gambogia, il nome latino della Cambogia, paese di origine di G. hanburyi. Trasparente e di colore giallo vivo, arrivò in Europa nel Seicento (la prima attestazione come nome di colore in Inghilterra è del 1634) e fu assai apprezzata come pigmento nella pittura a olio e ad acquarello: la utilizzarono, tra gli altri, Rembrandt, Turner e Reynolds. All'inizio dell'Ottocento l'illustratore botanico William Hooker (omonimo del celebre botanico), avendo bisogno di un verde trasparente per le sue illustrazioni di frutti, mescolò la gommagutta con il blu di Prussia, ottenendo il pigmento ancora oggi noto come verde di Hooker. Un tempo la gommagutta era anche utilizzata come velatura per le stampe, ma all'inizio del Novecento, essendo molto costosa, è stata sostituita da un colorante sintetico, l'aureolina, che è anche più resistente alla luce. Altri approfondimenti su questo interessante genere nella scheda.
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C'è chi lo chiama il Plinio tedesco (anche se non era tedesco, ma svizzero, era erudito quanto Plinio, ma molto più dotato di senso critico), oppure il Leonardo svizzero (dato che, oltre a essere un genio poliedrico, era anche un disegnatore di talento, il paragone calza di più). In ogni caso, anche per gli standard del Rinascimento, epoca che coltivò più d'ogni altra l'aspirazione all'uomo universale, lo svizzero Conrad Gessner fu certamente una personalità d'eccezione. Fu teologo, medico, insegnante, linguista, filologo, bibliografo, naturalista, un poligrafo che scrisse degli argomenti più diversi. Per i posteri è il padre di due discipline tanto lontane come la bibliografia e la zoologia, con le enciclopediche Bibliotheca universalis e Historia animalium. Ma per i contemporanei, e forse per lui stesso, era soprattutto un botanico; la morte precoce e improvvisa gli impedì di completare e pubblicare quella che riteneva la vera grande opera della sua vita, l'altrettanto enciclopedica Historia plantarum. Rimasta manoscritta e pubblicata parzialmente solo duecento anni dopo la morte dell'autore, è la grande opera mancata della botanica rinascimentale. A rivelarci il metodo innovativo di Gessner, basato sull'osservazione minuziosa delle piante e sul confronto tra il maggior numero possibile di specie alla ricerca di una chiave di classificazione, sono soprattutto le lettere ai numerosissimi corrispondenti e ancor più i disegni allestiti per il suo magnum opus, sorprendenti per la precisione e per la scelta dei particolari, del tutto inconsueti per l'epoca. Il poligrafo svizzero era anche un alpinista entusiasta, oltre che il primo in età moderna a rimarcare il legame tra la distribuzione delle piante, il terreno e l'altitudine. Inoltre fu uno degli animatori della grande rete di scambio di informazioni, semi, piante, esemplari che caratterizzò l'ambiente naturalistico del Cinquecento; in relazione con molti dei maggiori botanici del suo tempo, influenzò direttamente l'opera di Jean Bauhin, che fu suo allievo. Stimato dai botanici delle generazioni successive, fu ricordato da Plumier (e da Linneo) con la dedica del genere Gesneria, che dà il nome alla famiglia Gesneriaceae. Una memorabile ascensione Nel 1541, Conrad Gessner (all'epoca aveva ventisei anni) in una lettera all'amico Jakob Vogel, poi pubblicata come dedicatoria dell'opuscolo Libellus de lacte ac operibus lactariis, espresse tutto il suo entusiasmo per le montagne e promise: "Mi propongo per il futuro, finché Dio mi concede di vivere, di scalare le montagne, o almeno di scalare una montagna all'anno". Sappiamo che tenne fede alla promessa, ma di queste escursioni annuali purtroppo ci rimane un solo resoconto: quella della scalata del Grepfstein (1926 m. sul livello del mare), una delle cime del gruppo del Pilatus, alle spalle di Lucerna, nell'agosto 1555. Insieme ad alcuni amici, da Zurigo, dove abitava, Gessner raggiunse Lucerna, dove assunse una guida, dal momento che le autorità cittadine vietavano di accedere al Pilatus da soli. Si credeva infatti che la montagna fosse infestata dal fantasma di Ponzio Pilato, che qui sarebbe stato esiliato e qui sarebbe morto suicida; meglio non sfidare quell'anima in pena, che alla minima provocazione scatenava terribili tempeste! Gessner non ci crede più di tanto e si gode la gita con tutti i sensi: la vista ammaliata dallo spettacolo delle cime e dal magnifico panorama; il tatto piacevolmente solleticato dalle fresche e pure brezze alpine, tanto in contrasto con l'inquinata aria cittadina; l'olfatto deliziato dal profumo dei fiori e delle erbe; persino il gusto è appagato da uno rustico spuntino a base di pane e acqua di fonte: "Dubito che i sensi umani possano assaporare un piacere più grande e più epicureo". Prima di affrontare l'ultimo tratto, nell'ultima malga Gessner vede e ascolta un corno delle Alpi e, quasi per sfida, prova a suonarlo. Quindi la guida li conduce alla cima, attraverso un cammino abbastanza arduo e non segnato da sentieri. Sulla cima, gli amici incidono il loro nome sulle rocce, come hanno fatto molti altri viandanti prima di loro; di Pilato nessun segno, da nessuna parte. Gessner conclude: "Da parte mia, sono inclinato a pensare che non sia mai stato qui". All'andata e al ritorno, il naturalista osserva gli animali (le trote del torrente Rumling, camosci, stambecchi, marmotte) e erborizza, raccogliendo una quarantina di specie diverse. E' affascinato dalla maestosità delle montagne, che per un uomo profondamente religioso come lui è segno e prova della grandezza di Dio, e dalla varietà della natura alpina: "In nessun altro luogo come in montagna è possibile incontrare tanta varietà; a parte ogni altra considerazione, solo in montagna è possibile contemplare e sperimentare le quattro stagioni, estate, autunno, inverno e primavera, riuniti in una sola giornata". Al ritorno a Zurigo, racconterà l'escursione in Descriptio Montis fracti sive Montis Pilati ut vulgo nominant, la prima monografia dedicata alla descrizione di un ambiente alpino, tanto precisa da essere in gran parte valida ancora oggi. In quel laboratorio all'aria aperta che è per lui la montagna, Gessener osserva le piante nel loro ambiente naturale e, secoli prima di Humboldt, è il primo naturalista a intuire l'influenza della temperatura e dell'altitudine sulla distribuzione della flora alpina. Per le sue precise notazioni sull'ecologia delle piante osservate, Descriptio Montis fracti è considerata la prima opera di geografia botanica. L'opera poliedrica di un genio universale Quando organizza la memorabile escursione, Gessner ha già dato alle stampe Bibliotheca universalis (1545-1549) ed è impegnato nella stesura e nella pubblicazione di Historia animalium (1551-1587). Sono le due grandi opere enciclopediche che hanno consegnato la sua fama ai posteri. Gessner era nato a Zurigo in una famiglia con troppi figli e troppi pochi soldi. Il padre, che secondo alcune fonti era un pellicciaio, era un seguace di Zwingli e morì insieme a lui nella battaglia di Kappel. Il quindicenne Conrad fu affidato a uno zio materno, un canonico che coltivava un piccolo giardino ed era esperto di erbe medicinali; fu lui, a quanto pare, a trasmettergli l'amore per la natura. Per il dotatissimo adolescente iniziava una vita errabonda: sempre a corto di soldi e dipendente dal sostegno finanziario di diversi mecenati, lo troviamo a studiare ebraico a Strasburgo, lingue classiche e medicina a Brouges, teologia e medicina a Parigi. Nel 1535 tornò in patria e a soli 19 anni si sposò con una ragazza povera quanto lui nonché malaticcia. Una scelta che egli stesso anni dopo giudicherà avventata e che lo privò momentaneamente dell'aiuto dei suoi protettori. Per vivere, fu costretto a insegnare per qualche tempo in una scuola elementare. Presto fu perdonato e poté riprendere gli studi di medicina a Basilea, quindi si spostò a Losanna, dove per tre anni (1537-1540) insegnò latino e greco all'Accademia cittadina, appena fondata; fu un periodo relativamente tranquillo, durante il quale godette di una certa tranquillità economica e iniziò a pubblicare i primi scritti di medicina, filologia e filosofia. Risalgono a questi anni anche le prime escursioni nel Giura, nel Vallese e sulle Alpi della Savoia e i primi testi di botanica, in cui l'interesse per le piante si coniuga con quelle per le lingue: Historia plantarum ordine alphabetico ex Dioscoride sumtis descriptionibus, et multis ex Theophrasto, Plinio et recentioribus Graecis (1541), una lista in ordine alfabetico dei nomi di piante che compaiono negli autori dell'età classica e del primo Medioevo; Catalogus Plantarum Latine, Graece, Germanice, et Gallice, un catalogo quadrilingue (1542) in ordine alfabetico dei nomi delle piante in latino, greco, tedesco e francese. Nel 1540, sollecitato dalla città di Zurigo che gli offrì una borsa di studio, Gessner riprese gli studi di medicina a Montpellier; un soggiorno breve, ma decisamente importante, che consolidò le sue conoscenze in botanica e anatomia e gli permise di stringere legami personali con altri studiosi, primo fra tutti Rondelet. L'anno successivo si laureò in medicina a Basilea e tornò a Zurigo; qui, a parte le consuete escursioni in montagna e qualche viaggio occasionale, sarebbe rimasto fino alla morte, mantenendosi con vari incarichi: lettore di Aristotele al Carolinum; medico capo della città dal 1554; docente di fisica, scienze naturali ed etica al Carolinum dal 1557 alla morte, avvenuta nel 1565 in seguita a un'epidemia di peste. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Negli anni zurighesi Gessner pubblicò numerose traduzioni e edizioni di testi classici, soprattutto di argomento medico, e scrisse copiosamente di teologia, medicina, linguistica, zoologia, botanica. Soffermiamoci solo sulle opere maggiori. Subito dopo il ritorno a Zurigo, egli fu impegnato nella stesura della monumentale Bibliotheca universalis: impressionato dalla distruzione della biblioteca di Buda, data alle fiamme dai Turchi, che aveva causato la perdita di numerosi inestimabili manoscritti, egli decise di pubblicare un catalogo completo di tutte le opere "esistenti o no, antiche o più recenti fino ai giorni nostri, dotte o no, pubblicate o conservate manoscritte nelle biblioteche". Dopo tre anni di ricerche, che egli stesso definì "un labirinto", il grandioso catalogo uscì infine a Zurigo nel 1545. E' la prima bibliografia dell'età moderna. Nel 1548, l'erudito svizzero la completò con le Pandectae, un indice tematico in cui i testi sono catalogati in 19 materie e 3000 voci; potremmo definirlo il primo motore di ricerca della storia. Subito dopo, egli iniziò a lavorare alla enciclopedia zoologica Historia animalium, una grandiosa opera in cinque volumi: il primo uscì nel 1551, l'ultimo nel 1587, ventidue anni dopo la morte dell'autore. L'intento di Gessner era presentare tutti gli animali conosciuti, nonché una bibliografia di tutte le opere di storia naturale a partire dall'antichità. In mancanza di un criterio di classificazione globale soddisfacente, gli animali, divisi in quadrupedi (I volume), ovipari (II volume), uccelli (III volume), pesci e animali acquatici (IV volume), serpenti e scorpioni (V volume), compaiono in ordine alfabetico; tuttavia alcune grandi categorie sono raggruppate insieme: ad esempio, tutti i bovini sono trattati sotto la voce Bos e tutte le scimmie sotto la voce Simia. Historia animalium è indubbiamente un'opera contraddittoria, con un piede nel passato e uno nel futuro. Da una parte è una compilazione erudita, in cui si riversa il patrimonio di conoscenze zoologiche ereditato dall'antichità o anche dal folklore, tanto che, accanto agli animali reali, non mancano quelli fantastici. Dall'altra parte, Gessner cerca di distinguere i fatti dai miti, e spesso si basa sull'osservazione diretta degli animali e delle loro abitudini; inoltre introduce informazioni sugli animali esotici recentemente conosciuti nelle Americhe o nelle Indie orientali. Di grande rilevanza è poi l'apparato iconografico, con oltre 1500 tavole spesso di grande precisione e realismo. Tra gli autori delle xilografie, va ricordato Albrecht Dürer. Nel 1555, Gessner pubblicò una terza opera notevole, Mithridates sive de differentiis linguarum, che possiamo considerare il testo fondante della linguistica comparata. Il breve opuscolo contiene un elenco in ordine alfabetico di 130 lingue e dialetti, corredato da osservazioni linguistiche, da informazioni sui popoli che li parlano, da esempi testuali e dal testo del Padre nostro in ventisei lingue. Alla ricerca di una chiave per classificare le piante Nonostante questa mole di lavori in altri campi, il principale interesse di Gessner fin dagli anni di Losanna, quando si era innamorato delle piante alpine del Vallese, era la botanica. Negli anni in cui scriveva le grandi opere erudite, continuava a raccogliere e studiare le piante: nei suoi viaggi ne scoprì almeno 200 specie. Corrispondeva con molti colleghi, con cui scambiava esemplari e osservazioni e talvolta polemizzava, nonostante il carattere mite e conciliante (celebre è la controversia con Mattioli sull'identificazione dell'Aconitum primum di Dioscoride). Negli anni cinquanta, diede alle stampe una serie di brevi opere botaniche, talvolta in forma di lettera, tra cui De raris et admirandis herbis, quae sive quod noctu luceant, sive alias ob causas, Lunariae nominantur (1556) in cui si occupa del fenomeno della luminescenza e espone le sue osservazioni sulle differenze tra alcune piante con nomi simili. All'inizio del decennio successivo risale De hortis Germaniae (1561), che contiene la descrizione di varie giardini botanici tedeschi, svizzeri, polacchi, francesi e italiani, incluso quello dello stesso Gessner a Zurigo, piccolo ma ricco di piante particolari; seguono indicazioni per la scelta e la coltivazione delle piante e una lista di piante coltivate in ordine alfabetico. E' interessante sottolineare che non si tratta solo di specie officinali o utilitarie, ma anche ornamentali. Terminata la stesura di Historia animalium (anche se la pubblicazione, come abbiamo già visto, si protrasse per decenni oltre la sua morte), Gessner decise che era venuto il tempo di dedicarsi interamente alle piante. Gli ultimi dieci anni della sua vita furono così consacrati alle ricerche e alla scrittura di un'altrettanto enciclopedica Historia plantarum. Fu un lavoro febbrile, una lotta contro il tempo: da sempre di salute cagionevole, miope e con la vista compromessa dallo studio e dall'uso delle lenti di ingrandimento, il grande naturalista temeva che la sua vita non sarebbe durata abbastanza per consentirgli di portare a termine l'impresa. E, come abbiamo visto, purtroppo non si sbagliava. Nella sua casa, che già da tempo era un piccolo museo naturalistico, incominciarono ad ammassarsi fogli di erbario inviati da amici (come Daléchamps e l'allievo Jean Bauhin, piuttosto nervoso quando il maestro li trattenne molto oltre le promesse), testi di altri botanici con le pagine fitte di annotazioni di mano di Gessner, e soprattutto disegni su disegni. Le oltre 1500 illustrazioni, in gran parte disegnate da lui stesso (era un disegnatore di grande talento) o affidate a collaboratori sotto la sua supervisione, erano diventate il suo principale strumento di lavoro, un modo per fissare sulla carta e rendere evidenti i particolari anatomici di ciascuna specie: ogni pianta era "fotografata" in tutti gli stadi di sviluppo, con tutti gli organi disegnati con la massima precisione e gli ingrandimenti di particolari significativi come i petali, gli organi riproduttivi, il sacco pollinico, i frutti e i semi. Attorno ai disegni, una ragnatela di annotazioni in una scrittura minutissima, con osservazioni sulla località di crescita, le forme di sviluppo, i particolari morfologici, le caratteristiche distintive. Attraverso queste osservazioni e questi disegni, Gessner stava cercando di scoprire una chiave di classificazione del vasto mondo vegetale, i cui confini non facevano che allargarsi con l'afflusso di sempre nuove specie da altri continenti. Una fatica di Sisifo e un fallimento annunciato. Anche se da nessuna parte Gessner ha esposto le sue conclusioni e in Historia plantarum le piante sono effettivamente raggruppate in modo incoerente ed empirico, dai particolari su cui insiste nei disegni e da alcune lettere possiamo ricavare chiaramente che aveva capito l'importanza dei fiori, dei frutti e dei semi per classificare le piante. Non a caso, la sua opera fu particolarmente apprezzata da Tournefort che possedeva una copia di De raris et admirandis herbis fittamente annotata. Inoltre fu tra i primi a distinguere con una certa chiarezza i concetti di genere e specie, scrivendo tra l'altro: "Non esiste quasi pianta che costituisca un genere che non possa essere diviso in due o tre specie. Gli antichi descrissero una specie di genziana. Io ne conosco dieci o più". Abbiamo già anticipato che Historia plantarum rimase incompleta ed inedita. Alla morte dell'autore i disegni furono acquistati da Camerario il Giovane che ne utilizzò una quarantina per il suo Hortus medicus (1588); il manoscritto passò per varie mani e fu parzialmente riscoperto da Trew, che lo pubblicò sotto il titolo Opera botanica tra il 1753 e il 1759, quando ormai era troppo datato per influire sugli sviluppi della scienza botanica. Circa 150 disegni furono scoperti nel 1927 nella Biblioteca di Erlangen; il terzo volume dell'opera, che si credeva perduto, è stato ritrovato solo nel 2013 nella biblioteca dell'Università di Tartu. Gesneria, tropicali per intenditori L'ammirazione di Tournefort per Gessner era condivisa dal suo amico Plumier, che volle celebrare il botanico svizzero dedicandogli uno dei suoi nuovi generi americani. La dedica di Gesneria fu poi confermata da Linneo, che riteneva Gessner uno dei botanici più importanti delle generazioni precedenti e gli riconosceva il merito di essere stato il primo ad usare la struttura dei fiori come criterio di classificazione delle piante. Grazie a Plumier e Linneo, Gessner è diventato così il patrono non solo del genere Gesneria, ma delle Gesneriacae, una grande famiglia di più di 150 generi e 3500 specie, per lo più tropicali, caratterizzate da fiori vistosi e di grande bellezza. Molto meno nota delle cugine Achimenes, Gloxinia, Sinningia, Streptocarpus o Saintpaulia, anche Gesneria non manca di farsi notare per le fioriture smaglianti. Con circa cinquanta specie di piccoli arbusti, suffrutici ed erbacee perenni, è un genere quasi esclusivamente caraibico, ad eccezione di due o tre specie dell'America meridionale. Le Gesneriae sono vere tropicali, abitanti delle foreste d'altura, dove vivono sulle rocce e sulle pareti rocciose, godendo di ombra luminosa, suolo ricco e sciolto e umidità costante. Condizioni difficili da riprodurre in coltivazione, tanto più che basta che il terreno secchi troppo anche per un breve periodo per ucciderle; ecco perché sono piante da collezione, da coltivare in un terrario o in una serra protetta. Tra le poche specie relativamente diffuse, G. cuneifolia, nativa dei Caraibi orientali; è una erbacea in miniatura con foglie alternate lucide e fiori tubolari arancio vivo. Ne sono stati introdotti anche alcuni ibridi. G. ventricosa, nativa della Giamaica e delle piccole Antille, è invece un arbusto relativamente grande che vive in spazi semi-aperti sulla sommità delle colline nelle foreste pluviali di mezza montagna; ha corolle a imbuto rosso aranciato lievemente ricurve e rigonfie. Qualche approfondimento nella scheda. Chi ha inventato i nomi scientifici formati dalla combinazione di due nomi, uno per il genere, l'altro per la specie? Risposta facile: Linneo. Risposta facile ma sbagliata! L'inventore è Gaspard Bauhin. Scopriremo in che modo ha anticipato la nomenclatura linneana e perché è stato importante nella storia della botanica. E troveremo anche la risposta a un altro interrogativo: come mai una coppia di severi calvinisti svizzeri (Gaspard e suo fratello Jean) è stata immortalata dal genere Bauhinia, le cui fioriture sgargianti le hanno guadagnato il nome di albero delle orchidee? Chi ha inventato la nomenclatura binomiale? Tutti conosciamo Linneo come l’inventore della nomenclatura binomiale, ma non si trattava di un'invenzione del tutto originale. Lo studioso svedese la riprese da un medico e botanico franco-svizzero, vissuto un centinaio di anni prima: Gaspard (o Caspar) Bauhin. Costui, nel suo Pinax theatri botanici (1596) introdusse per primo i concetti di genere e specie. Fino ad allora, negli erbari e nei testi di botanica la denominazione della pianta era costituita da una descrizione in latino più o meno ampia, che inoltre variava da autore ad autore: ad esempio il comune ranuncolo dei prati (Ranunculus acris) poteva essere denominato Ranunculus pratensis reptante caulicolo oppure Ranunculus magnus hirsutus flore pleno, e così via. Questi nomi-descrizione vengono definiti nomi polinomiali, o denominazione polinomia, in contrapposizione ai futuri nomi binomiali e alla denominazione binomia. Bauhin ridusse tale descrizione al minimo, spesso utilizzando due parole: una per il genere, l’altra per la specie, analogamente al sistema attuale. Tuttavia non lo fece in modo sistematico; spesso mantenne nomi-descrizione; inoltre per i generi costituiti da una sola specie o per le specie tipiche, spesso usò un solo nome; non si tratta dunque né di un sistema coerente né di un metodo universale. In ogni caso, Pinax theatri botanici può essere considerato una pietra miliare della storia della botanica; Gaspard Bauhin vi descrisse e classificò quasi 6000 specie, facendone uno dei testi botanici più reputati e consultati del tempo. Lo stesso Linneo lo utilizzò largamente, riprendendo molte denominazioni introdotte da Bauhin; lo dimostrano anche le oltre 300 annotazioni di sua mano che costellano l’esemplare del Pinax a lui appartenuto. Per un approfondimento sul ruolo di Bauhin nella invenzione della nomenclatura binomiale e sulle ragioni per cui Linneo ne ha oscurato la fama, si rimanda all'interessante articolo di C. Sorrentino. Anche Jean (o Johann) Bauhin, fratello maggiore di Gaspard, era medico e botanico; a sua volta, dedicò una grande opera, Historia plantarum universalis, alla descrizione di tutte le piante allora conosciute; il lavoro, rimasto incompiuto, ne registra oltre 5000. Altre notizie sui fratelli Bauhin nella sezione biografie. Le foglie "fraterne" della Bauhinia La Bauhinia venne dedicata ai fratelli Bauhin dal suo scopritore, il frate francese Charles Plumier, che l'aveva raccolta nel 1690, durante il suo primo viaggio nelle Antille. Era stato proprio Plumier a inaugurare l'abitudine di dedicare i nuovi generi che andava scoprendo a botanici del passato, viaggiatori, scienziati nonché personaggi influenti della corte del re Sole. Nell'assegnare questo genere ai due fratelli padre Plumier aveva in mente una sua caratteristica peculiare. Le foglie di diverse specie di Bauhinia sono formate da due lobi divergenti ma uniti alla base (appaiono abbastanza simili a quelle del nostro albero di Giuda, Cercis siliquastrum, che del resto è strettamente imparentato). In tal modo egli intese disegnare un ritratto vegetale dei due fratelli, diversi e allontanati dalle vicende biografiche, ma uniti dall'amore per la botanica di cui furono tra i più importanti pionieri. Per classificare e nominare le piante americane Linneo si avvalse ampiamente delle opere di Plumier e spesso - come in questo caso - riprese i nomi da lui assegnati. Convalidato in Species Plantarum 1753, questo genere è dunque per noi Bauhinia L. (dove la sigla sta per Linneo). Nella sezione schede, un profilo del genere Bauhinia, con sintetiche informazioni sulle specie più significative. E se leggerete attentamente, scoprirete anche un modo per superare brillantemente gli esami! |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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