In un articolo pubblicato qualche anno fa, Paolo Pejrone ha definito Beaumontia grandiflora "una dominatrice come la Lady che per prima la coltivò". Il riferimento è a Diana Wentworth Beaumont che, anche se si atteggiava a gran dama, non era affatto una lady; anche il fatto che fosse una dominatrice non è per nulla certo. Vicini malevoli ce ne hanno consegnato un ritratto caricaturale che forse è solo il frutto di risentimenti e pregiudizi sociali; anche se il personaggio era indubbiamente sopra le righe, le testimonianze di Loudon, Wallich e del giardiniere Marnock vanno in senso totalmente diverso. Certo amava la grandiosità e l'ostentazione, e lo dimostra anche la sua maggiore realizzazione come "donna di piante": la spettacolare serra tropicale a cupola, la più grande del suo tempo. Poco dopo la sua morte fu smantellata e la conosciamo solo da qualche disegno. Una discutibile leggenda nera Oggi è quasi dimenticato, ma al momento della sua uscita nel 1826 il romanzo satirico Almack's ebbe un certo successo. Prendeva infatti di mira una delle istituzioni dell'età della reggenza, Almack’s Assembly Rooms, che fu uno dei primissimi club ad ammettere sia uomini sia donne e divenne uno dei luoghi di ritrovo più prestigiosi ed esclusivi della capitale, con i suoi balli del mercoledì cui si poteva accedere solo dietro invito, a insindacabile giudizio delle patronesse, un gruppo di dame dell'alta società. Tra i personaggi figura una certa Lady Birmingham, descritta come una donna di bassa nascita, volgare e piena di pretese, che ostenta le sue ricchzze e i suoi diamanti. E' orgogliosisima del suo giardino; in una scena, a proposito delle piante americane della sua residenza di campagna, si vanta così: "Lee e Kennedy mi hanno detto che ho la collezione più bella dell'intero regno. Sono sicura che ben poche persone ne hanno così tante come me [...]. Al momento sono impegnatissima con gli arbusti, sto ampliando i miei impianti americani e sto creando un nuovo roseto; ne ho 180 nuove varietà". Dietro questo ritratto velenoso, i contemporanei riconoscevano facilmente una persona reale: Diana Wentworth Beaumont (1765–1831). Il romanzo fu pubblicato anonimo, ma era ben noto che l'autrice era Marianne Spencer-Stanhope Hudson. Gli Spencer-Stanhope erano vicini di casa dei Wentworth nello Yorkshire e, mentre i membri la vecchia generazione, rappresentata da sir Thomas Wentworth (1726-1792) di Bretton Hall e John Spencer di Cannon Hall, erano grandi amici, i giovani Spencer-Stanhope non perdevano occasione per prendere in giro la figlia maggiore ed erede Diana e le sue arie da gran dama e tra di loro la chiamavano sarcasticamente Madame Beaumont. Un'altra delle Spencer-Stanhope, Mrs Pickering, nata Anna Maria Wilhelmia Spencer-Stanhope, nelle sue memorie descrisse la giovane Diana come una serva di cucina che vendeva le uova al mercato di Pensitone; bambina al momento della morte di lei, doveva aver raccolto questa diceria dalla bocca di qualcuno dei suoi parenti. Si trattava certamente di una grossolana calunnia, che però in qualche modo rifletteva la nascita irregolare di Diana Wentworth. Suo padre, sir Thomas Wentworth, era stato uno scapolo impenitente e libertino che aveva sempre rifiutato di sposarsi, benché avesse avuto numerosi figli illegittimi da varie amanti. Un figlio e tre figlie, nate tra il 1765 e i 1775, di cui Diana era la maggiore, vennero riconosciuti e le ragazze, anziché servire in cucina, ebbero un'ottima educazione in collegi femminili. Sorprendentemente, nel suo ultimo testamento, scritto poche settimane prima della morte, sir Thomas, tranne un piccolo lascito e una rendita annuale, diseredò il maschio, lasciò cospicui lasciti alle figlie minori e le terre e il grosso del patrimonio a Diana. Non conosciamo il motivo di questa decisione controcorrente; Karen Lynch ipotizza che non ci fossero migliori mani di quelle di lei cui affidare l'amatissimo Bretton Hall; in effetti, una clausola del testamento stabiliva che la casa doveva continuare ad essere abitata dalla famiglia e che essa e i giardini dovevano essere mantenuti in perfetto ordine. Sir Thomas è stato descritto come un personaggio eccentrico i cui unici interessi dichiarati erano la caccia, i cavalli, le bevute, le donne e la tenuta di Bretton Hall; erede per parte materna della famiglia Blackett, proprietaria di miniere di carbone e piombo presso Durham, aveva investito grosse somme per rimodellare il parco. Inizialmente si affidò all'architetto Richard Woods, che creò un lago artificiale interrompendo il corso del fiume Dearne con una diga. Dopo il crollo della diga in seguito a una piena, preferì fare da solo "senza ricorrre a Capability [Brown] o a simili pretenziosi bricconi"; qualche anno dopo, volle un secondo lago "grande abbastanza per Giona e la sua balena". Nel parco, percorso da piacevoli viali, fece piantare molti alberi e creò diversi edifici di gusto gotico; uno degli isolotti ospitava addirittura un piccolo zoo. Diana condivideva con il padre l'amore per le piante e la natura, e probabilmente ne aveva ereditato anche l'eccentricità, la testardaggine e il gusto per l'eccesso. Nel 1786, a circa 20 anni, sposò un proprietario terriero dello Yorkshire di modesta fortuna, Thomas Richard Beaumont; nel 1792, dopo la morte di sir Thomas, la coppia fece di Bretton Hall la sua residenza principale, anche se soggiornava spesso anche a Hexam Abbey e in altre proprietà e durante la stagione mondana viveva a Londra. Grazie alle proprietà ereditate dal padre nello Yorkshire e nel Northumberland, Diana Wentworth Beaumont era già molto ricca; intelligente e dotata di un grande senso degli affari, durante la sua gestione raddoppiò il patrimonio, tanto che al momento della morte era considerata la commoner più ricca del paese. Il marito, che i contemporanei descrivono come una "testa debole" succube della moglie, forse era semplicemente abbastanza intelligente da delegare l'amministrazione a Diana, molto più abile di lui, che per altro spesso era lontano da casa come militare; tra il 1794 e il 1803 fu infatti colonnello di un reggimento di cavalleria. Thomas Richard intraprese anche una carriera politica; fu deputato per il Northumberland ininterrottamente dal 1795 al 1818. Era schierato con i Tory e con il governo e in questo lungo periodo non è noto che abbia preso la parola nemmeno una volta. La sua massima aspirazione - sicuramente condivisa dalla moglie - era ottenere un titolo nobiliare; corteggiava regolarmente il primo ministro di turno nella speranza di una baronia, ma nessun ministro gliela concesse mai, sicuro di avere comunque il suo voto. Il titolo non c'era, ma tanto nelle tenute di campagna quanto a Londra, i Beaumont vivevano in modo assai sfarzoso, secondo lo stile degli aristocratici; ma poiché non lo erano, suscitavano il riso di quella società intrisa di pregiudizi sociali. Gli Spencer-Stanhope si sbellicavano quando vedevano "Madame Beaumont" attraversare il villaggio con una carrozza trainata da due pariglie di cavalli neri e guidata da postiglioni in livrea di velluto; Lady Aynsley arricciva il naso ascoltandola vantare le rendite delle sue miniere di piombo. Certamente Diana era una donna imperiosa, tenace nel perseguire i suoi obiettivi, che aveva fama di litigare con tutti, compreso il figlio maggiore. Eppure, se ascoltiamo altre campane. il ritratto muta colore: non più una "dominatrice" soffocante, come l'ha definita anche Paolo Peirone, ma un'amministratrice puntuale, precisa e attenta ai bisogni e alla dignità dei suoi dipendenti. L'architetto paesaggista John Claudius Loudon. che visitò più volte Bretton Hall, ha scritto di lei: "Nessuna signora è stata una padrona più liberale e sollecita verso i suoi dipendenti, né una migliore proprietaria terriera rispetto ai suoi affittuari"; il ritratto tracciato dal capo giardiniere Robert Marnock - scritto vari anni dopo la morte di lei e quindi senza alcuna piaggeria interessata - è addirittura un peana: "Mrs Beaumont per la sua consuetudine con gli affari e l'ordine possedeva una mente dal potere gigantesco. Quando lavoravo come giardinere, mi dava spesso appuntamento presso un determinato albero, a un'ora e un minuto specifico e, sebbene questi appuntamenti fossero frequenti e a volte fissati una settimana o dieci giorni in anticipio, non ricordo una singola occasione in cui abbia mancato di presentarsi all'esatto minuto fissato; la sua puntualità e precisione non erano riservati alla sistemazione del giardino ma emergevano nella sua condotta nell'intera tenuta. Era un esempio ammirevole per i domestici, che dovrebbe essere seguito da padrone e padroni dei nostri giorni. Non si permise mai di entrare nell'orto durante l'orario di lavoro senza aver prima suonato la campana del giardino [...]. Proprio perché era così scrupolosa ed esatta nel disbrigo dei suoi affari, riusciva a trovare il tempo di dedicarsi al giardino e alla botanica, e all'occasione patrocinare meriti altrimenti senza sostegno". Un giardino senza rivali E' ora dunque di parlare di Mrs Beaumont come giardiniera e collezionista. La sua passione si esercitò soprattutto nel giardino di Bretton Hall che ereditò dal padre nel 1792 e continuò ad abbellire con interventi costanti per quarant'anni. Questi lavori, che non sembrano obbedire a un progetto coerente, ma piuttosto alle necessità e all'estro del momento, furono affidati di volta in volta ad architetti sempre diversi (che Diana litigasse con tutti non era forse così infondato). Il primo fu John Carr che già nel 1793 fu incaricato di ristrutturare la sala da pranzo e la biblioteca; nel 1803 un certo Mr Mickle disegnò le ringhiere del parco; nel 1804 un altro noto architetto, Willian Atkinson, disegnò un'aranciera, un museo per le collezioni naturalistiche, una latteria e l'Archway Lodge, una sorta di ingresso monumentale fiancheggiato da colonne con un arco abbastanza ampio da consetire l'ingresso di una carrozza. Fu poi la volta di William Lindley, cui si devono nuove cucine, la scuderia e una grotta con conchiglie; nel 1811 Jeffry Wyatt disegnò una voliera, alcuni cottage e la serra delle camelie che è uno dei pochi manufatti dell'epoca di Diana oggi conservato. Destinata ad ospitare la collezione di piante semirutiche provenienti dall'Asia, è un luminoso edifico in pietra ma con grandi finestre ad arco e un tetto in vetro e ghisa. I Beaumont ricevevano spesso (Mary Russell Mitford che fu loro ospite nel 1806 ricorda che ai loro pranzi partecipavano trenta o quaranta persone); si prestava dunque grande attenzione all'orto e al frutteto che dovevano provvedere una quantità sufficiente di verdure e frutti per la tavola della famiglia, del personale e degli ospiti. Fino al 1825 a occuparsene fu Christie Duff, rinomato per la coltivazione dei mirtilli rossi, del crescione, dei peschi a spalliera e la moltiplicazione dei rizomi di zenzero. Quando questi si licenziò, venne assunto come "caposquadra dell'orto" il già citato Robert Marnock (1800-1889) che quattro anni dopo sarebbe stato promosso capo giardiniere. I suoi ricordi, scritti una ventina di anni dopo, quando Marnock dirigeva l'orto botanico di Sheffield ed era una delle figure di punta del movimento Gardenesque, fanno rivivere i giardini di Bretton Hall negli anni d'oro: "Circa vent'anni fa, quando lo vidi la prima volta. Bretton Hall non aveva rivali per i suoi giardini, tanto per l'estensione quanto per la varietà. La forzatura di uva, ananas, pesche, fichi ecc. era praticata estesamente; c'era anche un'estesa collezione di piante da serra fredda e calda, un assortimento di piante erbacee rustiche che occupavano un'area circolare di non meno di tre acri, con le piante sistemate secondo il sistema di Linneo. Oltre a tutto questo, c'era un orto murato di sei o otto acri per la coltivazione delle verdure e la produzione di frutti rustici. All'epoca alla quale mi riferisco, c'erano sei grandi serre per la forzatura di pesche e nettarine; due vigne protette; una serra per i fichi; nove serre riscaldate per gli ananas con innumerevoli buche; due grandi aranciere e altrettante serre riscaldate. Infine un'immensa serra eretta dai Bailey di Holborn con una spesa 8.000 o 10.000 £, riscaldata con un complicato e costoso apparecchio a vapore". Siamo così arrivati alla celebre serra di Bretton Hall. Iniziata nel 1826, ma non completata fino al 1829 - non senza una causa legale che contrappose i coniugi Beaumont alla ditta londinese Bailey - era un edificio avveniristico, interamente costruito in vetro e ghisa; circolare, con un diametro di circa 18 metri, aveva un'alta volta a cupola, che raggiungeva l'altezza massima di circa 14 metri. Poco dopo il completamento della serra, il colonnello morì e la moglie lo seguì poco più di due anni dopo, nell'agosto del 1831. Il figlio ed erede, Thomas Wentworth Beaumont, in rotta con la madre che, dopo la sua maggiore età, aveva rifiutato di anticipargli l'eredità e aveva mantenuto il pieno controllo dei propri beni, non partecipò al funerale e si afffrettò a vendere all'asta tutto ciò che le ricordava la madre, di cui (lui educato a Eton e Cambridge) disapprovava gli eccessi. Almeno, questa è la versione che circolò. Forse, più prosaicamente, benché divenuto a sua volta il commoner più ricco del regno, aveva bisogno di liquidità per saldare i fornitori e i debiti in sospeso, e soprattutto per versare i cospicui lasciti testamentari che la madre aveva diposto per i figli e le figlie minori, dimostrando ancora una volta la sua indipendenza di pensiero. Tra i beni alienati, anche la serra circolare che fu svenduta a un fabbricante di birra, più interessato al sistema di riscaldamento che all'edificio in sè, che fu totalmente smantellato. Ne rimane solo qualche disegno. Un'amicizia botanica e uno scambio intercontinentale Sia Marnock sia Loudon lamentarono che i vari interventi nel parco di Bretton Hall si erano succeduti senza un disegno unificante; in effetti, più che al parco in sè, Mrs Beaumont era interessata alla sua collezione di piante rare, per la quale aveva fatto costruire successivamente la grande aranciera vetrata e la serra circolare. Al contrario del suo doppio letterario, lady Birmingham, non raccoglieva piante americane, ma soprattutto asiatiche che le furono spedite con una certa frequenza da Nathaniel Wallich a partire dal 1815. Mrs Beaumont era interessata alle scienze naturali (abbiamo visto che aveva allestito un piccolo museo, con una collezione soprattutto di minerali, e che in una parte del suo giardino le piante erano sistemate in modo sistematico, come in un orto botanico); era abbonata alle Transactions della Linnean Society alla quale inviava regolarmente esemplari delle sue piante più rare. In tal modo era entrata in contatto con Smith, Lambert e Banks. Permetteva anche agli artisti botanici di frequentare il suo giardino per ritrarre le piante dal vivo. In tal modo si era fatta una certa fama di protettrice della botanica. Nathaniel Wallich che - ricordiamolo - era suddito danese e per questa ragione era stato anche imprigionato come cittadino di una potenza ostile - nel 1815 era entrato al servizio della Compagnia delle Indie e cercava un patrono influente. Ovviamente aveva pensato a Banks e si era messo in contatto con lui attraverso Thomas Hardwicke, suo amico e membro dell'Asiatic Society. Hardwicke gli suggerì di rivolgersi anche a Mrs Beaumont che, come moglie di un membro della Camera dei Comuni e proprietaria di estesi giardini, avrebbe potuto a sua volte offrire una via d'accesso a Banks, Lambert e i vertici della Compagnia delle Indie. Così Wallich nel dicembre 1815 le scrisse e le spedì piante vive e semi. Fu l'inizio di uno scambio botanico nelle due direzioni; confermandosi una donna concreta, sollecita e cortese, Diana non si accontentò di ringraziare ma ricambiò il dono, scrivendo: "Quest'autunno chiederò al mio giardiniere di raccogliere tutti i semi che egli riterrà accettabili per voi, per l'orto botanico di Calcutta; ne ho parlato ai direttori della Compagnia, chiedendo che vi vengano spediti. Ciò mi ha dato l'opportunità di menzionare i vostri propositi e di sostenerli con le mie più forti raccomandazioni, come ho fatto con sir Joseph Banks e Mr Lambert, e ho ogni ragione di sperare che se ne cureranno". Da quel momento Mrs Beaumont per Wallich divenne un punto di riferimento, una protettrice e un'amica. Dello scambio si arricchirono tanto Bretton Hall quanto l'orto botanico di Calcutta - anche se non sappiamo di quali piante; l'unico campione dell'erbario di Wallich indicato come "Beaumont" e proveniente da Bretton Hall è la leguminosa Senna multijuga, nativa del Messico e dell'America subtropicale. Wallich provvide Bretton Hall di molte piante raccolte in varie parti dell'India e in Nepal, e proprio per accoglierle al meglio Mrs Beaumont fece costruire la grande serra a cupola. Tra le piante introdotte da Mrs Beaumont attraverso Wallich e coltivate per la prima volta a Bretton Hall, possiamo citare Wallichia caryotoides, Callianthe striata, Garcinia dulcis, Clerodendrum nutans, Hovwa pannosa, Tupistra nutans, Tetracera sarmentosa. Senza dimenticare Beaumontia grandiflora, su cui torneremo tra poco, e lo splendido Rhododendron arboreum, di cui Mrs Beaumont aveva trasmesso i semi al vivaio di piante esotiche di Joseph Knight. In effetti, Diana fu utile a Wallich anche mettendolo in contatto con vivai che potevano essere interessati a commercializzare le sue piante. Nel 1829, qundo venne in Inghilterra, visitò Mrs Beaumont a Bretton Hall e visitò con lei proprio il vivaio di Knight. Eccoci dunque giunti a Beaumontia, il piccolo genere di rampicanti dell'Asia tropicale dedicato alla amica e protettrice nel 1824 con questa motivazione: "L'ho nominato in onore della Sig.a Diana Beaumont, devotissima all'orticoltura e alla scienza botanica in Inghilterra e munifica fautrice di entrambe, alla cui benevolenza il giardino di Calcutta deve molte piante esotiche soprattutto europee". Beaumontia (famiglia Apocynaceae) comprende otto-dieci specie di rampicanti e liane nativi della Cina, del subcontinente indiano e del sudest asiatico. La specie più coltivata è B. grandiflora, un vigoroso rampicante sempreverde (anche se può perdere le foglie nella stagione secca) che produce un lussureggiante fogliame verde lucido e profumatissimi fiori bianchi campanulati raccolti in infiorescenze terminali. Resistendo per brevi periodi a temperature prossime allo 0, può essere coltivata anche in parte del nostro paese, in pieno sole e in posizione protetta, ma senza dimenticare che può raggiungere dimensioni ragguardevoli e richiede un supporto robusto.
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Joséphine de Beauharnais, ovvero l'imperatrice Giuseppina, la prima moglie di Napoleone, è nota per la passione per la botanica, che profuse nella creazione dello splendido parco del castello di Malmaison, successivamente residenza dei Bonaparte negli anni del consolato, poi casa di campagna e rifugio in quelli dell'impero, infine, dopo il divorzio, la sua casa, la sua consolazione, il luogo dove morì. Dotato di una serra calda all'avanguardia, fu funzionale all'introduzione in Francia di quasi duecento specie esotiche, soprattutto australiane. Per tutti, Joséphine è anche l'imperatrice delle rose, che certamente amava, ma probabilmente non di quell'amore esclusivo che le attribuisce il mito. A ricordarla contribuisce anche la splendida e capricciosa Lapageria (dal suo nome da ragazza, Marie Josèphe Rose Tascher de La Pagerie). Un parco all'inglese Il noto motto latino nomen omen, "nel nome c'è il destino", almeno a Marie Josèphe Rose Tascher de La Pagerie (1763-1814) parrebbe calzare. Fino a quando Napoleone Bonaparte la ribattezzò con il nome con cui è passata alla storia, per tutti fu Rose, un nome che preannunciava l'importanza che nella sua vita ebbero le piante, comprese le rose. Quando si incontarono per la prima volta in un salotto parigino, lei era Mme Rose de Beauharnais. Lui aveva 26 anni, lei 32, e aveva già alle spalle una vita tumultuosa e molto chiacchierata. Era nata in Martinica nella piantagione di una famiglia nobile ma impoverita; poi, ad appena 16 anni, erano arrivati il matrimonio con un nobile dissipatore e femminiere, prima dei vent'anni un figlio e una figlia, quindi la separazione, il carcere durante il terrore, la vedovanza in seguito all'esecuzione del marito Alexandre de Beauharnais. E debiti, tanti debiti, e amanti veri o presunti. L'ultimo, quello in carica al momento, si diceva fosse Paul Barras, uno dei cinque direttori. Che, secondo una delle varie versioni, sarebbe anche colui che presentò ufficialmente la bella vedova a Napoleone, che aveva appena nominato generale per essersi distinto nella repressione di un'insurrezione monarchica. Fu l'inizio di un amore appassionato da parte di lui - un po' meno da parte di lei - che sfociò nel matrimonio il 9 marzo 1796, due giorni prima che Bonaparte partisse per la Campagna d'Italia. Rose non era più Rose, ma Joséphine, come Napoleone l'aveva ribattezzata a partire dal suo secondo nome, forse per rifarla propria e cancellare quel passato tanto chiacchierato. E mentre Napoleone diventava Napoleone, Joséphine aveva finalmente un giardino. Nell'aprile 1799, mentre il marito era impegnato nella Campagna d'Egitto, ricorrendo a un prestito - era abituata a fare debiti - acquistò per 325.00 franchi il castello e la tenuta di Malmaison, a una dozzina di km da Parigi. Al suo ritorno Bonaparte andò su tutte le furie per quella spesa folle, ma, dopo il colpo di stato del 18 brumaio che lo rese padrone della Francia, si addossò il debito, forse attingendo al denaro predato in Italia ed estese addirittura il parco dagli iniziali 60 a 260 ettari. Anche per lui, Malmaison divenne la casa del cuore e per tutto il consolato ne fece la propria residenza; tra il 1800 e il 1802, insieme alle Tuilerie, fu addirittura la sede del governo. Joséphine era decisa a trasformare la tenuta "nel giardino più bello e curioso d'Europa, un modello di buona coltivazione". Inizialmente i lavori vennero affidati agli architetti Percier e Fontaine, che, oltre a restaurare il castello (loro avrebbero voluto abbatterlo e ricostruirlo, ma Napoleone optò per una più economica ristrutturazione), nel 1801 incominciano a recintare il parco, costruirono strutture di servizio come stalle per i cavalli e padiglioni di guardia, eressero il cancello principale e, per le piante di Joséphine, una orangerie riscaldata in grado di produrre 300 piante di ananas. Tuttavia presto emersero contrasti con Mme Bonaparte, che considerava il loro gusto in fatto di giardini troppo classico; desiderava un giardino all'inglese di gusto romantico e paesaggistico. Si rivolse così ai due guru del giardino all'inglese in Francia, lo scozzese Thomas Blaikie, che aveva disegnato il giardino di Bagatelle per il conte d'Artois, e Jean-Marie Morel, autore dell'influente Théorie des Jardin (1777). Morel costruì uno chalet svizzero, una stalla per le mucche, una latteria e una casa per i vaccari fatti venire dalla Svizzera e iniziò la costruzione della serra riscaldata (Grande serre chaude), completata nel 1805 da Thibault e Vignon. Costruita secondo i criteri più avanzati dell'epoca, era la prima in Francia a prevedere una così ampia superficie in vetro; lunga circa 50 metri e larga 19, era riscaldata da 12 stufe e poteva ospitare piante alte fino a 5 metri. La serra era addossata a un elegantissimo padiglione con una serie di salotti e una rotonda centrale raffinatamente arredati in cui era possibile riposarsi, intrattenersi ed ammirare piante rare e una collezione di vasi greci. Neppure Morel soddisfaceva del tutto il gusto romantico della ormai imperatrice (fu incoronata dallo stesso marito e congiuntamente a lui il 2 dicembre 1804); alla fine del 1805 gli subentrò Louis-Martin Berthault, in cui Joséphine trovò quasi un'anima gemella che l'avrebbe servita fino alla morte. Egli costruì una nuova galleria per ospitare le collezioni d'arte e a partire dal 1807 ridisegnò completamente il parco, creando un parco chiuso di 70 ettari perfettamente integrato nel paesaggio, con gli alberi disposti in modo da permettere allo sguardo di spaziare su monumenti già esistenti come l'acquedotto di Marly o il castello di Saint Germain. Berthault disegnò sentieri serpeggianti, fece scavare un corso d'acqua sinuoso che si allargava a formare un laghetto e disseminò il parco di edifici di gusto romantico: il Tempio dell'amore, il tumulo funerario della Malinconia, una grotta con rocce fatte venire da Fontainbleau. Tutte cose che facevano impazzire l'imperatrice, ma non l'imperatore, che le definiva sprezzantemente niaiseries "stupidaggini", e volle per sè un angolo di gusto più classico. Per ospitare gli animali giunti dall'Australia - li ritroveremo tra poco - c'erano una voliera e uno zoo; alla fattoria si aggiuns un allevamento modello di pecore merino. Le piante e gli uomini di Malmaison Fin dall'acquisto di Malmaison, Joshéphine era intenzionata a popolarne il parco e le serre con una collezione unica di piante esotiche. In primo luogo, forse già dalla primavera del 1800, si rivolse a André Thouin, il capo giardiniere del Jardins des Plantes che, oltre ad essere il massimo esperto di acclimatazione di esotiche in terra di Francia, negli anni aveva costruito un'immensa rete di corrispondenti che includeva botanici, giardinieri, vivaisti e collezionisti sia nel paese sia all'estero. In una lettera dell'agosto 1800, firmata Lapagerie Bonaparte, la futura imperatrice lo ringrazia per l'invio di frutti di fico-banana (Ficus pleurocarpa) che "mi hanno ricordato il paese natale e mi hanno dimostrato che siete capace di trionfare di ogni clima e di portare ogni cosa a perfezione". Scrisse anche alla madre, che continuava a vivere in Martinica; in una lettera del 1802 leggiamo: "Mandatemi tutti i semi d'America e tutti i frutti: batate, babane, aranci, manghi, infine tutto ciò che potrete". Thouin la mise in contatto con Jacques Martin Cels (1740-1806), un collezionista che, rovinato dalla rivoluzione, aveva trasformato la sua passione in professione, aprendo a Montrouge, nella periferia sud di Parigi, un vivaio in cui coltivava soprattutto piante americane introdotte da André Michaux. Il suo lavoro fu continuato dal figlio François (1771-1832) che allargò il vivaio e si specializzò nella coltivazione di esotiche ornamentali; nel suo catalogo del 1817 troviamo, accanto alle americane, anche molte sudafricane, dalie, e una notevole collezione di rose, circa 200 varietà, principalmente Gallica. Sicuramente il vivaio Cels fu uno dei principali fornitori di Malmaison, anche per le rose (ma su questo tornerò più avanti), insieme a quello di un altro contatto di Thouin, Louis Claude Noisette (1772-1849). Figlio di un giardiniere del conte di Provenza, intorno al 1798 aveva aperto un vivaio dove coltivava soprattutto piante americane, ottenute attraverso uno dei suoi fratelli, Philippe Stanislas, che viveva a Charleston. Uno dei suoi invii è Old Blush Noisette, la prima delle rose Noisette; ma giunse in Francia nel 1814, troppo tardi per essere coltivata a Malmaison. Joséphine ottenne molte piante dal Jardin des Plantes, e molto lo acquistò dai vivai, spendendo somme folli; è del marzo 1804 una consegna di 2014 tra erbacee, alberi e arbusti. Seppe inoltre approfittare del potere del marito; piante le giunsero dai botanici che accompagnarono Napoleone in Egitto e durante le campagne napoleoniche; in Italia come a Vienna, piante furono requisite dai giardini degli sconfitti per essere inviate a Malmaison. L'imperatore sollecitava diplomatici, ufficiali di marina e funzionari ad approfittare di ogni occasione per soddisfare la passione botanica della moglie e Joséphine stessa faceva pressione su ministri, dignitari, agenti francesi all'estero. Ad arricchirne il parco e le serre di piante in precedenza mai viste in Europa fu però soprattutto la sventurata spedizione Baudin, sponsorizzata da Napoleone primo console, ed in particolare il ricco carico del Géographe, che raggiunse Lorient nel marzo 1804. Napoleone aveva ordinato che il giardino di Malmaison avesse la precedenza sul Jardin des Plantes e quando Thouin ispezionò il carico, scoprì di essere già stato preceduto da Mirbel, il sovrintendente di Malmaison; così, delle 230 piante sopravvissute al tumultuoso viaggio, le 98 più sane presero direttamente la strada delle serre di Joséphine. Insieme a loro viaggiavano anche canguri, emù e una coppia di cigni neri, che divennero quasi un simbolo del giardino dell'imperatrice. Da quel momento, d'un colpo le serre di Malmaison ospitarono la più importante collezione europea di piante australiane, più ricca di quella degli stessi Kew Gardens. Per altro, le piante inglesi o importate dai britannici non mancavano. Come ho già raccontato parlando del vivaio Lee & Kennedy, a partire dal 1803 The Vineyard divenne il maggiore fornitore dei giardini dell'imperatrice; grazie alla compiacenza di Banks, con il quale Joséphine era in contatto attraverso il botanico Etienne Ventenat, ottenne anche alcune piante di Kew e soprattutto un passaporto che permise a Kennedy di continuare a fare la spola tra Francia e Inghilterra con i suoi carichi di piante nonostante lo stato di guerra e il blocco continentale. Con Kennedy, Joséphine creò addirittura un consorzio per inviare in Sudafrica il cacciatore di piante James Niven. Joséphine seppe anche circondarsi di personale molto qualificato. Nel 1801 ingaggiò un giardiniere scozzese, Alexander Howatson; in tempo di guerra, avere un dipendente britannico spiaceva assai a Napoleone, che nel 1805 approfittò del conto troppo salato di un trasporto di piante per licenziarlo. Egli fu così sostituito da Felix Delahaye, che era stato il giadiniere della spedizione Entrecasteaux, durante la quale aveva fatto estese raccolte; aveva poi lavorato per un certo periodo nel giardino di Pamplemousses a Mauritius e dopo il ritorno in Francia aveva restaurato i giardini del Trainon e il vecchio giardino di Maria Antonietta a Versailles. Era dunque un esperto di coltivazione di esotiche e, soprattutto, era forse l'unico giardiniere europeo ad avere visto le piante australiane in natura e molte le aveva raccolte lui stesso. Abbiamo già incontrato di passaggio due dei botanici che lavorarono per Joséphine a Malmaison, Mirbel e Ventenat. Charles-François Brisseau de Mirbel (1776-1854) ad appena vent'anni era diventato assistente naturalista al Muséum ed era un promettente scienziato, destinato a diventare il padre fondatore della citologia; nel 1803 Mme Bonaparte lo assunse come sovrintendente di Malmaison, dove poté continuare i suoi studi sui tessuti vegetali, l'evoluzione degli organi delle piante e le epatiche del genere Marchantia. Nel 1806 però egli lasciò Malmaison per entrare al servizio del re d'Olanda Luigi Bonaparte, che oltre ad essere fratello di Napoleone, era anche genero di Joséphine in quanto marito di sua figlia Hortense Beauharnais. A sostituirlo fu Etienne Pierre Ventenat (1757-1808). Fratello di Louis Ventenat, cappellano e naturalista morto durante la spedizione Entrecasteaux, era entrato nell'orbita dell'imperatrice grazie a Cels. Allievo e collaboratore di L'Héritier de Brutelle, in gioventù si era segnalato per la traduzione in francese di Genera plantarum di Antoine Laurent de Jussieu, poi, come il suo maestro, aveva focalizzato la sua attenzione sulla pubblicazione di piante nuove per la scienza. Nel 1799 pubblicò Descriptions des plantes nouvelles et peu connues cultivées dans le jardin de J. M. Cels, illustrato da 100 tavole in gran parte dovute ai fratelli Pierre-Joseph e Henri-Joseph Redouté. La raffinatezza di quest'opera attirò l'attenzione di Joséphine che volle qualcosa di simile per far conoscere al mondo le proprie collezioni di cui era estremamente fiera. Commissionò così a Ventenat i testi e Pierre-Joseph le illustrazioni del magnifico Jardin de Malmaison; in due tomi, usciti in 20 fascicoli tra l'aprile 1803 e il novembre 1805, comprendo 120 calcografie a colori incise da Allain a partire da acquarelli di Redouté e la descrizione di 161 specie, molte delle quali nuove per la scienza, scritta da Ventenat. Come ho anticipato, nel 1806 Ventenat fu nominato intendente e prese così sul serio l'incarico da morire, esausto di fatica, appena due anni dopo. A succedergli fu Aimé Bonpland, che era stato compagno di Humboldt nel suo viaggio sudamericano. Egli curò tra l'altro i testi di Descriptions des Plantes Rares Cultivées à la Malmaison (1812-1817), anch'esso illustrato da Redouté. Anche questo grande artista, soprannominato il "Raffaello dei fiori", può essere annoverato tra gli uomini di Joséphine. Oltre alle due opere già citate, i fiori di Malmaison ispirarono il suo capolavoro, Les Liliacées; pubblicato in 8 volumi di grande formato, usciti tra il 1802 e il 1816, comprende 486 incisioni a colori di altrettante specie di bulbose e monocotiledoni (non solo Liliaceae in senso stretto). Joséphine riuscì a convincere il ministro dell'interno Chaptal ad acquistarne 80 copie che furono distribuite tra dignitari e biblioteche in tutto il paese e all'estero. L'altro libro più noto di Redouté, Les Roses (1817-1824) fu creato dopo la morte dell'Imperatrice e ritrae rose coltivate in vari giardini francesi, non solo a Malmaison. Furono invece commissionate da Joséphine intorno al 1812 al pittore Auguste Garneray le 12 vedute del parco e della serra, oggi un documento inestimabile per ricostruirne l'aspetto. Essi infatti non sopravvissero a lungo alla loro creatrice, Nel 1809, essendo chiaro che, per la sua età, Joséphine non gli avrebbe mai dato un erede, Napoleone si decise a chiedere l'annullamento del matrimonio, sancito nel gennaio 1810. Fu però generoso con la ex moglie, con cui mantenne rapporti cordiali: essa conservò il titolo di imperatrice, cui si aggiunse quello di duchessa di Navarre (dal castello in Normandia che le donò dopo il divorzio, un po' per compensarla, un po' per tenerla lontana da Parigi mentre si celebrava il suo matrimonio con Maria Luigia d'Asbrugo), ottenne la piena proprietà di Malmaison e una pensione di 5 milioni di franchi. Mentre si completavano i lavori di adattamento per ospitare la sua piccola corte di quasi 200 persone, Joséphine visse a Navarre, poi tornò a Malmaison, che continuò ad accrescere ed abbellire fino alla morte. Il 29 maggio 1814 vi morì di polmonite. Si dice l'avesse contratta passeggiando nel parco con lo zar Alessandro, che avrebbe implorato di permetterle di unirsi al marito nell'esilio all'Elba. Quando Napoleone seppe della sua morte, si chiuse per due giorni nella sua camera; dopo la disfatta di Waterloo, prima di consegnarsi agli inglesi, risiedette a Malmaison che, però, senza la sua Joséphine, non era più la stessa. Poi iniziò la decadenza. L'imperatrice aveva lasciato debiti imponenti, riscaldare la serra era troppo costoso e le piante esotiche, abbandonate a se stesse, morirono; la casa e il giardino furono saccheggiati e vandalizzati; la proprietà fu parcellizzata e messa in vendita. Dopo diverse vicissitudini, nel 1903 il castello e il parco, ridotto a 6 ettari, passarono allo stato e divennero un museo. E finalmente... le rose Il parco di Malmaison non era un orto botanico, con le piante disposte in modo sistematico, ma un giardino di piacere. Era anche un giardino sperimentale dove vennero acclimatate piante che poi avrebbero profondamentro modificato i giardini e il paesaggio francese. Secondo L'impératrice Joséphine et les sciences naturelles (catalogo della mostra tenutasi a Malmaison nel 1997), le piante che vi furono coltivate per la prima volta in Francia tra il 1804 e il 1814 ammontano a 184. La corrispondenza tra l'intendente Mirbel e il prefetto delle Alpi Marittime Marc Joseph Dubouchage attesta l'invio in Costa azzurra di numerose piante soprattutto australiane acclimatate a Malmaison; tra di esse, Casuarina equisetifolia, Phormium tenax, varie specie dei generi Eucalyptus, Melaleuca, Metrosideros, Leptospermum, cui forse va aggiunta Acacia dealbata, la mimosa oggi onnipresente, che fiorì per la prima volta a Malmaison nel 1811. A fare da tramite all'introduzione di queste e altre specie esotiche nella Francia meridionale, il cui clima mite era considerato il più propizio all'acclimatazione di piante tropicali e subtropicali, fu il giardino di acclimatazione creato nel settembre 1801 nel recinto della Scuola centrale del dipartimento delle Alpi marittime a Nizza. E poi, naturalmente, c'è il capitolo rose. Ne ho già parlato in questo post, e qui mi limito a riassumere le informazioni principali. Secondo la vulgata erano le piante preferite di Joséphine che ne avrebbe fatte coltivare ben 250 varietà; molti si spingono anche a dire che, insoddisfatta delle rose europee non rifiorenti, avrebbe incoraggiato l'introduzione di rose cinesi e le ibridazioni che avrebbero portato alla nascita delle rose moderne. Altri parlano di migliaia di rose (peccato che nessuno delle persone che visitò quel giardino poco dopo la morte della imperatrice ne faccia parola e proprio le rose manchino le vedute di Garneray). In realtà, Joséphine era interessata in generale alle piante, specialmente esotiche, e non aveva una speciale predilezione per le rose; certamente a Malmaison non mancavano, ma non è neppure certo che ci fosse un roseto; molte delle piante più preziose erano infatti coltivate in vaso, ed esposte all'esterno al momento della fioritura. Purtroppo, mentre i cataloghi di Ventenat e Bompland documentano bene le esotiche coltivate nella serra e in giardino, non possediamo niente di simile per le rose. Come ho anticipato, Les roses di Redouté, che molti considerano un catalogo delle rose di Malmaison, fu scritto solo dopo la morte dell'imperatrice e ritrae le rose coltivate in vari giardini e vivai francesi che Redouté e Thory, l'autore dei testi, visitarono e citarono scrupolosamente; i giardini dp Malmaison sono ricordati solo per due rose, R. berberifolia e R. gallica. Questo equivoco è probabilmente all'origine della leggenda del roseto di Malmaison, nonchè dei vari pretesi elenchi delle rose che vi erano coltivate. Rimandando al post già citato per le specie sicuramente identificate, molte delle quali importate dall'Inghilterra attraverso Kennedy e altri vivai, vorrei qui aggiungere solo qualche informazione sui fornitori parigini. Presumibilmente il principale era André Dupont, che non fu mai un giardiniere di Malmaison come spesso si legge, anzi neppure un vivaista, ma un collezionista privato; prima della rivoluzione era il custode (e non il giardinere) del palazzo di Lussemburgo. Secondo il suo biografo V. Darkenne, incominciò a interessarsi di rose intorno al 1785, quando affittò un piccolo terreno dai monaci cerctosini nel pressi del Lussemburgo. Durante il Terrore fu imprigionato due volte e per quattro volte, per salvarla, dovette spostare la sua collezione di rose. Nel 1796, la sistemò nell'amgolo orientale del giardino del Lussemburgo, con le rose classificate per specie; nel 1801, la sua collezione (la chimava "éecole de roses"), di specie tanto native quanto esotiche, era la più completa d'Europa. Secondo la testimonianza di Antoine Laurent de Jussieu, Joséphine si rivolse a Dupont per chiedergli di rifornire di rose Malmaison ed egli accettò, come attestano le fatture (che purtroppo non indicano di quali vareità si trattasse). Darkenne stima che nel 1806 gliene abbia fornite da 200 a 500, presumibilmente più di un esemplare per varietà, visto che nel catalogo delle rose coltivate da Dupont nel 1813 (pubblicato da Thory nel 1819, Catalogo inedito Rosarum quas Andreas Du Pont in horto suo studiose colebat anno 1813) ne sono elencate 218. La collezione di Dupont comprendeva numerose rose botaniche europee, un'ampia selezione di alba, centifolia, damascena e soprattutto gallica (una sessatina, pochissime esotiche e qualche cinese, l'unica delle quali identificabile con certezza è la rosa di Macartney (R. bracteata, introdotta in Europa intorno al 1795). Dupont è considerato un pioniere dell'ibridazione artificiale delle rose e a volte gli viene attribuita la creazione di un numero impressionante di ibridi. In realtà nel catalogo compaiono solo 19 ibridi di gallica, non necessariamente tutti creati da lui. Come collezionista, riceveva rose da tutta Europa; come abbiamo visto in questo post, fu lui a introdurre la rosa Portland dall'Inghilterra; potremmo aggiungere 'Belle Sultane', che invece importò dall'Olanda. Gli ibridi di Gallica erano all'epoca le rose più alla moda ed è probabile che ce ne fossero parecchi tra quelle fornite all'imperatrice; lo stesso varrà anche per un altro probabile fornitore, Cels; il catalogo pubblicato da Cels figlio nel 1817 (Catalogue des arbres, arbustes, et autre plantes de serre chaude, d'orangerie et de pleine terre) offre circa 170 varietà di rose; una buona percentuale sono ibridi recenti dai nomi evocativi ('Belle sans flatterie', 'Panachée admirable'. 'Roi des pourpres') di cui si è per lo più persa ogni traccia. Ovviamente non ne conosciamo il pedigree; è invece giunta fino a noi R. celsiana (nel catalogo figura come grande Cels), un vigoroso ibrido di damascena. Abbiamo già visto che a Malmaison non potevano esserci rose Noisette, essendo la prima giunta in Francia dopo la morte dell'imperatrice. E lo stesso vale per le rose Boursault. Jean-François Boursault detto Malherbe era un ex attore che con la rivoluzione si era dato alla politica e agli affari, accumulando una grande ricchezza che investì tra l'altro in uno splendido giardino con tanto di serre calde. Forse potrebbe aver ceduto a Joséphine una talea della cinese Rosa multiflora carnea, che fu il primo a introdurre in Francia nel 1808, ma non Rosa banksiae 'Alba plena', giuntagli nel 1817, nè il primo ibrido Boursault, ottenuto nel 1818 incrociando R. pendulina non con una cinese, come si è creduto a lungo, ma con la nordamericana R. blanda. Quali e quante fossero le rose coltivate a Malmaison, in assenza di documenti, non lo sapremo mai. Ma anche se il roseto di Joséphine fosse un mito, da più di un secolo è diventato realtà. Nel 1911, dopo che quanto rimaneva del parco era stato donato allo stato, il compito di ri-crearlo venne affidato a Jules Graveraux, il creatore della Roseraie de L'Haÿ; egli, consultando i cataloghi dell'epoca, individuò 197 specie e cultivar disponibili ai tempi dell'imperatrice e ne fece dono al giardino; il suo elenco comprendeva 107 galliche, 27 centifolia, 3 muscose, 9 damascene, 22 bengalesi (ovvero cultivar di R. chinensis), 4 spinosissime, 8 alba, 3 lutee, 1 moscata e le specie alpina, arvensis, banksiae, carolina, cinnamomaea, clinophylla, glauca, laevigata, rugosa, sempervirens e setigera. Certamente è un falso storico, ma almeno su un punto anche oggi siamo d'accordo: Gravereux correttamente privilegiò le galliche, che erano ancora le rose più coltivate, come risulta anche dai cataloghi di Dupont e Cels. In occasione del bicentenario della scomparsa dell'imperatrice, il roseto è stato restaurato e ospita oggi 750 rose del Primo e del Secondo Impero. Una bella capricciosa A Joséphine de Beauharnais, creatrice di un magnifico giardino, patrona delle arti e della scienza, ma soprattutto moglie di un uomo che per un quindicennio fu il più potente d'Europa, non mancarono gli omaggi botanici, di sapore innegabilmente cortigiano. Nel 1802, quando Mme Bonaparte era ancora la "consulesse", Ruiz e Pavon dedicarono congiuntamente a marito e moglie, rispettivamente, Bonapartea e Lapageria; mentre la dedica a Napoleone (ne parlo qui) è un capolavoro di adulazione, quella a Joséphine è relativamente sobria: "all'eccellente Joséphine de La Pagerie, degnissima sposa di Napoleone Bonaparte, egregia fautrice della botanica e delle scienze naturali". Ventenat volle anche lui omaggiare con la dedica di un genere colei che in definitiva era la sua datrice di lavoro; per farlo scelse una delle quattro piante australiane nate dai semi portati in patria dalla prima nave della spedizione Baudin a rientrare, il Naturaliste, che precedette il Géographe di circa un anno. Era una pianta modestissima, per nulla imperiale, ma aveva il fascino della primizia, e. dato che Joséphine era appena stata incoronata imperatrice, la battezzò Josephinia imperatricis. Certo era sinceramente legato a colei che lo chiamava il "suo botanico" e lo aveva scelto come intendente del suo amato giardino, ma la sua dedica è decisamente meno moderata rispetto a quella dei due spagnoli: "L'onore di dedicare un genere all'illustre Imperatrice di Francesi dovrebbe essere ambito dall'autore del Jardin de la Malmaison. Possa questo debole omaggio ricordare al posteri la protezione illuminata che essa accorda alla scienza e lo splendore con cui la abbellisce". Il genere Josephinia fu ridotto a sinonimo di Sesamum, e il suo nome attuale della piante è Sesamum imperatricis che, più che i fasti imperiali, evoca la cucina. Sopravvive invece il genere creato da Ruiz e Pavon, che per bellezza e fascino esotico calza perfettamente alla dedicataria. Lapageria (famiglia Philesiaceae) è un genere monospecifico endemico del Cile, di cui l'unico rappresentante, L. rosea, è il fiore nazionale. Originaria delle foreste sclerofile e caducifolie dell'area centrale e centro-meridionale, dalla regione di Valparaiso a quello di Los Lagos, questa splendida pianta è un rampicante sempreverde con fusti contorti e sottili, foglie semplici, lanceolate, coriacee, lucide e grandi fiori solitari penduli a campana formati da sei tepali cerosi. Il colore delle corolle (tra selvatiche e coltivate, se ne conoscono 25 varietà) varia dal bianco purissimo fino al rosso passando da varie sfumature di rosa. I fiori sono impollinati da insetti, altri animali, ma soprattutto colibrì, e sono seguiti da bacche allungate eduli. La coltivazione è considerata piuttosto difficile. Da noi viene solitamente coltivata in vaso; necessita di ombra luminosa, ottima areazione (ma senza correnti d'aria) e un ambiente umido. Non sopporta né il freddo né il caldo eccessivo. Ama essere frequentemente nebulizzata e, poiché non tollera il calcare, va annaffiata con acqua demineralizzata. Insomma, coltivarla è una vera sfida, ma se trova le condizioni giuste può arrivare a 4-5 metri d'altezza e regalare sontuose fioriture. A Bex i Thomas non erano i soli a raccogliere piante e a commercializzare campioni d'erbario e semi di piante alpine. A far loro concorrenza, negli ultimissimi anni del Settecento e nei primi due decenni dell'Ottocento, c'era il farmacista di origini tedesche Johann Christoph Schleicher, che fu il primo ad avere l'idea di pubblicizzare il suo commercio prima con annunci in riviste scientifiche, poi con un catalogo che comprendeva circa 2000 piante e giunse a quattro edizioni. Pubblicò anche a più riprese cataloghi specifici per le crittogame. Per qualche anno ottenne un notevole successo, come testimonia la presenza dei suoi campioni negli erbari di moltissime istituzioni e di qualche pianta nata dai suoi semi nei cataloghi dei vivai inglesi. Poi si fecero sentire l'età e la concorrenza del molto più giovane e aguerrito Emmanuel Thomas, tanto che fu costretto a vendere il suo erbario e terminò i suoi giorni in miseria. Oltre all'eponimo di diverse specie, lo ricorda il genere asiatico Schleichera (Sapindaceae). Campioni d'erbario e semi a modico prezzo Intorno al 1790, si stabilì a Bex nel Vaud un giovane di origine tedesca, Johann Christoph Schleicher (1768/70-1834), che nella nuova patria si sarebbe fatto chiamare anche Jean Charles. Talvolta viene definito dottore, ma era piuttosto farmacista, e difficilmente, per la giovane età, avrà avuto una formazione completa. Dei suoi primi anni sappiamo pochissimo. Incerta è la stessa data di nascita, 1768 secondo alcune fonti, 1770 secondo altre. Nato a Hofgeismar nell'Assia da Anna Marie Sawitzky, ebbe inizialmente il cognome materno per poi assumere quello con cui è noto quando fu adottato da un certo Carl Schleicher. Nulla sappiamo della sua formazione; secondo varie fonti, incluso il data base biografico dell'Università di Gottinga, il botanico Heinrich Schräder sarebbe stato il suo padrino; la notizia è certamente priva di fondamento per banali ragioni anagrafiche: i due erano praticamente coetanei, essendo nato Schräder nel 1767. Al momento dell'arrivo di Schleicher, a Bex il ricordo (e il magistero) di Albrecht von Haller era tenuto vivo, oltre che dall'attività commerciale della famiglia Thomas, dai medici Bernard Jean François e Jean David Ricou. Bernard Jean François Ricou (1730-1798), medico cittadino, farmacista e capo chirurgo dell'ospedale, negli anni '50 era stato uno dei raccoglitori di von Haller, per il quale aveva erborizzato nelle valli di Saint-Nicolas e di Bagnes e nelle regioni del Sempione, del Gran San Bernardo, di Alesse e di Fully. Nel 1764, insieme al pastore Abram-Louis Decoppet, pubblicò nelle "Memorie della società economica" di Berna una lista di 128 piante della flora elvetica con i nomi in dialetto, francese e latino (Essai d'une collection de noms vulgaires ou patois des principales plantes de Suisse). Certamente si deve a lui la creazione del "bell'erbario" segnalato nel 1804 nella guida della Svizzera di Johann Gottfried Ebel, all'epoca di proprietà del figlio Jean David, anch'egli medico. Schleicher dovette legarsi strettamente alla famiglia Ricou (probabilmente lavorò per loro come aiuto farmacista e nel 1797 sposò Julie, figlia di Jean David) e fu probabilmente l'esempio delle raccolte di Bernard Jean François a spingerlo a sua volta a percorrere le montagne alla ricerca di piante rare. Il suo scopo era chiaramente commerciale: l'opera di von Haller aveva attirato l'attenzione dei botanici e degli amatori sulla flora elvetica e il mercato di campioni d'erbario era fiorente. Dotato di notevole spirito imprenditoriale, ispirato dall'esempio di raccoglitori di piante tedeschi, già nel 1794, nel numero 41 della rivista di Lipsia "Annalen der Botanik" Schleicher, sotto forma di lettera ai signori Le Royer e Tingry, proprietari di un'importante farmacia di Ginevra, offrì in vendita, al prezzo di 2 talleri francesi, una centuria di piante svizzere, assicurando la consegna in 4-6 settimane. Altre due centurie avrebbero fatto seguito nel numero successivo, pubblicato lo stesso anno. Nel 1796, ancora su "Annalen der Botanik" la snelle centurie si trasformarono in una più ambiziosa lista di quasi 700 "piante raccolte nel Vallese e nelle Alpi vicine nel 1795 da Schleicher", indicate con un nome binomiale, preceduto però (tranne un'appendice di una quarantina di specie scoperte successivamente alla pubblicazione di quest'opera) dal numero con cui compaiono in Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata di von Haller; non compaiono più né prezzi né indicazioni esplicite del fine commerciale, non perché Schleicher avesse cambiato intenzioni, ma probabilmente perché aveva ormai una clientela consolidata. Due anni dopo, sempre sulla stessa rivista, comparve una seconda lista sotto il titolo "Indice delle piante raccolte nel Vallese e nella Svizzera transalpina nel 1796 da C. Schleicher"; le modalità erano le stesse, ma la lista si era allungata, passando da 9 a 12 pagine, e, soprattutto, ora compariva a parte un elenco di 84 Musci & Algae (in realtà ci sono anche felci e numerosi licheni). Si trattava di un nuovo segmento di mercato che, come vedremo, sarebbe diventato una specialità del raccoglitore tedesco. Poi, nel 1800, il salto di qualità. Con quello che dovette essere un notevole impegno anche finanziario, Schleicher pubblicò a Bex quello che è considerato il primo catalogo commerciale di piante svizzero, Catalogus plantarum in Helvetia cis- et transalpina sponte nascentium; il sottotitolo precisa: "raccolte dall'autore con continui viaggi ad uso dei botanofili e verificate con sommo studio sulle descrizioni e le immagini degli autori più celebri". Nel volumetto di una settantina di pagine sono elencate circa 2000 piante, con il nome binomiale seguito dal nome d'autore e preceduto, nella maggior parte dei casi, dal rinvio numerico all'opera di Haller. Mentre le felci sono elencate nel catalogo generale, sono presentate nuovamente a parte alcune centinaia di Musci, Algae et Fungi. A chiudere il catalogo, una selezione di semi "raccolti e offerti da Schleicher"; come facevano anche i Thomas, anche i semi, come i campioni d'erbario, erano per lo più raccolti in natura. Anzi, da questo punto di vista sembra che Schleicher non andasse tanto per il sottile; secondo una nota pubblicata nel "Bulletin de l’Association pour la protection des plantes" del 1884, "distrusse [appositamente] diverse specie al solo scopo di aumentare il valore dei campioni che vendeva agli erbari, rendendole rare". Almeno alcune piante tuttavia dovevano essere coltivate nell'orto botanico che Schleicher aveva creato a Bévieux, non lontano dalla salina. Sempre secondo la guida di Ebel, meritava una visita; dopo aver parlato dell'erbario di Ricou, egli ci informa inoltre che "Suo genero M. Schleicher, abile erborizzatore che ha percorso gran parte delle montagne della Svizzera occidentale e meridionale, ha un consideravole magazzino di piante essiccate che vende per un luigi il centinaio. Ha scoperto una quantità di specie prima sconosciute in Svizzera". Per qualche anno il commercio di piante di Schleicher dovette andare a gonfie vele; numerosi suoi campioni sono presenti nei principali erbari europei; era in corrispondenza con molti importanti botanici (vendette molti esemplari a Balbis e ci è rimasta una lettera a Persoon); forniva semi al celebre vivaio londinese Loddiges che lo cita come fornitore di varie piante alpine offerte per la prima volta sul mercato britannico. L'ampliamento dell'offerta è testimaniato dalle successive edizioni del catalogo (1807, 1815, 1821, le ultime due con il titolo Catalogus hucusque absolutus omnium plantarum in Helvetia cis et transalpina sponte nascentium), e da una serie di cataloghi specifici, uno riservato ai salici (1807) e diversi alle crittogame (Plantae Cryptogamicae Helvetiae 1803-1807), parzialmente riprodotti nella rivista diretta da Schräder "Neues Journal für die Botanik", nella quale nel 1805 Schleicher pubblicò anche il resoconto di un viaggio nella Svizzera italiana. Nelle liste delle crittogame si precisa che esse erano state reccolte e essicate da Schleicher; la precisazione è significativa se considerimo che al raccoglitore tedesco si deve l'introduzione del sublimato corrosivo (cloruro di mercurio) per la trattazione dei campioni d'erbario. Tra riedizioni, supplementi e cataloghi specifici, le pubblicazioni si intensificarono tra il 1803 e il 1808, poi intorno al 1815 il successo dovette cominciare a declinare. Ne è spia la curiosa iniziativa che Schleicher prese nel 1816: una lotteria il cui premio era costituito da exsiccata. Probabilmente, incominciava a farsi sentire la concorrenza dei fratelli Thomas, che avevano pubblicato il loro primo catalogo intorno al 1806. Seguendo il loro esempio, nel catalogo del 1815, Schleicher aggiunse all'offerta minerali e plantule di conifere; c'erano anche campioni di erbario di piante esotiche, provenienti da Francia meridionale, Italia e Ungheria, e prezzi differenziati: cento esemplari costavano 36 lire francesi per acquisti di meno di 200 campioni, 30 lire da 200 a meno di 400, solo 24 lire da 400 in su. Offriva inoltre erbari completi della flora Svizzera, collezioni di piante medicinali, i semi di "tutte le piante che si coltivano o si possono coltivare in giardino" al costo di 24 lire il centinaio, piante a radice nuda pronte da piantare a 6 soldi l'una quelle erbacee, 9 soldi quelle arbustive e arboree. L'offerta non finiva qui. Leggiamo infatti: "Quest'anno e i seguenti, se Dio vorrà, a casa mia nel villaggio subalpino di Bex, darò lezioni di botanica - un corso completo di questa scienza - ai giovani botanici che me ne faranno richiesta. Quando il tempo lo permetterà, accompagnerò gli allievi in escursioni botaniche, non solo perché vedano e raccolgano le piante nel loro luogo natale, ma anche perché osservino con me le caratteristiche della flora d'altitudine. Mostrerò loro il metodo per essiccare le piante durante il viaggio stesso, in modo che conservate nel modo più perfetto possano ornare l'erbario". Lezioni in lingua francese e prezzi da concordare. Sei anni dopo, nella quarta e ultima edizione, escursioni botaniche e lezioni private non ci sono più (ora Schleicher era sulla cinquantina, e probabilmente non se la sentiva più). Scompaiono anche i minerali, mentre rimangono inalterati prezzi e offerta di exisiccata, erbari completi, semi e piante vive. Compare invece una nuova postilla che ci informa su cosa coltivasse Schleicher nel suo giardino botanico: "Oltre alle piante svizzere, coltivo un grande numero di sassifraghe esotiche, indicate in una speciale appendice in calce al catalogo. In questo giardino spuntano già diverse specie dei generi Aconithum, Delphinium, Narcissus e Allium di cui gli amanti di questi generi possono trovare presso di me un catalogo annuale, sia delle specie che possiedo sia di una moltitudine di piante esotiche che giungono per scambi con gli amici". Non abbiamo traccia di questi cataloghi annuali (erano forse manoscritti? o non furono mai realizzati?). In ogni caso, gli anni felici erano orami alle spalle. Vecchio e malato, Schleicher non poteva più salire in montagna e per sopravvivere dovette smantellare il suo prezioso erbario personale. Contrasse molti debiti; tra i suoi creditori c'era anche Emmanuel Thomas, al quale fu costretto a cedere, come pagamento, tutte le crittogame dell'erbario e diversi generi di fanerogame. Nel 1832 si rivolse al Consiglio di Stato per mettere in vendita quanto rimaneva: "Dal momento che la mia età e la mia salute non mi consentono più di salire in montagna e di continuare il mio commercio di piante, mi vedo costretto a vendere la mia biblioteca e il mio erbario per vivere". Le autorità incaricarono della perizia il direttore delle saline Jean de Charpentier, che provvide con l'assistenza dell'amico Emmanuel Thomas; nella sua relazione, emerge che l'erbario delle piante straniere (circa 10.000) "un tempo veramente magnifico, ha considerevolmente perso valore perché ne sono state tolte le specie più rare e interi generi"; per contro, il lotto di 4073 specie e varietà della flora svizzera "era ed è ancora unico nel suo genre, perché è senza discussione la collezioni più completa e curata della Svizzera. Vi si trovano non solo le piante selvatiche, ma anche le variazioni che subiscono in coltivazione". La vendita andò in porto e l'erbario delle fanerogame fu acquistato dal Museo di scienze naturali di Losanna. Schleicher investì una parte del ricavato per riscattare gli esemplari che aveva dovuto cedere a Emmanuel Thomas. Morì due anni dopo, nel 1834; nel 1837 gli eredi vendettero allo stesso museo l'erbario delle crittogame. La parte più preziosa di questa collezione è costituita dai licheni; nella proposta d'acquista dei conservatori del museo leggiamo: "Questa collezione, composta da più di 1060 campioni, la maggior parte su pietra o legno, è preziosa da ogni punto di vista [...]. Ha grande valore agli occhi dei botanici perché i campioni sono stati determinati con cura e perché è il frutto del lavoro di molti anni ed ha potuto essere formata solo a prezzo di pene, cure e spese". Dalla Svizzera all'Asia sud-orientale Il significativo ruolo per la conoscenza della flora elvetica di questo farmacista divenuto cacciatore e commerciante di piante alpine è testimoniato dalla sua notevole presenza nella nomenclatura botanica. In primo luogo, anche se i suoi cataloghi sono meri elenchi, grazie al riferimento numerico alla flora di Haller (che, lo ricordo, usava nomi polinomiali, quindi non validi) ha introdotto alcuni nomi validi, come Hieracium canescens e Cnicus nudiflorus. Più numerose le denominazioni risalenti a lui ma introdotte attraverso altri autori che lo conobbero, erborizzarono con lui o furono sui clienti, come Campanula excisa introdotto da Murith, Phyteuma umile, Pedicularis ascendens e Festuca valesiaca introdotti da Gaudin, Lotus alpinus introdotto da Ramond. Una ventina di taxa portano in suo onore gli epiteti schleicheri e schleicherianus; si tratta di specie delle Alpi elvetiche per lo più presenti nei suoi cataloghi o nel suo erbario, ma in qualche caso anche da lui introdotte nei giardini britannici attraverso i vivai che acquistavano i suoi semi. Quattro sono tuttora validi: Alpagrostis schleicheri, Erigeron schleicheri, Fumaria schleicheri, Rubus schleicheri. Nel 1806 Willdenow, direttore di uno degli orti botanici cui forniva campioni e sementi, quello di Berlino, gli dedicò il genere Schleichera, purtroppo senza esplicitare la motivazione; si limitò infatti a scrivere "Ho nominato questo genere in memoria del celebre Schleicher, svizzero". Con questo genere monotipico della famiglia Sapindaceae ci allontaniamo dalle Alpi svizzere per spostarci sulle pendici dell'Himalaya, sull'altopiano del Deccan e nelle foreste del sudest asiatico. Il suo unico rappresentante S. oleosa è infatti un albero tropicale presente soprattutto nelle aree aride e aperte del subcontinente indiano, di Ceylon, della Thailandia e dell'Indonesia. L'epiteto è dovuto all'alto contenuto di olio dei suoi semi; quest'ultimo, noto come olio di kusum, dal nome più comune della pianta in India, viene utilizzato per la cura dei capelli, ma anche come combustibile, in cucina e come unguento medicinale. Non è raro che un genere celebrativo onori allo stesso tempo due persone: un padre e un figlio, come Tradescantia per i due John Tradescant, due fratelli come Bauhinia per Jean e Gaspard Bauhin, magari due ricercatori che hanno collaborato, come Whitesloanea per gli specialisti di Cactaceae A. C. White e B. L. Sloane. Tuttavia è certo eccezionale il caso del genere Thomasia che celebra ben cinque persone, ovvero tre generazioni della stessa famiglia, quella dei raccoglitori e commercianti di piante svizzeri Thomas. A inaugurare la serie è a metà Settecento Pierre, guida e raccoglitore di Albrecht von Haller; quindi suo figlio Abraham, che ne prosegue l'attività e collabora con molti botanici affascinati dalle piante alpine; infine i suoi tre figli Philippe, esploratore della flora sardo-corsa, Louis, grande raccoglitore della flora calabra e collaboratore di Tenore, e Emmanuel, che trasformò la raccolta di piante e semi in un'impresa commerciale di successo. Tutti insieme scrissero una pagina importante della scoperta delle piante svizzere (ma anche italiane). I fondatori: Pierre e Abraham Nel 1754 il grande scienziato Albrecht von Haller venne nominato sovrintendente delle saline del distretto di Aigle nel Vaud, di proprietà del cantone di Berna. Egli prese molto sul serio l'incarico, benché gli garantisse entrate più che modeste: gli permetteva infatti di ritrovare l'amato paesaggio delle Alpi, alle quali in gioventù aveva dedicato un celebre poema, e di riprendere le ricerche sulla flora svizzera, in vista della seconda edizione ampliata della sua Enumeratio metodica stirpium Helvetiae indigenarum (la prima edizione era uscita nel 1742). Dal 1758 al 1764 visse nel castello di Roche, come un po' pomposamente veniva chiamata la dimora del sovrintendente, vi traferì la sua immensa biblioteca, il suo studio e il suo laboratorio; finché l'età e la salute glielo permisero, percorreva regolarmente le foreste e le montagne del distretto, sia per assolvere le sue funzioni sia per raccogliere piante e studiarle dal vivo. A fargli da guida erano le guardie forestali dipendenti dalle saline, alle quali demandò la raccolta di piante, quando per lui si fece difficile salire in montagna, o, come si espresse poeticamente, "alzarsi come un uccello sulle altezze". Insegnò loro a raccogliere e seccare correttamente gli esemplari, a distinguere le piante rare, a osservare e annotare i luoghi di raccolta, le condizioni di crescita, gli habitat. Nella prefazione a Historia Stirpium Indigenarum Helvetiae Inchoata, Haller ricordò con gratitudine i nomi di alcuni di loro; tra tutti spiccano quelli di Pierre Thomas (1708-1781) e di suo figlio Abraham (1740-1824). Pierre era un montanaro di Frenières; abitava con la moglie Madeleine in uno chalet della frazione di Les Plans, situata a circa 1000 metri in una valle circondata da imponenti monti calcarei; dai documenti risulta che fu assunto ufficialmente come guardia forestale delle saline nel 1761, ma il suo incontro con Haller risale a diversi anni prima. Anche se la sua istruzione era quella modesta dell'abitante di un piccolo villaggio di montagna, era dotato di intelligenza naturale, di una grande capacità di osservazione ed era un camminatore instancabile; a cementare l'insolita amicizia tra questo montanaro taciturno e il patrizio bernese Haller, il comune amore per la montagna e le sue piante. Pierre dapprima lo accompagnò alla scoperta delle montagne che circondano Les Plains, poi percorse per lui alla ricerca di piante il Vallese, i Grigioni e si spinse fino alle Alpi italiane. Ecco l'itinerario di uno di questi viaggi: nel 1763, partito da Bex, Pierre attraverso il passo di Cheville che collega il Vaud con il Vallese raggiunse Zermatt, quindi passò in Valtournenche, rientrando attraverso il colle del Gran San Bernardo. Gli era compagno il figlio Abraham, che partecipava alle raccolte paterne fin da bambino; era così abile e sveglio che appena diciottenne fu inviato da Haller ad esplorare da solo l'area del Furka. L'opera di Haller aveva attirato l'attenzione dei botanici sulla flora delle montagne svizzere e il ritorno dello studioso a Berna (il suo incarico terminò nel 1764) non mise fine alle attività botaniche di Pierre ed Abraham, che anzi si traformarono in un piccolo commercio. I Thomas accompagnavano i visitatori come guide in spedizioni botaniche, raccoglievano e preparavano esemplari per i collezionisti; si deve probabilmente a Abraham la creazione di un piccolo orto botanico dove seminava piante alpine destinate soprattutto alla produzione di sementi e piante vendute a radice nuda. Nel 1775, per essere più vicini ai potenziali clienti, i Thomas trasferirono la loro abitazione a Fenalet, a metà strada tra i Plans e Bex. Pierre incominciava a sentire il peso dell'età; nel 1764 chiese alla direzione delle saline di essere affiancato come guardia forestale dal figlio, che nel 1779 gli subentrò. Due anni dopo Pierre moriva all'età di 73 anni. Grazie alle testimonianze dei diversi visitatori che nell'ultimo quarto del secolo frequentarono la casa di Fenalet, trasformata in un vero e proprio cenacolo di botanica da Abraham, conosciamo il figlio molto meglio del padre. Il giardiniere e botanico Thomas Blaikie (il creatore del parco di Bagatelle) che fu più volte ospite dei Thomas nel 1775, ha scritto di lui: "superava suo padre in intelligenza. Era dotato di un'agilità, di un vigore e di una memoria stupefacenti, accompagnati da un vero genio per l'osservazione". Un altro habitué, il poeta tedesco Matthison, afferma: "quest'uomo conosce a memoria e in modo esatto la flora alpina [...]. Mostrategli una qualsiasi montagna del Vallese o del distretto di Aigle: vi indicherà in modo infallibile le piante di ogni zona, il mese di fioritura, se all'ombra o al sole, nelle paludi o vicino a una sorgente, nel bosco o tra le rocce". Furono molti i visitatori che approfittarono della sua sapienza (e della sua agilità: sempre secondo Matthison, già vecchio nelle arrampicate ancora sfidava camosci e stambecchi)le della generosa ospitalità di sua moglie Marie-Susanne-Catherine Echenard - una grande appassionata di mitologia, sempre con un libro in mano mentre si occupava della cucina e delle faccende di casa: il botanico ginevrino Jacques Roux, il naturalista di Nechâtel Louis Perrot, il pastore e botanico Gaudin, autore di Flora helvetica, l'allievo di questi Jacques Étienne Gay, il canonico Laurent-Joseph Murith, autore del primo libro dedicato alla flora del Vallese, Le guide du botaniste qui voyage dans le Valais, che molto deve all'assistenza di Abraham Thomas e di suo figlio Louis, costante compagno di viaggio del canonico. Murith collezionava anche minerali, conchiglie e fossili, che probabilmente su suo suggerimento andarono ad aggiungersi agli oggetti naturali raccolti e forniti dai Thomas. In quarant'anni di attività, Abraham fece progredire la conoscenza delle piante alpine, percorrendo e ripercorrendo le valli di Saas, Saint-Nicolas, Bagnes, Anniviers, Hérens e Binn, le pendici del Gran San Bernardo, del Cervino, del Monte Moro e i passi del Sempione, del Gries, del Furka, del Grimsel, della Gemmi, e molti altri. Stimato dai concittadini, nel 1781 fu nominato "giustiziere e consigliere di Bex per la competenza di Fenalet". Intorno al 1802, la famiglia si spostò ai Dévens, dove Abraham fece costruire per la comodità dei suoi ospiti la "casa rossa", attorno alla quale trasferì il suo orto botanico alpino. Una sola cosa mancava a quest'uomo ammirevole: il senso degli affari. Era troppo generoso con i suoi clienti, che considerava più che tali amici ed ospiti, per arricchirsi con il commercio di exsiccata, sementi, minerali, conchiglie, e di un "tè svizzero" la cui formula gli era stata insegnata da von Haller in persona. Mme la justicière trattava fin troppo generosamente i visitatori che, tra una scalata e l'altra, erano ospiti dello chalet di Fenalet e il marito non di rado inseriva una pianta rara, a titolo gratuito, nel plico di un invio. Intanto la famiglia cresceva: la coppia Thomas ebbe sette figli, due femmine e cinque maschi, ma solo tre raggiunsero l'età adulta: in ordine di età, Philippe, Louis e Emmanuel. . I figli: Philippe, Louis e Emmanuel Come il nonno e il padre, i tre ragazzi Thomas avevano la botanica nel DNA. Fin da piccoli furono abituati a percorrere le montagne e ad imparare a distinguere le piante direttamente dal libro della natura, ma contrariamente a loro poterono anche viaggiare e godere di un'educazione formale. Quello che conosciamo meno è il maggiore dei tre sopravvissuti, Philippe (Pierre-Philippe-Louis, 1782-1831), al quale finora non è stato dedicato alcun studio approfondito, nonostante la sua importanza tra i primi esploratori della flora corso-sarda. Sappiamo che studiò medicina e che, oltre che in Svizzera e sulle Alpi, fece raccolte nei Pirenei. Nel 1814 fu la guida di William Jackson Hooker in un ampio viaggio in Svizzera. In una lettera di diversi anni dopo a Henry Fox Talbot, Hooker lo ricorda così: "Il Thomas che mi accompagnò in larghissima parte della Svizzera era Philippe; lo considero un compagno eccellente e onorevole, profondo conoscitore della botanica dell'intero paese [...]. Thomas intendeva visitare alcune isole del Mediterraneo". Qualche anno dopo avrebbe realizzato il suo sogno trasferendosi come medico a Cagliari, dove giunse tra il 1823 e il 1825. Presto entrò in contatto con Moris, di cui divenne uno dei più assidui collaboratori; in Flora sardoa, è citato quasi cento volte per esemplari raccolti sia in Sardegna, sia (sono i più numerosi) in Corsica. Doveva spedire regolarmente le sue raccolte al fratello Emmanuel che vendette piante sarde a musei, orti botanici e collezionisti. Ne troviamo un elenco nei due cataloghi (Catalogue des plantes de Sardaigne, qui se vendent chez Emmanuel Thomas, à Bex), pubblicati da Emmanuel rispettivamente nel 1837 e nel 1841. All'epoca però Philippe era già morto; morì infatti a Cagliari nel 1831. Un ruolo ancora più importante di quello di Philippe per la flora sardo-corsa ebbe Louis (Charles-François-Louis-Alexandre, 1784-1823) per la flora del regno di Napoli. Anch'egli naturalmente ricevette l'addestramento paterno en plein air e fu frequente compagno di escursioni del canonico Murith, che fu dunque il suo secondo maestro. Aveva ereditato dal nonno e dal padre l'occhio clinico e ancora ragazzo scoprì nuove specie. Ma fece anche buoni studi: studiò latino e scienze naturali, quindi si spostò a Parigi e al Jardin des Plantes seguì le lezioni di botanica di Desfontaines e quelle di mineralogia di Haüy. Quindi viaggiò nel sud della Francia, nella Repubblica di Genova, in Piemonte e in Lombardia, dove frequentò per qualche tempo l'università di Pavia. Ritornato in patria, fu nominato guardia forestale del distretto di Aigle. Probabilmente progettava di rimanere in Svizzera e di rilanciare su basi economicamente più solide l'attività di famiglia. Seguendo l'esempio di un vicino e concorrente, J.-C. Schleicher, un farmacista di origine tedesca considerato l'inventore del primo catalogo commerciale di piante, Louis predispose e fece stampare il primo Catalogue de plantes suisses, pubblicato intorno al 1806. Nell'avvertenza ai lettori, Louis scrive: «Sull'esempio di mio padre, al quale l'immortale Haller ispirò il gusto per la botanica, consacrandone il nome nei suoi scritti, anch'io, fin dalla più tenera giovinezza ho dedicato gran parte del mio tempo a percorrere diverse parti della Svizzera, e soprattutto le Alpi, nelle cui vicinanze abito. Avendo così formato una numerosa collezione di piante, di cui posso fornire agli amatori esemplari ben preparati, così come semi e radici di specie rare che io coltivo a tale scopo in un giardino, ho ritenuto di dover porre sotto gli occhi del pubblico il catalogo di queste piante. Avrei potuto aumentarlo con un gran numero di specie comuni che non mi è sembrato necessario nominare; tuttavia coloro che desiderano procurasi un erbario completo della Svizzera lo troveranno presso di me». Forse alla fine del 1806 o all'inizio del 1807, il giovane botanico slesiano Berger, in viaggio per le Calabrie da poco riconquistate dai francesi, di passaggio in Svizzera propose a Louis di unirsi a lui nell'esplorazione della flora di quella regione ancora tutta da scoprire. Egli accettò e i due, muniti di salvacondotti, poterono fare ampie raccolte, che poi affidarono per la pubblicazione a Michele Tenore. Sulla strada del ritorno, erborizzarono in Puglia, quindi rientrarono a Bex dove si divisero. Ma Louis non rimase a lungo in patria; egli soffriva di una grave forma di asma, aggravata dal rigido clima alpino. In Italia era entrato in contatto con Louis Reynier, un funzionario originario del Vaud, appassionato di botanica; nel 1808 Murat lo nominò direttore delle poste e responsabile delle foreste. In questa veste, egli offrì a Louis Thomas l'incarico di ispettore forestale delle due Calabrie. Egli assolse così bene questa funzione che il governo borbonico gli mantenne l'incarico, aggiungendovi anzi la direzione di una salina. Con le sue raccolte della flora calabra, diede un prezioso e imponente contributo alla Flora napoletana di Tenore che così scrive di lui "diligentissimo e dotto botanico, corrispondente al Real Giardino per le Calabrie", arrivando addirittura a definirlo "divus Thomas". Anche se non pubblicò nulla, il suo contributo è ricordato dalle numerose specie da lui scoperte e dedicatogli da Tenore: Crocus thomasii, Sison thomasii, Cerastium thomasii, Quercus thomasii, Ranunculus thomasii, Campanula thomasii. Purtroppo anche in Calabria la sua asma andò progressivamente aggravandosi e Louis Thomas morì nel 1823, a soli 39 anni. A portare avanti gli affari di famiglia rimaneva il solo Emmanuel (Abraham Louis Emmanuel 1788-1859). Aveva ricevuto la stessa educazione dei fratelli e ne condivideva la competenza botanica e l'occhio del raccoglitore, ma in più aveva il senso degli affari. Fu lui a trasformare il piccolo commercio avviato dal nonno e dal padre in un'impresa commerciale di risonanza europea. Come il nonno Pierre aveva scoperto la botanica grazie a Haller, così Emmanuel trovò un amico in un grande studioso, Jean de Charpentier. Nominato direttore delle saline nel 1813, egli le rilanciò, sostituendo l'estrazione diretta del salgemma allo sfutttamento delle acque delle sorgenti salate che andavano progressivamente esaurendosi. Appena arrivato a Dévens, in attesa che la direzione delle saline gli costruisse una casa, Charpentier si stabilì al primo piano della casa rossa, mentre i Thomas abitavano al piano terra. Tra Emmanuel Thomas e Charpentier si stabilì una grande amicizia e uno scambio scientifico, che andava nelle due direzioni: grazie a Charpentier, Thomas divenne un eccellente conoscitore dei minerali della Svizzera, mentre a sua volta incoraggiò Charpentier a creare un erbario e lo assisté nella stesura della sua unica opera di botanica (Catalogue des plantes qui croissent spontanément dans les districts d'Aigle). Ma soprattutto, la presenza di Charpentier (divenuto una celebrità europea per i suoi studi sui ghiacciai) attirò ai Dévens molti rinomati naturalisti. La casa rossa e la casa del direttore delle saline sorgevano l'una vicina all'altra e le piante - alpine ma anche esotiche - passavano da un giardino all'altro, così come i visitatori. Tra di loro, per citare solo qualche nome più familiare agli amanti della botanica, troviamo Alphonse de Candolle, Adrien de Jussieu, Jean Gaudin, Jean Muret, creatore del più completo erbario della flora svizzera; tra i geologhi, Charles Lardy, Elie de Beaumont, Leopold von Buch, Louis Agassiz. L'attività commerciale di Emmanuel è testimoniata dai tre cataloghi (Catalogue des plantes suisses qui se vendent chez Emmanuel Thomas à Bex) che egli pubblicò tra il 1818 e il 1841, cui vanno aggiunti i due già citati cataloghi di piante sarde e due supplementi, usciti rispettivamente nel 1842 e nel 1853. Il più ricco è quello del 1837 che offre più di 600 generi e quasi 2000 specie. Il grosso è costituito da gimnosperme e angiosperme, ma c'è anche una discreta scelta di felci e qualche equiseto e licopodio. Il catalogo del 1841 è invece interamente dedicato alle crittogame e ai licheni, per reggere la concorrenza di Scleicher che era uno specialista di muschi e licheni. Per mettere insieme le collezioni, Emmanuel Thomas continuava a raccogliere in natura, viaggiava molto raccogliendo anche in Piemonte, nelle Alpi italiane, in Austria; per curare le relazioni con la sua clientela internazionale (musei, orti botanici, studiosi, grandi collezionisti) fu anche a Vienna, Parigi, Londra, dove visitò l'esposizione universale. Una parte dello stock di piante vive e semi, probabilmente minoritaria, era coltivata nel giardino-vivaio di Dévens, di cui però non conosciamo l'estensione (dunque neppure le capacità produttive). I prezzi erano modici e le consegne relativamente rapide. Una delle specialità erano le conifere. Nel 1807 già Abraham Thomas pubblicò una memoria sull'utilità di pini e abeti per il rimboschimento. Tra il 1835 e il 1872, la famiglia Thomas consegnò 250.000 pianticelle e più di quattro tonnellate di semi di larice, abete rosso e bianco, pino cembro e altre conifere. Il cliente più importante era il cantone del Vaud, ma molte piante venivano inviate in altre parti della Svizzera, in Francia o addirittura in Inghilterra. Il commercio delle conifere acquistò sempre più importanza mano a mano che ne perdeva quello di exsiccata e piante rare. Dopo la morte di Emmanuel nel 1859, la ditta continuò sotto la direzione del figlio Jean-Louis (1824-1886) e poi dei suoi discendenti, ma i tempi d'oro erano terminati. Gli erbari dei musei e dei grandi orti botanici possedevano già esemplari anche delle piante svizzere più rare e tenere un erbario non era più un hobby alla moda, la concorrenza era sempre più forte e nessuno cercava più guide alpine esperte di piante. Il cliente principale divenne il vivaio Vilmorin, al quale i Thomas inviavano piante vive e sementi. Sempre più in crisi, resistettero fino al 1900, quando la ditta cessò di esistere. Ai Dévens si possono ancora vedere la casa rossa e la casa grigia, che Emmanuel fece costruire intorno al 1825, poco dopo la nascita dell'unico figlio maschio Jean-Louis. L'orto botanico di Abraham e Emmanuel è tornato ad essere un semplice orto. Tuttavia nel 1891 per iniziativa della città di Bex il botanico Ernest Wilczek, direttore dell'orto botanico di Losanna, creò un orto botanico alpino nella Valle di Nant, al di sopra dei Plans-sur-Bex, dove era iniziata l'epopea dei Thomas. Battezzato in loro onore La Thomasia, ospita un arboreto e una collezione di quasi 3000 piante alpine provenienti da tutto il mondo. Un genere australiano per i botanici delle Alpi Abbiamo già visto che Tenore dedicò al "divus Thomas" diverse specie. Lo stesso onore è toccato ai fratelli Philippe, ricordato da specie della flora corsa come Armeria thomasii (oggi A. leucocephala) o sarda come Olopitum thomasii, ed Emmanuel, ricordato da una quindicina di specie alpine. Fu però un antico ospite della famiglia, il botanico Jacques Étienne Gay, nato nel Vaud ma fattosi parigino, a celebrare allo stesso tempo tre generazioni della famiglia con la dedica cumulativa del genere Thomasia: "Ho consacrato questo genere agli svizzeri Pierre e Abraham Thomas, contemporaei di Haller, nonché ai fratelli Philippe, Louis e Emmanuel Thomas, figli di Abraham e nipoti di Pierre, che, presi da fervido amore per la botanica, per un sessantennio non cessarono di percorrere le montagne e di conquistare piante per l'uso dei botanofili, che infine, grazie allo loro operosità, diedero un catalogo della flora svizzera tale che oggi essa è considerata tra le più ricche della superficie terrestre". A questi instancabili raccoglitori della flora elvetica però Gay non dedicò un genere svizzero e neppure alpino: le circa trenta specie del genere Thomasia (famiglia Malvaceae, in precedenza Sterculiaceae) sono infatti endemiche dell'Australia sud-occidentale, eccetto T. petalocalyx che è nativa del Victoria nell'Australia sud-orientale. Vivono in diversi ambienti, che vanno dalle dune sabbiose e gli affioramenti rocciosi, come T. sarotes, al sottobosco delle boscaglie come T. solanacea, alle brughiere come T. purpurea, alle foreste di eucalipti come T. petalocalyx. Sono arbusti da nani a medi, spesso con foglie molto decorative e fiori dai colori pastello resi spettacolari non dai petali, assenti o piccoli e non appariscenti, ma dai sepali che formano corolle a coppa o a campana piatta che ricordano un po' quelle dei Solanum. Tra le più notevoli, T. purpurea che al momento della fioritura si ricopre letteralmente di racemi color malva; T. quercifolia, con foglie molto attraenti e fiori rosa-porpora; T. pygmaea, che forma cespugli bassi e compatti ed è adatta anche alla coltivazione in contenitori. Molto apprezzate dal giardinaggio australiano, anche perché molte sono piante da sottobosco che ben si adattano agli angoli ombrosi, sono praticamente sconosciute in Europa. Alcune specie erano commercializzate nei cataloghi ottocenteschi e risulta che nel giardino Ricasoli sul Monte Argentario verso la fine del secolo si coltivasse, insieme a moltissimi altri arbusti australiani, anche T. solanacea. A parte qualche vivaio californiano, oggi non sembra siano commercializzate al di fuori dell'Australia. Nei primi anni dell'Ottocento, Antonino Bivona-Bernardi esplora la flora siciliana, rinnovando alla tradizione di Boccone e Cupani. Progetta un'opera complessiva, ma sulla sua strada incontra l'ambizioso Rafinesque. Prima di perdere la priorità anche di quelle, decide allora di pubblicare almeno le specie nuove o meno note, e intensifica le ricerche sulle crittogame e le alghe, all'epoca ancora poco indagate. Molto noto in Italia e all'estero come solerte ricercatore della flora dell'isola, non ottiene però né la cattedra di botanica né la direzione dell'orto palermitano; arriva invece la nomina a ispettore generale delle Acque e Foreste che lo spinge ad approfondire gli studi di agronomia, mineralogia, geologia. Anche se non insegnò mai formalmente, è considerato almeno il maestro spirituale di diversi botanici della generazione successiva, primo fra tutti Filippo Parlatore. Oltre a diverse specie, lo ricorda il monospecifico Bivonaea, che però, a differenza di quanto credeva de Candolle, non è esclusivo della Sicilia. Un solerte indagatore delle piante siciliane Giunta dall'Asia, negli anni '30 dell'Ottocento una grave epidemia di colera contagiò gran parte dell'Europa. Attraverso la Francia, dove si diffuse a partire da Marsiglia nel dicembre 1834, il morbo entrò in Italia e nei due anni successivi toccò la maggior parte della penisola. Gli effetti più devastanti si ebbero nel regno delle due Sicilie. Napoli fu investita da due ondate, la prima tra l'ottobre 1836 e il marzo del 1837, la seconda dall'aprile all'ottobre 1837; assai più lunga e grave della precedente, fece una terribile strage, portando il numero delle vittime a quasi 20.000 morti. La più illustre fu il poeta Giacomo Leopardi, deceduto il 14 giugno 1837. Ancora più pesante fu il bilancio in Sicilia, raggiunta più o meno negli stessi giorni: le prime notizie del contagio a Palermo sono del 22 giugno. Rapidamente si diffuse in città grandi e piccole e imperversò per tutta l'estate. La più colpita fu Palermo, con la cifra record di 24.014 morti. Tra di essi, anche qui troviamo vittime illustri, anche se ben meno note al grande pubblico dell'autore dell'Infinito: il fisico e storico Domenico Scinà, l'economista Niccolò Palmieri e il botanico e naturalista Antonino Bivona Bernardi (1778-1837). Importante botanico, ma anche naturalista ecclettico versato in molti campi, secondo Raimondo e Not fu il "principale esponente della classe scientifica più autorevole espressa dalla Sicilia in quel tempo" (ovvero i primi decenni dell'Ottocento) e "il primo vero naturalista moderno". Egli era nato a Messina come Antonino Bernardi da genitori di origine romana. Entrambi morirono quando egli era in fasce; da quel momento a provvedere a lui fu il barone Antonino Bivona, che lo adottò come figlio. Il barone era un avvocato celebre per la sua eloquenza, e il ragazzo, dopo aver frequentato le Scuole Pie, fu avviato agli studi di legge; ma a una passo dalla laurea ottenne di passare alle scienze naturali, e in particolare alla botanica, per la quale nutriva maggiore inclinazione. A spingerlo in tal senso erano la ricchezza floristica dell'isola, gli illustri precedenti di Boccone e Cupani, la frequentazione del già magnifico orto botanico di Palermo (Goethe che lo visitò nel 1787 lo definì "il luogo più stupendo del mondo"), all'epoca diretto da Giuseppe Tineo. Egli ne seguì le lezioni all'università di Palermo e prese anche lezioni private dal suo assistente, il dimostratore Giuseppe Bartolotta. Nel 1804 affari di famiglia lo portarono a Napoli, dove conobbe i botanici partenopei Vincenzo Petagna e Michele Tenore. Continuò poi i suoi viaggi per approfondire lo studio della botanica: fu a Roma, Bologna, Modena, Pavia (dove studiò chimica, fisica e anatomia e seguì le lezioni di Volta e le conferenze di Monti), Padova, Milano, Genova, Pisa, ovunque erborizzando, visitando orti botanici ed erbari e stringendo relazioni con altri studiosi, tra cui i botanici Sebastiani, Viviani, Santi, Savi, Bertoloni. Nel 1806 una grave malattia del padre adottivo lo richiamò a Palermo. Non poté neppure rivederlo; il barone era infatti morto, lasciandolo in un pesante dissesto economico, in gran parte causato proprio dagli studi e dai viaggi del figlio adottivo. Da quel momento Bivona non si mosse più dalla Sicilia, dovendo anche provvedere a una famiglia in rapida crescita (sposatosi poco dopo il ritorno a Palermo, ebbe otto figli), e si concentrò sullo studio della flora dell'isola. Già quell'anno pubblicò una prima raccolta di piante (Sicularum plantarum centuria prima), frutto delle sue erborizzazioni nel Palermitano; quindi si recò a Catania, sull'Etna e a Messina, pubblicando i risultati nel 1807 in Sicularum plantarum centuria secunda. Ciascuna centuria contiene la descrizione di cento piante. Nella prima, corredata da 5 tavole, dieci specie sono presentate come nuove; nella seconda le tavole sono 7 e le nuove specie 5. I due fascicoli ottennero ampio riconoscimento europeo. Nelle intenzioni dell'autore, sarebbero dovuto essere il preludio a un'opera complessiva sulla flora siciliana, organizzata secondo il sistema di Linneo, ma l'arrivo in Sicilia di Rafinesque, nel timore di essere preceduto, lo spinse ad abbondonare il progetto e a pubblicare invece quattro serie di piante inedite o poco note (Stirpium rariorum, minusque cognitarum in Sicilia sponte provenientium descriptiones I-IV, 1813-1816). Nelle due ultime dedicò molta attenzione alle crittogame, che all'epoca costituivano un campo di ricerca meno battuto, così come le alghe. Tra le sue scoperte, il nuovo genere di alghe Scinaia, dedicato a Domenicò Scinà. Aspirava alla cattedra universitaria e alla direzione dell'orto botanico, ma gli furono invece preferiti Vincenzo Tineo e Giovanni Gussone. Trovandosi in ristrettezze economiche in seguito alla soppressione della carica di segretario del regno, ereditata dal padre adottivo, per provvedere alla numerosa famiglia accettò di amministrare i possessi del duca di Sperlonga. L'esperienza, che lo avvicinò alla botanica applicata e all'economia agraria, gli fu utile per ottenere nel 1820 la nomina a ispettore generale delle Acque e Foreste in Sicilia; in questo ruolo influì notevolmente sulla regolamentazione del nuovo servizio forestale e sulla legislazione riguardante l'economia dei boschi. Con gli intenti di divulgare le scienze naturali e le buone pratiche agrarie e di favorire l'incontro tra gli studiosi, nel 1822 fondò la rivista "Iride", che tuttavia dovette chiudere dopo appena un anno per mancanza di sottoscrittori. Intanto aveva allargato i suoi interessi alla mineralogia e alla geologia (con la notevole scoperta di ossa fossili di grandi mammiferi nella grotta di Maredolce e al monte Billieni), all'entomologia, con un saggio su una nuova specie di cavallette che nel 1847 devastò la Sicilia centrale, ai molluschi, di cui si proponeva di stilare un catalogo di tutte le specie siciliane. Alla sua morte era rimasto allo stadio manoscritto, così come le sue ultime fatiche botaniche, un quinto manipolo e uno studio sulle querce siciliane. Alcune piante inedite furono pubblicate dal figlio Andrea (Nuove piante inedite del Barone Antonino Bivona Bernardi pubblicate dal figlio Andrea, 1838). Il progetto di una flora del Palermitano fu invece realizzato da Filippo Parlatore che, adolescente, era suo consueto compagno di erborizzazioni nei dintorni della città. Lasciò inoltre un erbario notevolissimo sia per gli esemplari in sé sia per la perizia della loro disposizione; il catalogo fu pubblicato nel 1839 dal figlio Andrea e da Filippo Parlatore. Bivonaea, un genere mediterraneo Gli studi di Bivona sulla flora siciliana erano ben noti sia in Italia sia all'estero, come dimostrano anche le numerose specie che gli furono dedicate: Presl gli dedicò Lupinus bivonii (oggi L. albus subsp. albus) e Genista bivonae (oggi Adenocarpus complicatus subsp. bivonae), Steudel Euphorbia bivonae, Gay Polycarpon bivonae (oggi Polycarpon polycarpoides), Gussani Colchicum bivonae e Trifolium bivonae, Todaro Orchis × bivonae. Una dedica venne persino da Rafinesque che Bivona, stando a quanto scrive il figlio Andrea, considerava il suo rivale e la sua bestia nera. Non era vero però il contrario: l'americano era grato a Bivona per avergli fatto parte delle sue scoperte e per averlo guidato ad erborizzare in varie località e, oltre a rinominare Vicia bivonae la Vicia leucantha dello stesso Bivona, nel 1810 dedicò il suo Caratteri di alcuni nuovi generi e nuove specie di animali e piante della Sicilia al "caro e pregiato amico" don Antonino Bivona-Bernardi. Il nobiluomo siciliano è ricordato anche da due generi. Nel 1821 Curt Sprengel creò Bivonia "in onore di Antonino Bivona-Bernardi, barone di Alta Torre, botanico siciliano celeberrimo". Non accettato, è oggi sinonimo di Bernardia. Ma lo stesso anno a dedicare al nostro un genere valido aveva provveduto de Candolle con Bivonaea, scegliendo un endemismo siculo già segnalato da Cupani: "Ho dedicato questo genere che consiste in una sola specie siciliana al celebre Bivona-Bernardi, inclito successore di Cupani e solerte indagatore delle piante siciliane, che per primo tra i botanici odierni ha segnalato ed egregiamente descritto questa nuova specie". Allora come oggi, Bivonaea lutea è l'unica specie di questo genere della famiglia Brassicaceae; in passato gli sono state attribuite altre specie, poi assegnate a Ionopsidium. Cupani l'aveva pubblicata come Thlspi montanum luteum in Hortus catholicus e Bivona come Thlaspi luteum nella prima delle sue centurie. Non è però un endemismo siculo come riteneva de Candolle. È stato infatti segnalato anche per la Tunisia e l'Algeria e per la Sardegna centro-orientale (due sole stazioni nel Nuorese); in Sicilia non è comune, ma è presente in diverse stazioni sui monti calcarei del versante occidentale dell'isola. È un'erbacea annuale con foglie basali oblunghe e foglie cauline ovali, con margine profondamente dentato, ricoperte di pruina biancastra. In primavera produce infiorescenze di piccoli fiori giallo-verdi con quattro petali bilobati. Il frutto è una siliquetta con nervi trasversali evidenti. Vive in ambienti semi aridi di bassa e media montagna (fino a 1000 metri). Firenze è la sede dell'Erbario centrale italiano, il più grande del nostro paese e uno dei primi dieci al mondo. L'importante collezione di briofite risale al lascito di un medico svizzero appassionato di botanica che si traferì in Italia e si fece fiorentino: Émile Levier. Raccoglitore meticoloso ed entusiasta, erborizzò non solo in Toscana, ma anche in Campania, in Abruzzo, nelle Alpi e, al di fuori dei nostri confini, partecipò a quattro spedizioni in aree all'epoca poco conosciute. Quando le briofite (muschi ed epatiche) occuparono il centro dei suoi interessi, con raccolte proprie e con l'apporto di una gigantesca rete internazionale, creò un vastissimo erbario briologico che dopo la sua morte passò appunto all'Erbario centrale. Lo ricorda l'esotico genere Levieria. Piante montane e briofite Il 21 agosto 1875 due escursionisti affrontano l'impegnativa scalata del Corno grande del Gran Sasso. Sono il medico Émile Levier e sua moglie Mathilde. A motivarli, più della passione sportiva, è l'amore per le piante. Émile (ma da quando dalla nativa Svizzera si è trasferito a Firenze non gli spiace essere chiamato Emilio) è infatti un appassionato botanico e da quando vive in Italia dedica l'estate e tutto il tempo lasciato libero dalla professione medica all'esplorazione della flora e da qualche tempo l'Abruzzo è diventato la sua area di caccia preferita. Sui ghiaioni e nelle fessure delle rocce attorno ai 2700-2900 metri, vivono numerose specie rupicole: Levier riconosce Papaver alpinum (oggi Oreomecon alpina), Draba cuspidata e l'endemismo appenninico Cerastium thomasii. È Mathilde la prima a notare una piccola specie a pulvino con fiori ormai secchi. I due Levier ne raccolgono pochi esemplari per l'erbario. Nel luglio dell'anno successivo la pianticella viene rinvenuta in piena fioritura al di sopra del Campo di Giove sulla Majella da due dei numerosi corrispondenti botanici di Émile, Pierre Edmond Boissier e Louis Leresche, anch'essi svizzeri e appassionati raccoglitori. Gli esemplari prontamente e generosamente condivisi con Levier gli confermano che si tratta di una specie inedita di Androsace; la battezza doverosamente A. mathildae, in onore della "coraggiosa moglie che per prima vide la rara pianticella durante l' ascensione del Gran Sasso [...] e con me ne raccolse pochi esemplari". Segnalata solo in Abruzzo, appunto sulle pendici del Gran Sasso e della Majella, questa deliziosa piccola pianta è forse il più prezioso rinvenimento di Émile Levier (1839-1911). Nato a Berna, dove si laureò in medicina e per tre anni prestò servizio negli ospedali cittadini, dopo un anno trascorso a Parigi come medico interno, nel 1865 si trasferì a Firenze aprendo uno studio di medico-chirurgo. Apprezzato per le capacità professionali, l'affabilità e la conoscenza delle lingue, era ricercato soprattutto dalla folta colonia di stranieri che viveva nella capitale toscana. Per diversi anni, nel periodo estivo prestò servizio come medico termale ai Bagni di Bormio in Valtellina e per qualche estate a Boscolungo nel Pistoiese (oggi è la nota stazione sciistica dell'Abetone). Amava questi soggiorni in montagna perché gli offrivano molte occasioni per coltivare la sua passione per la botanica, nata nell'adolescenza grazie all'amicizia con Charles-Henri Godet. Dotato di "memoria ferrea, occhio sicuro e acuto" (come scrisse Sommier nel suo elogio funebre) era un raccoglitore nato. Dopo il trasferimento a Firenze, iniziò ad esplorare dapprima la flora dei dintorni, per poi allargare sempre più il raggio delle sue esplorazioni. Infatti nella capitale toscana trovò un ambiente assai stimolante; le sue ricerche furono incoraggiate da Filippo Parlatore, impegnato nella pubblicazione della sua Flora d'Italia, e da Teodoro Caruel che si avvalse di molti suoi materiali per i supplementi al Prodromo della flora toscana. Strinse poi una fervida amicizia con Stefano Sommier che, come vedremo, fu suo compagno nella sua più impegnativa avventura botanica. In Italia erborizzò, oltre che in Toscana, nelle Alpi Retiche, nella penisola sorrentina, a Capri, ad Ischia e ripetutamente in Abruzzo dove, oltre al Gran Sasso e alla Majella, esplorò il Monte Velino, Scanno e l'Altopiano delle Cinquemiglia, sempre riportando copiose raccolte che condivise generosamente con il Museo botanico fiorentino, pur andando a costituire anche un ricco erbario personale, accresciuto da scambi con i numerosissimi corrispondenti. Fuori d'Italia, partecipò a quattro spedizioni. Nel 1878 e poi nuovamente nel 1879 visitò il nord della Spagna e del Portogallo con Boissier e Leresche, come lui membri della Société botanique de Genève ; il capo incontestato della spedizione era il più esperto e noto Boissier, mentre a Levier, il solo medico, spettava il compito di "curare i suoi colleghi se si fossero ammalati, senza per questo perdere il suo diritto ad erborizzare". Inoltre, si contava sulla sua energia, visto che era "più giovane della metà e perciò più agile". Il momento culminante della spedizione fu l'esplorazione del Pico de Europa, all'epoca largamente inesplorato, dove i tre botanici poterono raccogliere molte piante alpine, tra cui una nuova specie di Pimpinella pubblicata da Leresche come P. siifolia (oggi Parapimpinella siifolia). Ma Levier poté anche approfittare del "diritto ad erborizzare" per fare un'ampia raccolta di muschi (oltre cento specie e varietà). Ne leggiamo l'elenco in Deux excursions botaniques dans le nord de l'Espagne et le Portugal en 1878 et 1879, scritto a quattro mani da Levier e Leresche. Nel 1880 esplorò la Corsica con Charles Forsyth Major, studiando in particolare le piante montane e le affinità e le differenze con la flora sarda; infine nel 1887 fu la volta di un viaggio di quattro mesi nel Caucaso con Sommier, nel corso della quale i due esaminarono la vegetazione di 85 località diverse, raccogliendo più di diecimila esemplari che poi descrissero in Enumeratio plantarum anno 1890 lectarum. Inizialmente, Levier si occupò di angiosperme, pubblicando una serie di rilevanti lavori sull'origine e la diffusione dei tulipani in Italia e in Europa, ma poi il centro del suo interesse si spostò sempre più verso le crittogame, in particolare i muschi e le epatiche (secondo Sommier "materia adattattissima [sic] al Levier, così oculato indagatore delle cose minute"). L'assidua ricerca di briofite lo portò in Toscana, in Valtellina, nell'alto Novarese e in Valle d'Aosta. Per procurarsi esemplari esotici creò una rete di corrispondenti - così vasta da essere stata definita "universo" - che includeva amici, viaggiatori, missionari, funzionari coloniali. Forse per eccessivo perfezionismo, pubblicò poco, ma diede un enorme contributo ai lavori altrui riorganizzando materiali, determinando esemplari, abbozzando studi che poi altri avrebbero completato. Per anni scrisse contributi e accumulò materiali per una monografia sul genere Riccia, per la quale preparò anche perfette tavole a colori (era un eccellente illustratore botanico), ma la morte gli impedì di completarla, così come uno studio sulla distribuzione altimetrica dei muschi. Forte fumatore, incominciò ad accusare problemi cardiaci che nel 1911 lo portarono alla morte. Una parte dell'erbario fu donato dalla vedova (Mathilde Levier, assidua compagna di escursioni botaniche) all'Erbario centrale di Firenze, il resto fu venduto dagli eredi ed acquistato sempre dalla stessa istituzione. La parte più preziosa è costituita dell'erbario briologico, creato da Levier sia con raccolte dirette sia con gli apporti dei suoi corrispondenti, fino a diventare il più vasto d'Italia. Lo è probabilmente ancora oggi, tanto da essere stato utilizzato ancora all'inizio di questo secolo come base di partenza della Flora dei Muschi d’Italia. Un omaggio dalla foresta pluviale Levier, finché la malattia non glielo impedì, fu un medico e, anche se collaborò al Museo botanico fiorentino e all'erbario, non ebbe mai alcun ruolo accademico o istituzionale (tranne che, a partire dal 1889, come membro della Società botanica italiana di cui fu più volte consigliere). Forse per questo andava a genio anche a quel bastian contrario che fu Odoardo Beccari che nel 1877 volle dedicargli il genere Levieria con parole affettuose: "È all'amico Dr. E. Levier, distinto ed appassionato cultore della botanica, che dedico questo nuovo genere". Con Levieria (famiglia Monimiaceae), dalla Toscana e dai monti d'Italia ci trasferiamo nelle foreste pluviali delle Molucche, della Nuova Guinea e dell'Australia settentrionale. Sono questi l'areale di diffusione e l'habitat delle sue sette specie, costituite da alberi o arbusti, raramente rampicanti, che vivono soprattutto nelle foreste pluviali di bassa montagna, tra 1200 e 3000 metri. Sono dioiche, con piante maschili distinguibili per i tepali separati ed arrotondati portati su un piccolissimo ricettacolo piatto e piante femminili caratterizzate da un ricettacolo a coppa usualmente quadrilobato; in fase di sviluppo le drupe rimangono esposte dall'arricciatura del ricettacolo, con i tepali al margine. Il centro di diversità è la Nuova Guinea, dove sono presenti tutte e sette le specie; una si estende alle Molucche e una al Queensland. Tra le migliaia di persone che, attratte dalla febbre dell'oro, attorno al 1850 si riversarono in California, c'era anche Hiram Green Bloomer. Della sua vita personale sappiamo poco, ma gli atti dell'Accademia delle scienze della California attestano che fu uno dei sette fondatori e poi me fu un membro molto attivo, rivestendo a lungo il ruolo di curatore del dipartimento di botanica. Fece raccolte sia in California sia in Nevada e, oltre a donare molti esemplari all'accademia, altri ne inviò per la determinazione ai botanici dell'East Cost. Diversi gli furono dedicati da Asa Gray e uno da Sereno Watson. Non amava scrivere, ma era un bibliofilo e collezionista di libri di botanica (non per sé, ma per la biblioteca dell'Accademia); amava invece coltivare le bulbose native, come quella bellissima dai fiori d'oro che l'amico Albert Kellogg vide per la prima volta fiorire nel suo giardino. Gliela dedicò e così nacque il genere Bloomeria (Asparagaceae). Dalla corsa dell'oro all'Accademia delle scienze Fino al 1846, là dove sarebbe sorta San Francisco, c'era un villaggio di meno di 300 abitanti chiamato Yerba buena (dal nome spagnolo di Clinopodium douglasii, abbondante in quest'area). Poi gli Stati Uniti strapparono al Messico la California (nel 1850 sarebbe diventata il 31 stato), Yerba buena divenne San Francisco, nel 1848 a Sutter's Mill venne scoperto l'oro; nell'arco di pochi anni 300.000 persone arrivarono qui da tutti gli Stati uniti e dall'estero in cerca di oro e fortuna. Tra di loro c'erano anche Hiram Green Bloomer (1821–1874) e la sua famiglia. Era nato a Marlborough nello stato di New York; non conosciamo molto della sua vita personale, ma sappiamo che aveva studiato al Newburgh College; era sposato e aveva già diversi figli. Nel 1849, all'età di 28 anni, tentò di raggiungere una prima volta la California ma a Panama, dove doveva imbarcarsi, si ammalò e fu costretto a tornare a casa. Arrivò a San Francisco probabilmente l'anno dopo e si inserì in fretta in quella città in tumultuosa crescita, divenendo un "cittadino a scartamento largo", come lo definisce Jepson, impegnato in molte attività civiche. Ad attrarlo in California non dovette essere solo l'oro, ma anche le piante, visto che già a Panama aveva fatto qualche raccolta. Entrò così in contatto con altri appassionati, tra cui il medico e farmacista Albert Kellogg. Nella serata del 4 aprile 1853, Kellogg e Bloomer si incontrarono con altre cinque persone in un ufficio di Montgmery Street: è l'atto di fondazione dell'Accademia delle Scienze della California, i cui scopi erano "una sistematica e accurata ricognizione di ogni porzione dello Stato e la raccolta di un gabinetto delle sue rare e ricche produzioni". Fino ad allora, ad interessarsi della ricca flora californiana erano stati da una parte i botanici delle spedizioni che vi fecero scalo tra il Settecento e la prima metà dell'Ottocento, come Menzies, il botanico della spedizione Vancouver che la visitò nel 1793, o raccoglitori venuti da lontano, come David Douglas che nel 1831 esplorò la California meridionale per incarico della Royal Horticultural Society. Kellogg e Bloomer furono tra i primi botanici residenti. Oltre alla passione per le piante, avevano in comune il talento artistico (del primo ci sono rimasti eccellenti disegni di piante, il secondo trasmise i primi rudimenti dell'arte al figlio Hiram Reynolds Bloomer, in seguito un noto pittore paesaggista) e la dedizione all'accademia, nella quale occuparono ruoli importanti. Kellogg fu il fondatore dell'erbario e il primo curatore del dipartimento di botanica, Bloomer, dopo essere stato segretario e redattore dei verbali dal 1854, fu curatore del dipartimento di botanica dal 1856 al 1866, infine direttore del museo, dal 1868 fino alla morte nel 1874. Kellogg e Bloomer erano amici e collaboratori, ma in una cosa si differenziavano totalmente: il primo era uno scrittore prolifico con all'attivo decine di articoli nei Proceedings dell'Accademia e in altre riviste, del secondo ci è noto sola un breve testo in cui difese la priorità degli studi di Kellogg sulla sequoia gigante di fronte alla pretese di Lindley di denominare quella gloria americana Wellingtonia gigantea. Jepson nel breve schizzo biografico che gli dedicò lo ha spiritosamente definito membro della "molto stimabile confraternita dei non-scrittori". Non scriveva, ma prendeva frequentemente la parola alle riunioni dell'accademia, spesso per presentare qualche libro o recenti pubblicazioni di botanica. Il non scrittore Bloomer era infatti un lettore e un bibliofilo: all'accademia donò in più occasioni non solo esemplari botanici da lui raccolti, ma anche libri; ci è rimasta una sua unica lettera a Torrey, in cui chiede informazioni sul prezzo e la reperibilità della sua Flora of New York e un aiuto per trovare testi botanici rari; quello che desiderava di più era Les Liliaceés di Redouté, anche di seconda mano. Le liliacee (ovvero le bulbose: ai suoi tempi ne facevano parte moltissime specie poi transitate in altre famiglie) erano la sua più grande passione e, come vedremo meglio tra poco, amava coltivare quelle native nel suo giardino. All'amore per le piante si deve anche la sua morte, a poco più di cinquant'anni: nel settembre 1874, con altri appassionati, partecipò a un viaggio di esplorazione nel Marin County; il gruppo si perdette e fu costretto a trascorrere la notte all'addiaccio. Per la fatica e l'esposizione agli elementi, Bloomer si ammalò e poco dopo morì. Bloomeria, ovvero stelle d'oro Bloomer erborizzò in California e in Nevada; secondo la testimonianza del figlio Hiram Reynolds, creò un erbario di diverse migliaia di esemplari, accuratamente classificati ed etichettati, e circa un anno prima della morte lo donò all'Accademia; purtroppo è andato perduto, ma alcuni duplicati sono conservati in altre collezioni. La sua attività di raccoglitore è testimoniata da diverse dediche di botanici dell'East cost, che pure guardavano dall'alto in basso i "dilettanti" della California: da Sereno Watson, Ranunculus bloomeri (oggi Ranunculus orthorhynchus var. bloomeri), raccolto dal "Dr. J. (sic!) G. Bloomer in un fondo umido presso San Francisco", e da Asa Gray varie specie da lui raccolte a Virginia City e sul Monte Davidson in Nevada: Aster bloomeri (oggi Symphyotrichum campestre), Erigeron bloomeri, Haplopappus bloomeri (oggi Ericameria bloomeri), e Galium bloomeri (oggi Galium multiflorum), a proposito del quale Gray scrive:"[raccolto] nel territorio di Nevada presso Virginia City da Mr. H. G. Bloomer, al quale, come suo scopritore, ho il piacere di dedicare questa specie così ben caratterizzata". Fu invece un altro botanico attivo in California, Henry N. Bolander, a dedicargli Stipa bloomeri (oggi Eriocoma × bloomeri) per "commemorare i suoi servigi alla botanica di questa costa occidentale". Alla passione per le liliacee si deve una dedica in un certo senso "mancata" da parte dell'amico Kellogg. Prima del 1860 egli vide nel giardino di Bloomer "il giglio più magnifico della costa pacifica". Ne fu così impressionato che ne presentò un disegno (forse realizzato dallo stesso Bloomer) all'Accademia; tuttavia non lo pubblicò. Lo fece solo una dozzina di anni dopo, denominandolo Lilium bloomerianum. Troppo tardi: due anni prima la magnifica specie, raccolta in California da Benedikt Roezl e inviata in Europa, era stata validamente pubblicata come Lilium humboldtii, in occasione del centesimo anniversario della nascita del grande esploratore-naturalista. Kellogg aveva comunque provveduto a immortalare l'amico con la dedica di una genere. Nella seduta del 18 luglio 1859 dell'Accademia delle scienze, egli presentò esemplari e disegni di due liliacee (sempre nel senso ampio impiegato all'epoca) raccolte a New Idria da John Allean Veatch e coltivate nel giardino di Bloomer. Non sappiamo se le avesse disegnate lo stesso Kellogg oppure Bloomer, entrambi eccellenti artisti. Ritenendole nuove per la scienza e non appartenenti ad alcun genere noto, Kellogg stabilì per lo loro due nuovi generi, battezzandole rispettivamente Veatchia crystallina e Bloomeria aurea. In realtà, la prima non era inedita: era stata pubblicata quasi trent'anni prima da Lindley come Hesperoscordum hyacinthinum; in seguito, fu riclassificata e oggi si chiama Triteleia hyacinthina; Veatchia è dunque sinonimo di Triteleia e la fama del perito, agrimensore e mineralogista Veatch rimane affidata alla scoperta di un vasto deposito di borace nel Lake County. Kellogg aveva invece visto giusto con Bloomeria: questo piccolo genere, di cui fu il primo a descrivere una specie, rimane valido e continua ad essere il più bell'omaggio al non-scrittore Hiram Green Bloomer. Come Brodiaea, Behria e Triteleia, fa parte della sottofamiglia Brodiaeoideae delle Asparagaceae. Le sue tre specie (Bloomeria clevelandii, B. crocea e B. humilis) sono native delle colline pedemontane aride della California e della Baja California, dove crescono in praterie, nei boschi aperti o nel chaparral. Come le loro sorelle, hanno cormi, foglie lineari e sottili steli culminanti con una infiorescenza a ombrella relativamente grande. Invece degli azzurri di Triteleia e Brodiaea e del rosso di Behria, i fiori di Bloomeria ostentano il più luminoso dei gialli. I singoli fiori sono piccoli, a stella (in inglese si chiamano Golden Stars), con lobi molti aperti, per lo più liberi (una caratteristica distintiva rispetto ai generi affini). Solitamente si coltiva la specie più diffusa, B. crocea. Si riproduce con facilità, è molto fiorifera e regala una lunga fioritura se coltivata al sole in terreno ben drenato. Dopo la fioritura, le foglie seccano e, poiché non è rustica e detesta l'umidità invernale, dove gli inverni sono freddi e umidi il modo migliore per coltivarla è ritirare i cormi d'autunno e conservarli in un luogo asciutto, ripiantandoli in primavera; si piantano invece in autunno dove gli inverni sono miti, a condizione da proteggerli tassativamente dalle piogge invernali. Furono tre i continenti (se non contiamo qualche mese in un quarto e un breve scalo nel quinto) a fare da sfondo alla vita di Hans Hermann Behr, dottore in medicina e poliedrico naturalista e scrittore. Nato e formatosi in Germania, una prima visita lo portò per un po' più di un anno in Australia ad esplorare l'area di Adelaide, all'epoca meta di molti coloni tedeschi. Ritornò poi a casa, ma la rivoluzione del '48 - a suo dire - lo trasformò in esule, prima di nuovo in Australia, poi per breve tempo nelle Filippine, infine per più di mezzo secolo in California. Arrivò a San Francisco proprio in coincidenza con l'inizio della febbre dell'oro (l'unico prodotto della natura che non lo interessò mai) e fu testimone della tumultuosa crescita della città e della distruzione di un ambiente naturale che aveva potuto vedere ancora intatto. Prolifico cacciatore di piante e insetti in Australia, nonché autore di interessanti articoli antropologici, in California ebbe un ruolo di primo piano nell'Accademia delle scienze e fu soprattutto entomologo (era uno specialista e grande collezionista di lepidotteri); ritornò però alla botanica quando venne chiamato a insegnarla alla facoltà di farmacia. Fin qui lo scienziato, ma Behr, noto per il suo umorismo sferzante, fu anche scrittore, con all'attivo due romanzi in tedesco e scritti umoristici che spesso sfociano nel non sense. Lo ricordano gli eponimi di numerose piante e insetti e il monotipico genere Behria, endemico dell'estremità meridionale della Baja California. Una fruttuosa prima spedizione in Australia Quando morì, a quasi 86 anni, il San Francisco Chroniclelo lo definì "un'autorità di rilevanza mondiale" in molti campi della scienza, da annoverare tra "i giganti della mente". Eppure oggi il medico tedesco naturalizzato statunitense Hans Hermann Behr (1818-1904) è quasi dimenticato, non fosse per una località australiana (Behr Creek), una strada di San Francisco (Behr Avenue), una manciata di nomi di piante e un romanzo che ogni tanto viene ripescato e ristampato. Fu infatti molte cose durante la sua lunga vita: medico per professione e necessità, naturalista, raccoglitore e collezionista di insetti e piante per passione, insegnante e divulgatore, scrittore di romanzi e sketch comici che me lo fanno immaginare come un Mark Twain (o un O. Henry) della botanica. Come loro era un umorista, non di rado pungente e più spesso surreale. Behr nacque a Köthen, la capitale del principato di Anhalt, in una famiglia che da generazioni forniva all'amministrazione alti funzionari. Fin dagli anni del ginnasio rivelò uno spiccato talento per le lingue - nel suo necrologio Alice Eastwood, esagerando, scrisse che parlava tutte le lingue europee - e studiò, oltre al latino e al greco, persino l'ebraico. Amava già la natura ed era già un accanito collezionista; all'epoca collezionava uova di uccelli e si racconta abbia rubato un nido di cigni reali per procurarsi le loro uova. Nel 1837 si iscrisse all'università di Halle, poi alla facoltà di medicina a Würzburg dove si innamorò della botanica; era un attivo membro della confraternita studentesca Corps Moenania, per sostenere i colori della quale partecipò a 27 duelli. Si tratta dello sport alquanto cruento del Mensur, nel quale i contendenti si affrontavano con la spada per dimostrare il proprio coraggio, riportandone frequentemente ferite e cicatrici al volto, poi esibite con orgoglio. E' il caso anche di Behr che ne aveva più di una. Completò poi gli studi all'università di Berlino, dove nel marzo del 1843 ottenne la laurea in medicina. A Berlino forte era l'influenza sia di Humboldt sia del geografo Karl Ritter. Entrambi lo incoraggiarono a visitare paesi lontani per approfondire sul campo lo studio di botanica e entomologia. Behr scelse l'Australia sudorientale, che proprio in quegli anni stava attirando ondate di immigrati tedeschi. A partire dal 1838, gruppi di coloni tedeschi avevano cominciato a stabilirsi nell'area di Adelaide, in quella che all'epoca era la colonia dell'Australia del Sud. Tra di loro c'erano vignaioli del Reno reclutati per avviare la coltivazione industriale della vite, contadini poveri della Slesia e della Sassonia, ma i nuclei più consistenti provenivano dalla Prussia ed erano guidati da missionari luterani. Nel 1842 27 famiglie si stabilirono nella valle di Barossa e battezzarono il loro villaggio Bethanien in ricordo della città biblica, rinomata per la sua fertilità. Il 27 maggio 1844 Behr si imbarcò a Brema sulla George Washington e il 12 settembre sbarcò ad Adelaide. Da una lettera diretta alla Società entomologica di Stettino, risulta che a novembre si trovava a Bethanien ed aveva già iniziato ad esplorare attivamente la zona, la cui fauna e flora all'epoca erano quasi completamente ignote alla scienza europea. Dapprima esplorò la valle del Barossa, poi si spinse sempre più lontano, con escursioni che coprono un raggio di 100 km a nord e ad est di Adelaide, tra il Golfo di St. Vincent e il fiume Murray. A più riprese tra l'autunno del 1844 e l'inverno del 1845 visitò il Light River, nella primavera del 1845 esplorò le pinete nei pressi di Gawler, tra la primavera e l'inizio dell'estate la Barossa Range, a maggio i fiumi Murray e Onkaparinga, ad agosto i Murray Flats. Non sappiamo in quale data scalò il Monte Barker a sudest di Adelaide. Oltre a raccogliere grandi quantità di piante ed insetti (era particolarmente interessato a coleotteri e lepidotteri) non mancò di osservare i costumi degli aborigeni, dedicando particolare attenzione al linguaggio e ai corroboree, le cerimonie rituali, che in due scritti che avrebbe presentato alla Società geografica di Berlino non avrebbe esitato a paragonare alle cerimonie religiose cristiane. Dopo 13 mesi, ripartì per l'Europa, imbarcandosi il 9 ottobre 1845 ad Adelaide su una piccola nave, la Heerjeebhoy Rustomjee Patel, di cui era l'unico passeggero oltre alla moglie del comandante. Nello stretto di Lombok, essa fu attaccata dia pirati e dovette rifugiarsi a Bali. Poi il viaggio proseguì senza altri incidenti via Città del Capo per Amsterdam, dove Behr sbarcò il 19 maggio 1846. Da qui dovette raggiungere Köthen, dove sarebbe vissuto fino al 1848. Ora si trattava di pubblicare l'ingente materiale raccolto. Anche se egli stesso presentò le sue raccolte in articoli comparsi nel 1847 su Entomologische Zeitung e Linnaea, si affidò soprattutto alla collaborazione di alcuni amici ed esperti: per i lepidotteri Johann Christoph Friedrich Klug, per i coleotteri Ernst Friedrich Germar, per le piante Diederich Franz Leonhard von Schlechtendal. Preceduta da un importante saggio introduttivo di Behr sulla flora dell'Australia meridionale, la descrizione delle circa 200 specie di piante da lui raccolte fu pubblicata da Schlechtendal nel numero 20 di Linnaea (1847). Egli ne considerò nuove per la scienza una settantina, e molte le nominò in onore dell'scopritore; tra di esse, per limitarci alle denominazioni tuttora accettate, Prostanthera behriana e Glischrocaryon behrii. Ritorno in Australia A Köthen Behr non si occupava solo delle sue raccolte australiane e della propria carriera di medico; si interessava attivamente di politica. Come tanti giovani tedeschi in quegli anni agitati, aspirava a un mutamento politico in senso democratico e progressista, e si avvicinò a posizioni socialiste, causando sconcerto e preoccupazione nella sua conservatrice famiglia. Tanti anni dopo, in un romanzo autobiografico, egli l'avrebbe raccontato spiritosamente così: "Ero giovane, ero un socialista e fanatico dell' emancipazione in differenti direzioni [...]. Nel glorioso 1848 mi resi colpevole di ogni sorta di misfatti e mi consideravo una persona pericolosa perché ero impegnato a rompere le finestre del ministro della mia patria". Non ebbe certamente un ruolo di primo piano negli eventi rivoluzionari, del resto pacifici, che toccarono anche la periferica Köthen, ma era abbastanza coinvolto da spingere il padre, il cancelliere municipale Carl Ludwig, a finanziargli un secondo viaggio in Australia, prima che si compromettesse definitivamente. Tuttavia, anche se nei suoi anni americani gli piacque presentarsi come un esule politico, forse dietro la sua partenza c'erano anche altre ragioni. Con il favore del duca Friedrich Ferdinand, Köthen era diventato il maggior centro di diffusione dell'omeopatia: qui visse e lavorò a lungo il fondatore Samuel Hahnemann, qui nel 1845 Arthur Lutze aprì uno studio che attirava frotte di clienti (nel 1855 si sarebbe trasformato nel primo, celebre e redditizio, ospedale omeopatico). La concorrenza di Lutze, ai suoi occhi nient'altro che un ciarlatano, riduceva le già scarse prospettive di carriera di Behr e fu questo, presumibilmente, più che la situazione politica e le pressioni familiari, a deciderlo a lasciare per sempre l'Europa per cercare fortuna in Australia. Almeno stando al sarcastico proclama con il quale annunciò la sua decisione ad amici e colleghi: "Convinto che il dottor Lutze resterà qui e che gli altri medici dovranno lasciare il paese, ho l'onore di informare i miei amici e mecenati che lascio la mia patria [...] e con la presente chiedo ai miei colleghi di fare lo stesso". Quale che fosse la motivazione reale, il 15 giugno 1848 Behr si imbarcò come medico di bordo sul Victoria, diretto a Adelaide via Rio de Janeiro. Rallentato da una squadra navale danese nel Mare del Nord, il vascello arrivò in Australia solo a novembre. Pochi giorni dopo lo sbarco, Behr era di nuovo a Bethanien, dove forse aveva pensato di stabilirsi come medico. Invece come due anni prima il desiderio di avventura e l'amore per le scienze naturali presero il sopravvento: a novembre esplorò il Salt Creek, tra novembre e gennaio 1849 il Barossa Range e il versante orientale del Mount Lofty Range, nel marzo 1849 il fiume Murray. Più o meno nello stesso periodo erano arrivati in Australia diversi altri naturalisti tedeschi le cui strade dovettero incrociarsi con quella di Behr; citiamo i due più famosi: Ferdinand von Mueller (all'epoca ancora un oscuro farmacista senza von), futuro botanico coloniale del Victoria e direttore dell'orto botanico di Melbourne, e William Hillebrand, futuro esploratore della flora hawaiana. Le etichette degli erbari dimostrano che nel novembre 1848 Mueller e Behr dovettero erborizzare insieme nel Barossa Range e lungo il Salt Creek; più tardi Mueller gli dedicò Lasiopetalum behrii che Behr era stato il primo ad osservare. Quanto a Hillebrand, arrivato ad Adelaide nel marzo 1849, la sua amicizia con Behr dovette essere piuttosto stretta se i due, in una data che purtroppo non conosciamo (forse settembre 1849) lasciarono insieme l'Australia per trasferirsi a Manila, con l'intenzione di aprire ciascuno uno studio medico. Secondo una nota pubblicata su un giornale dell'epoca, prima di partire Behr avrebbe inviato le sue recenti raccolte a William Jackson Hooker, ma di questo invio si sono perdute le tracce. Tanto Behr quanto Hillebrand nel dicembre 1849 ottennero la licenza per esercitare la medicina nelle Filippine, ma vi rimasero pochi mesi, durante i quali nessuno dei due risulta aver fatto raccolte; alla fine di settembre 1850 Behr si trovava sicuramente a San Francisco, dove alla fine di novembre sarebbe stato raggiunto da Hillebrand. Ma mentre questi ripartiva quasi immediatamente per Honolulu, Behr fece di San Francisco la sua nuova casa: vi sarebbe rimasto per più di mezzo secolo, fino alla morte, allontanandosene solo per un breve viaggio in Europa nel 1853, allo scopo di recuperare e condurre con sé la fidanzata Agnes Omylska. Mezzo secolo in California Nella California che si andava tumultuosamente popolando per la corsa all'oro (uno dei pochi prodotti della natura che mai lo interessò, stando alle sue dichiarazioni), Behr divenne presto uno figura riconosciuta dell'ambiente intellettuale e scientifico. Aveva uno studio medico, che cambiò spesso indirizzo, e come a Köthen si trovò ad affrontare la concorrenza dell'omeopata Lutze, qui si vide rubare i clienti da sedicenti medici che in realtà erano barbieri intraprendenti, infermieri o studenti che non erano riusciti a superare gli esami di medicina. Dato che non aveva peli sulla lingua e non esitava a mettere in ridicolo questi ciarlatani, Behr si fece così molti nemici; uno di loro, che scriveva gratuitamente per un giornale locale in lingua tedesca, inscenò un'accanita campagna di stampa contro di lui, accusandolo di essere un gesuita, anzi il peggiore dei gesuiti. Il motivo? Behr era cattolico e insolitamente religioso per un uomo di scienza. Anche se ridicola, l'accusa gli fece perdere molti clienti luterani. Behr non divenne mai ricco con il suo lavoro di medico, cui del resto continuava ad affiancare molteplici interessi scientifici e, come scopriremo, artistici. Era impegnato in mille altre attività, per lo più volontarie e non remunerative. Non molto dopo il suo arrivo, una banda di ex deportati australiani, noti come Sydney Ducks, si rese responsabile di furti, estorsioni e incendi; nel 1851 appiccarono il fuoco a un negozio del centro, causando un incendio che arse quasi 2000 edifici. I cittadini esasperati risposero varando un comitato di vigilanza che non esitava a farsi giustizia da sé, con metodi come processi sommari, espulsioni forzate e linciaggi. Tra questi spicciativi giustizieri fai da te troviamo anche Behr. Un ruolo non molto coerente con il rivoluzionario del '48, così come non lo fu la supplica che rivolse al duca nel 1853, in occasione del suo ultimo viaggio in patria: "Sarebbe molto gradito e vantaggioso per la mia pratica medica a San Francisco se potessi ricevere uno dei titoli ducali dell'Anhalt - magari come consigliere di corte - in riconoscimento dei miei trattati di botanica". Ottenne quanto chiedeva, tornando in California con il titolo sospirato e l'incarico - del tutto onorifico - di console dell'Anhalt in California. Quel titolo pomposo non cambiò in nulla la sua situazione reale e continuò ad essere il medico povero in canna di sempre, ma intanto incominciò a farsi conoscere negli ambienti scientifici. Nel 1854 fu ammesso all'Accademia delle scienze californiana, fondata l'anno prima, di cui divenne uno degli animatori: all'epoca, gran parte dei naturalisti che operavano in California erano degli amatori, e Behr, che invece aveva una solida formazione accademica e una vasta esperienza sul campo, diede un contributo importante in termini di rigore scientifico. Dal 1864 al 1904, anno della sua morte, ne fu il vicepresidente, stringendo un duraturo sodalizio con George Davidson, presidente dal 1871 al 1887; a partire dal 1862, occupò a più riprese il ruolo di curatore del dipartimento di entomologia. In effetti, in California il suo interesse preminente divennero le farfalle, di cui esplorò anche le potenzialità economiche. Nel 1855 nel primo volume dei Proceedings dell'Accademia comparve una sua memoria dedicata a Saturnia rubra (oggi Hyalophora euryalus), ospite di Ceanothus thyrsiflorus, a suo parere altamente promettente come sostituto del baco da seta. I suoi tentativi di lanciare un'industria sericola a partire da questa farfalla autoctona fallirono, ma fu l'inizio di una estesa raccolta di bachi, fatti venire anche dall'estero, che andò ad aggiungersi alla sempre più vasta collezione di lepidotteri, in parte raccolti da lui, in parte ottenuti con scambi internazionali con altri naturalisti. Intorno al 1882, gli esemplari erano ormai 20,000. Tra il 1863 e il 1870 Behr dedicò ai lepidotteri almeno una decina di articoli pubblicati su riviste scientifiche come Proceedings of the Entomological Society of Philadelphia,Transactions of the American Entomological Society e Entomologische Zeitung. La botanica non era mai stata dimenticata, ma tornò al centro a partire dal 1872, quando Behr fu nominato professore di botanica della Facoltà di farmacia della California. Faceva lezione due volte la settimana e ogni quindici giorni guidava i suoi studenti in escursioni botaniche nei dintorni; per loro scrisse Synopsis of the genera of vascular plants in the vicinity of San Francisco, with an attempt to arrange them according to evolutionary principles (1884), in cui conciliò la fedeltà al sistema linneano con l'apertura all'evoluzionismo. L'attenzione alle piante native è palese in Flora of the Vicinity of San Francisco, una guida da campo rivolta a un ampio pubblico. Alla rapida trasformazione dell'ambiente naturale in seguito all'esplosiva urbanizzazione della città (tra il 1850 e il 1885 la popolazione decuplicò, passando da 25.000 a oltre 250,000 abitanti), di cui era stato attento e consapevole testimone, dedicò Botanical Reminiscences, pubblicati nel 1891 e nel 1896, un documento straordinario su ambienti e piante oggi scomparsi e sull'introduzione di piante esotiche. A quest'ultima contribuì - e non sempre in modo felice: in questo sì, pericoloso - lo stesso Behr che si era mantenuto in contatto epistolare con Mueller e per suo tramite introdusse in California diverse piante australiane, tra cui l'invasiva Avicennia marina subsp. australasica e vari eucalipti. Ma non è finita: oltre che antropologo, entomologo e botanico, il poliedrico personaggio fu anche un dotato scrittore. A indirizzarlo alla scrittura fu il viaggiatore e narratore tedesco Friedrich Gerstäcker che durante il suo viaggio attorno al mondo fece tappa nella California della febbre dell'oro; era diretto in Australia e a San Francisco incontrò Behr; i suoi coloriti racconti sull'emigrazione tedesca in Australia lo colpirono talmente che gli suggerì di ricavarne un romanzo. Nacque così Auf fremder Erde ("Nella terra straniera"), pubblicato nel 1864 in Germania dalla casa editrice di Gerstäcker con la prefazione di quest'ultimo; Behr lo firmò con la pseudonimo Ati Kambang ("carattere allegro", "indole gaia") e vi descrisse in tono spesso umoristico i comportamenti e le interazioni tra i vari gruppi etnici di immigrati e gli aborigeni. L'editore invece rifiutò il secondo romanzo di Behr, Dritte Söhne ("I terzi figli") che si svolgeva in California e fu poi pubblicato a puntate su una rivista americana in lingua tedesca. Con queste credenziali, nel 1873 Behr fu tra i primi aderenti al Bohemian Club. Fondato l'anno prima e diversissimo ai suoi esordi dal club attuale, ritrovo di miliardari e politici di primo piano, era un'associazione informale di giornalisti, artisti e scrittori che si incontravano periodicamente nel retro di un locale, il Jolly Corks. Qui, tra una bevuta e l'altra, i membri del Club presero l'abitudine di allestire spettacoli interni detti Jinks, che tipicamente sviluppavano un tema in forma di poesie, canzoni, scene teatrali. Behr vi trovò il palcoscenico ideale per il suo spirito ironico; le scenette, i monologhi e i non sense da lui creati per i jinks furono pubblicati poco dopo la sua morte da un gruppo di amici sotto il titolo The Hoot of the Owl ("Il grido della civetta") La civetta era il simbolo del club e Behr ne teneva una come animale da compagnia. Il suo carattere è stato descritto in vari modi, abbastanza contraddittori; aveva fama di eccentrico, di persona cordiale con gli amici ma sferzantemente ironica con chi incorreva nella sua disapprovazione. Rimase celebre uno scontro con il micologo Harvey Willson Harkness che nel 1887 era stato elettopresidente dell'Accademia delle scienze, battendo Davidson. Durante un'accesa discussione del comitato direttivo, non riuscendo a smontare la serrata argomentazione di Behr , Harkness sbottò "Vada al diavolo!", al che Behr rispose in tono cortese: "Dopo di lei, mio caro signore". Oltre a scrivere per riviste scientifiche sia statunitensi sia tedesche, Behr era in relazione epistolare con molti studiosi in entrambi i continenti. Nel 1898 la sua alma mater, l'università di Berlino, volle festeggiarlo conferendogli la laurea honoris causa con una solenne cerimonia. Behr morì a quasi 86 anni, nel 1904, lasciando all'Accademia delle scienze californiana libri, manoscritti e l'inestimabile collezione di insetti. Purtroppo tutto andò in fumo nell'incendio che distrusse la sede dell'accademia in conseguenza del devastante terremoto del 1906. Riservato ai colibrì! Abbiamo già visto che Behr è ricordato dall'eponimo di diverse specie della flora australiana (e ovviamente di numerosi lepidotteri, tanto australiani come Etiella behrii quanto americani come Parnassius behrii ). E' invece endemica della Baja California Behria tenuiflora, unica specie del genere Behria, dedica dell'amico e collega Edward Lee Greene, curatore dell'erbario dell'Accademia delle scienze californiane fino al 1885, quindi primo professore di botanica all'università di Berkley. Con lui (come con Alice Eastwood che ne scrisse un commosso necrologio) doveva avere rapporti cordiali, se nella dedica Greene scisse: "Il genere è dedicato al nostro eccellente amico, il dr. H. Hermann Behr, professore di botanica della Facoltà di Farmacia dell'Università di California". Come ho accennato in questo post, la status del genere Behria, appartenente alla sottofamiglia Brodiaeoideae delle Asparagaceae, è discusso. Secondo alcuni studiosi va incluso nell'affine Bessera, ma i botanici dell'Università della Baja California, che studiano questo gruppo di piante da anni, ne sostengono l'indipendenza sulla base della distribuzione, della morfologia e dei dati molecolari. Infatti, mentre le quattro specie di Bessera si distribuiscono nel versante pacifico del Messico lungo la faglia vulcanica trans messicana, Behria è esclusiva dell'estremità meridionale della Baja California, dove è relativamente comune, crescendo dal livello del mare alla cima della catena montuosa, a circa 2200 metri d'altezza. Come le altre specie di questa sottofamiglia, è dotata di cormi, da cui emergono una o più foglie lineari e uno scapo che termina in un'infiorescenza a ombrella; tuttavia i fiori sono alquanto diversi: quelli di Bessera sono campanulati, con il tubo del perianzio che racchiude parzialmente l'ovario, quelli di Behria sono tubulari e il perianzio racchiude totalmente l'ovario. Come quelli di Bessera, anche i fiori di Behria sono vivacemente colorati, con tubo arancio vivo striato di giallo, e sono impollinati dal colibrì di Xantus Basilinna xantusii. In natura, fiorisce da settembre a febbraio, quando la temperatura si è fatta più fresca e può godere di un minimo di umidità. Piuttosto capricciosa e imprevedibile (può andare in dormienza anche per anni se non trova le condizioni giuste), è raramente coltivata nonostante la sua bellezza. Thad M. Howard in Bulbs for Warm Climates sostiene che in coltivazione tende a morire dopo un anno o due e conclude: "Forse è meglio lasciare questa specie al godimento dei colibrì della Baja California". Wilibald Besser e il giardino di Kremenc', ovvero come nacque, fiorì e fu distrutto un orto botanico10/11/2023 Fondato nel 1806, l'orto botanico del Liceo di Kremenec' fu il primo nel territorio dell'attuale Ucraina, e nell'arco di pochissimi anni si impose come uno dei più ricchi dell'intero impero russo. Merito dei suoi due creatori: il giardiniere paesaggista irlandese Denis McClair che lo progettò e il botanico austriaco Wilibald Besser che lo diresse per più di vent'anni e lo arricchì di migliaia di piante, native ed esotiche. Prima di arrivare a Kremenec', il giovane Besser aveva già all'attivo molte ricerche e un libro sulla flora della Galizia, e nei trent'anni che trascorse in Volinia e in Ucraina divenne uno dei maggiori esperti della flora delle regioni sudoccidentali dell'Impero russo. Il magnifico giardino che aveva fatto crescere con amore e sapienza durò meno di trent'anni e al povero Besser toccò l'ingrato compito di presiedere al suo smantellamento, atto di forza e di vendetta dell'imperialismo russo. A ricordarlo il bellissimo genere messicano Bessera. Antefatto: un liceo prestigioso e un orto botanico Nel 1803, lo zar Alessandro I autorizzò la fondazione di un istituto scolastico desinato alla formazione dei giovani della parte sud-orientale dell'ex Confederazione polacco-lituana, passata sotto il dominio russo con la spartizione del 1795, e ne affidò la realizzazione al pedagogista Tadeusz Czacki, importante esponente dell'illuminismo polacco, membro della Commissione d'educazione nazionale all'epoca dell'indipendenza e ora direttore dei distretti scolastici dei governatorati di Volinia, Podolia e Kiev. Czacki individuò il luogo ideale in Kremenec' (Krzemieniec in polacco) nella regione storica della Volinia, che offriva il vantaggio di non essere lontana dalla frontiera con la Galizia austriaca, da cui sperava di attirare studenti di lingua madre polacca. La scuola fu sistemata negli edifici del precedente collegio gesuitico e in un palazzo della famiglia Wiśniowiecki; offriva corsi dalle elementari alle secondarie e ammetteva anche allievi ebrei. Inizialmente fu chiamata Ginnasio della Volinia, per poi diventare dal 1819 Liceo di Kremenec'; ma il suo prestigio era tale che per molti era semplicemente l'"Atene della Volinia". Impartiva un insegnamento laico e aperto in lingua polacca e polacchi erano tutti i suoi insegnanti, ad eccezione di uno che presto conosceremo. Sovvenzionata da molti donatori, che vedevano nel liceo di Kremenec' un modo per preservare almeno l'eredità culturale della nazione polacca, cancellata e divisa dalle spartizioni, avendo potuto incorporare le collezioni dell'ultimo re di Polonia Stanislao Poniatowski, la scuola vantava una biblioteca di quasi 35.000 volumi, era ben dotata di attrezzature e forniva un vasto programma educativo che comprendeva anche l'insegnamento della lingua inglese ed offriva agli studenti migliori la possibilità di perfezionarsi a Edimburgo o in altre università britanniche. Il particolare legame con il mondo anglosassone era visibile in un altro dei fiori all'occhiello del prestigioso istituto: l'orto botanico. Fondato nel 1806, fu disegnato dal giardiniere paesaggista irlandese Denis McClair (1762-1853) e posto sotto la direzione dal primo docente di botanica del liceo, il polacco Franciszek Scheldt, che in precedenza aveva diretto l'orto botanico di Cracovia. L'avventurosa storia dell'uomo che importò in Polonia e in Ucraina il giardino paesaggistico all'inglese merita una piccola digressione. McClair era figlio di un fittavolo che, avendo partecipato alla Rivolta dei Whiteboys del 1777, fu condannato a morte; per salvarsi, fuggì e si arruolò prima nell'esercito prussiano poi in quello polacco dove fece una discreta carriera, divenendo maggiore di artiglieria. Nonostante la situazione difficile, il giovane Denis studiò botanica e scienze naturali all'Università di Dublino, poi si trasferì a Londra dove incominciò a lavorare come giardiniere, lavorando anche per il duca di Bedford. Dopo altre avventure, nel 1790 incontrò la principessa Izabela Lubomirska, venuta appositamente nella capitale inglese per ingaggiare un abile giardiniere paesaggista. Anche nella speranza di ritrovare il padre, McClair accettò il suo invito di seguirla in Polonia e, anche se non incontrò mai il genitore (questi nel frattempo aveva approfittato di un'amnistia e era ritornato in Irlanda, dove sarebbe morto in un'altra rivolta, quella del 1798), incominciò ad essere sempre più apprezzato dai committenti polacchi. Creò vari giardini sia a Varsavia sia in altre località polacche. In Volinia arrivò nel 1792, quando il principe Lubomirski gli affidò la realizzazione del parco "Palestina" a Dubno; nonostante fossero gli anni difficili che portarono alla terza spartizione della Polonia e all'annessione sia di questa regione sia della Podolia da parte della Russa, i grandi proprietari polacchi conservarono le loro terre e McClair - che in Polonia era diventato Dionizy Mikler - continuò a lavorare per loro; nell'arco di oltre trent'anni progettò una cinquantina di parchi nelle terre dell'attuale Ucraina occidentale. Tra di essi appunto l'orto botanico del Liceo di Kremenec', il più antico dell'Ucraina. Nel 1805 McClair ricevette da Czacki l'incarico di progettarlo, nel 1806 il giardino fu inaugurato, ma fu completato solo nel 1809; si estendeva su 4.5 ettari, comprendeva un parco all'inglese, un roseto, tre arancere, serre e le vere e proprie aiuole didattiche, con piante medicinali; nei primi tre anni della sua esistenza (1806-1809) conteneva 760 specie esotiche e 460 specie di flora locale, raccolte da McClair. Lo sappiamo dal primo catalogo del giardino, Catalogue des plantes du Jardin botanique de Krzemieniec en Volhynie, pubblicato nel 1810 dal vero protagonista di questa storia: il botanico e entomologo austriaco Wilibald Swibert Joseph Gottlieb von Besser (1784-1842). Dalla flora della Galizia a quella dell'Ucraina Senza una duplice disgrazia, il destino di Wilibald Besser sarebbe stato totalmente diverso. Nato a Innsbruck, nel 1797, quando aveva appena 13 anni, perse in un'epidemia entrambi i genitori, Samuel Gottlieb Besser e Josepha von Lansenhoffer; a occuparsi del piccolo orfano fu un parente della madre e suo padrino, il botanico Swibert Burkhard Schiverek (1741-1806). Questi, dopo aver insegnato per vari anni chimica e botanica all'università di Innsbruck (dove aveva posto mano a una Flora Tyrolensis, mai completata), in seguito alla soppressione di questa nel 1783, era stato trasferito all'Università di Leopoli di cui fu il primo professore di chimica e botanica. Egli prese con sé il ragazzo, lo fece studiare al Liceo di Leopoli e poi alla facoltà di medicina dell'Università, di cui era anche rettore. Soprattutto, gli trasmise la passione per le scienze naturali, in particolare per botanica e entomologia. Schiverek, più che insegnare ex cathedra, amava guidare i suoi studenti in escursioni sul campo. Lo aveva fatto a Innsbruck, lo faceva a Leopoli e lo avrebbe fatto a Cracovia, la sua terza sede, dove nel 1805, quando anche l'università di Leopoli venne chiusa, fu trasferito come curatore dell'orto botanico e direttore del dipartimento di storia naturale. Inutile dire che Besser (ora diciannovenne) era con lui. Purtroppo l'anno successivo Schiverek morì e Besser perse un secondo padre. Trovò però un altro validissimo maestro nel suo successore alla cattedra di botanica, Josef August Schultes. Se da Schiverek aveva assorbito l'amore per piante e insetti e aveva imparato come muoversi sul campo, con Schultes perfezionò la competenza tassonomica. Già a Leopoli, da solo o con l'aiuto di amici, aveva raccolto una vasta collezione di piante galiziane, che andava ad aggiungersi al notevole erbario ereditato da Schiverek, e a Cracovia lo ampliò ulteriormente grazie alle escursioni organizzate da Schultes, che toccarono anche i Carpazi. Notevolissima anche la sua collezione di insetti. Besser si laureò in medicina nel dicembre 1807 e quasi immediatamente fu assunto come assistente presso la Clinica universitaria di Cracovia. Benché fosse un bravo medico (esercitò la professione per tutta la vita ed era apprezzato dai suoi pazienti), la sua vera vocazione era la botanica. Così quando nel 1808 Czacki gli offrì la cattedra vacante di professore di botanicae zoologia e il posto di direttore dell'orto botanico del liceo di Kremenec' (Scheldt, il primo titolare, era morto nel 1807), egli non esitò ad accettare, nonostante le due condizioni poste dal governo russo e da Czacki: che egli prendesse la cittadinanza russa e si impegnasse a insegnare in polacco. Del resto, l'offerta era generosa. Prima di assumere il suo incarico a Kremenec', egli fu infatti inviato a Vienna e gli furono forniti i fondi per pubblicare un'opera sulla flora della Galizia austriaca, basata sulle raccolte proprie e di Schiverek (Primitia Florae Galiciae Austriacae utriusque in due volumi). In cambio, doveva attenersi alle precise istruzioni scritte di Czacki: praticare gli ambienti scientifici, acquistare libri aggiornati per la biblioteca del Liceo, contattare un artigiano cui commissionare modelli didattici di piante, frequentare la comunità polacca per perfezionare il suo polacco, che aveva appreso dal vivo vivendo in Galizia fin dall'adolescenza. Il soggiorno viennese duro quasi un anno, e permise a Bessere anche di approfondire gli studi di entomologia sotto la guida di Franz Anton Ziegler. Dopo questa fruttuosa parentesi, il giovane professore (aveva 25 anni) iniziò a svolgere i suoi compiti a Kremenec' nell'agosto 1809. Poiché si è conservato il programma delle sue lezioni, sappiamo che si teneva aggiornato sugli sviluppi della biologia (tra l'altro, illustrò ai suoi allievi le tesi di Lamarck) e che era attento alle relazioni tra piante e substrato, come dimostrano le sue lezioni su piante alofile come Salsola e Chenopodium. Si innamorò subito della varia vegetazione dei dintorni di Kremenec' e dedicò tutta la sua passione arricchimento dell'orto botanico. I progetti del suo predecessore Scheldt erano stati presto interrotti dalla malattia e dalla morte e probabilmente anche le collezioni di McClair gli parevano insufficiente, se questi nel 1811 questi fu inviato a procurarsi altre piante in un lungo giro in cui toccò San Pietroburgo, Danimarca, Finlandia, Svezia e Inghilterra. Grazie a questa ampia spedizione, le piante coltivate a Kremenec salirono a 2270 specie, come ci informa la seconda edizione del catalogo e i suoi supplementi, pubblicati da Besser tra il 1811 e il 1815. Finita la collaborazione con McClair nel 1811, Besser continuò ad incrementare le collezioni con scambi con altri orti botanici e con doni di appassionati e dei proprietari terrieri che finanziavano copiosamente il liceo. Riuscì anche ad ottenere dal conte Rumjancev le piante raccolte durante la spedizione Kotzebue. Nel 1830, alla vigilia della sua soppressione, il giardino misurava 20 ettari e ospitava 12000 piante. Quel gran numero si doveva anche alle raccolte dello stesso Besser che, come aveva fatto a Leopoli e a Cracovia, esplorò a fondo la flora prima dei dintorni della città e dei monti Kremenec', quindi estese sempre più il campo delle sue ricerche ce spaziarono dalla Polesia al mar Nero, dalla Volinia e dalla Podolia fino alla riva destra del Dnepr; in queste raccolte seppe anche coinvolgere tanto i suoi studenti quanto un gruppo di amici e appassionati, per i quali scrisse in polacco Przepisy do układania zielników ("Regole per la compilazione di un erbario" , Vilnius 1826). Il più attivo dei suoi collaboratori fu A. L. Andrzejowski, che divenne il suo assistente e lo accompagnò in molti viaggi, aiutandolo a raccogliere un ricchissimo materiale d'erbario, ampliato ed esteso anche grazie agli scambi con altri botanici. Besser non mancò di fare raccolte anche nei dintorni di Vilnius in Lituania, dove si era recato per confermare il titolo di dottore in medicina in modo da poter esercitare la professione in Russia; infatti al suo rientro ottenne l'incarico di medico cittadino di Kremenec', che andò ad aggiungersi all'insegnamento, alla direzione dell'orto botanico e all'attività scientifica. Nel 1821 pubblicò un articolo sulla flora di Vilnius; nel 1822 uscì la sua opera più importante (Enumeratio plantarum hucusque in Volhynia, Podolia, Gub. Kiioviensi, Bessarbia Cis-Tyraica et circa Odessam collectarum), dedicata alle piante raccolte nel corso dei suoi viaggi nelle regioni sud-occidentali dell'Impero russo; nel 1834 il più breve saggio Über die Flora des Baikal. Tra il 1832 e il 1834, a Besser toccò il più doloroso dei compiti: liquidare lo splendido giardino cui aveva dedicato tanto amore e tanti sforzi. Dopo la morte di Alessandro I, che lo aveva favorito e protetto, il Liceo di Kremenec' cominciò a declinare e ad attirare i sospetti del rigido successore Nicola I, che vi vedeva sempre più un covo della resistenza polacca al dominio russo. Così la rivolta polacca, iniziata nel novembre 1830, segnò la fine dell'Atene della Volinia. Il liceo venne chiuso e nel 1834 la biblioteca e molti professori vennero traferiti all'ateneo di Kiev, contestualmente fondato dallo zar. Tra di loro c'era anche Besser, primo titolare della cattedra di botanica. Ma prima di trasferirsi nella capitale ucraina, dovette presiedere allo smantellamento dell'orto botanico; nel 1832 il giardino fu chiuso e fu decretato il trasferimento delle piante più preziose a Kiev. Espiantate, imballate e preparate secondo le indicazioni di Besser, circa 500 piante lasciarono Kremenec' in un lungo convoglio di carri sotto scorta militare, come si faceva per i deportati e i condannati. Per i polacchi, era uno sfregio e un gesto di vendetta, tanto più che a Kiev non c'era alcun orto botanico ad accoglierle. Così esse furono temporaneamente sistemate nel giardino imperiale. Per la nascita ufficiale dell'orto botanico dell'Università di Kiev si dovette attendere il 1839, ma a occuparsi del trapianto delle esuli di Kremenec' non fu Besser. Egli infatti rimase a Kiev solo tre anni, dal 1834 al 1837. Era sempre stato un grande lavoratore, ma il compito di creare dal nulla il dipartimento di botanica comportò un super lavoro che finì per minare la sua salute; inoltre, mentre parlava fluentemente polacco, non conosceva il russo ed era costretto a fare lezione in latino. Così nel 1837 diede le dimissioni e tornò nell'amata Kremenec', dove sarebbe morto nel 1842. Prima di lasciare Kiev, donò la sua vasta collezione di insetti all'università che, dopo la sua morte, avrebbe acquistato dalla vedova il suo vastissimo erbario e la sua notevole biblioteca. Besser dedicò gli ultimi della sua vita principalmente agli studi tassonomici, campo in cui era così reputato che l'orto botanico di Berlino chiese il suo aiuto per la classificazione di generi controversi; era uno specialista di Asteraceae ed in particolare di Artemisia, cui dedicò otto monografie che molto contribuirono a chiarire questo difficile genere, tanto che de Candolle adottò quasi integralmente la sua sistemazione nel Prodromus. Forse vi piacerà scoprire che l'orto botanico di Kremenec' esiste di nuovo: nel 1990, alla vigilia dell'indipendenza, il Consiglio dei Ministri dell'Ucraina decretò la ricostruzione del giardino, anche se i lavori veri e propri iniziarono nel 2001 quando esso passò sotto la gestione del Ministero dell'ecologia e delle risorse naturali dell'Ucraina. Certo, con le sue 2000 specie e varietà è ben lontano dalle passate glorie, ma è comunque una realtà importante, con un arboreto di oltre 200 specie, una collezione di piante native, undici delle quali elencate nella lista rossa delle piante in pericolo da salvare, e diversi dipartimenti scientifici che riprendono la tradizione interrotta di Besser. Il giardino - che, com'era un simbolo della resilienza polacca a inizio '800 ora è un simbolo dell'identità e dell'orgoglio nazionale ucraino - non dimentica i suoi due fondatori: Besser è ricordato da un monumento, McClair da un cippo commemorativo; nel nome di quest'ultimo è in atto un progetto di collaborazione con diversi partner irlandesi, tra cui l'orto botanico nazionale di Dublino, ed è stato realizzato un "angolo irlandese" con specie provenienti dalla sua patria. Bessera, una fantasmagoria di colori Autorevole esponente della comunità scientifica tanto germanica quanto russa, Besser fu membro tra l'altro della Società imperiale dei naturalisti di Mosca, della Società medica imperiale di Vilnius, dell'Accademia Leopoldina e, come socio corrispondente, della Royal Society e dell'Accademia Imperiale delle Scienze di San Pietroburgo. Nel 1828 fu ammesso alla nobiltà del Governatorato di Volinia e aggiunse al cognome l'ambita particella von. Ad attestare la stima in cui era tenuto è anche la quadruplice dedica di un genere Bessera: in ordine cronologico troviamo infatti nel 1809 Bessera (Boraginaceae) da parte del suo maestro Josef August Schultes, oggi sinonimo di Pulmonaria; nel 1815 da parte di K.P.J. Sprengel Bessera (Phyllanthaceae), sinonimo di Flueggea; nel 1829 Bessera (Nyctaginaceae) da parte del brasiliano Vellozo, sinonimo di Guapira, e Bessera (Asparagaceae) da parte di Julius Hermann Schultes, figlio di Josef August. Poiché per un motivo o l'altro le altre denominazioni sono illegittime, a essere valido è quest'ultimo. Ne era ben consapevole Schultes junior che creò questo genere sia per rispettare la volontà paterna, sia per evitare che un botanico tanto stimabile rimanesse privo di un genere celebrativo; nella dedica, sotto forma di lettera a D.F.L. von Schlechtendal, egli infatti scrive: "Poiché il genere Bessera fondato da mio padre non è stato accettato e quello di Sprengel è stato emendato dallo stesso autore, ho creato un nuovo Bessera in onore del dottore e professor Besser, ottimo amico di mio padre e benemerito dello studio delle piante, come è noto a te e a tutti i botanici". Non scelse una pianta a caso, ma una specie di grande bellezza (Schultes la definisce pulchra "bella") appena giunta dal Messico, Bessera elegans. Oggi a questo piccolo genere di geofite tuberose sono assegnate quattro-cinque specie, tutte endemiche del Messico. Come Brodiaea, di cui ho scritto in questo post, appartiene alla sottofamiglia Brodiaeoideae delle Asparagaceae. Fino a pochi anni fa, le specie riconosciute era solo due: appunto B. elegans, con una vasta distribuzione nel versante pacifico del Messico (dal Sinaloa al Durango nella Sierra Madre Occidental, alla parte meridionale del Deserto di Chihuahua e alla Sierra Madre del Sur nell'Oaxaca), e B. tuitensis, un endemismo della Sierra de El Cuale nello stato di Jalisco. Nel 2021, lo studio di 21 popolazioni di B. elegans e delle loro variazioni morfologiche ha portato all'individuazione di altre due specie, B. ramirezii e B. elegantissima. Incerto è invece lo status di una eventuale quinta specie, B. tenuiflora. a seconda se si include o meno in Bessera il genere Behria. Plants of the World on line sposa la prima posizione e denomina questa specie Bessera tenuiflora, mentre il sito della Pacific Bulb Society, sulla base degli studi dei botanici dell'Università di La Paz in Baja California, mantiene separati i due generi e riporta la specie come Behria tenuiflora. Si tratta della posizione più convincente a cui mi atterrò anch'io. Le Bessera posseggono cormi rivestiti da uno strato membranoso di minute fibrille, da cui emergono strette foglie lineari e lunghi scapi che terminano con un'ombrella di eleganti fiori penduli a campana dai colori vividi: le corolle sono rosso rubino in B. elegans, rosso chiaro, scarlatto, viola, magenta o fucsia in B. elegantissima, da rosa a lilla in B. tuitensis, viola scuro in B. ramirezii. Ma i colori non finiscono qui: in B. elegans il tubo è bianco e il pistillo, racchiuso tra lunghi filamenti rossi, è viola, mentre il polline è grigio. Questa fantasmagoria di colori e la forma dei fiori ci dicono che queste bellissime piante sono impollinate dai colibrì. Solo i cormi di B. elegans (in inglese la chiamano molto giustamente coral drops, gocce di corallo) sono talvolta disponibili da noi; poiché non è rustica e va mantenuta rigorosamente asciutta durante il riposo vegetativo, è consigliabile la coltivazione in vaso. Altre informazioni nella scheda. Secondo il folklore locale, è nella brulla brughiera di Brodie che Banco e Macbeth incontrarono il loro destino sotto forma di tre streghe. Poco lontano sorge il castello di Brodie, oggi gestito dal National Trust e famoso per la collezione di narcisi del suo giardino. Fino a qualche anno fa, era la sede ufficiale dei capi del clan Brodie; tra la seconda metà del Settecento e il primo Ottocento, il ruolo fu ricoperto da James Brodie, uomo politico non indimenticabile e botanico dilettante appassionato di crittogame nonché corrispondente di James Edward Smith e William Jackson Hooker. Tutto sommato, non indimenticabile neppure come botanico. Eppure l'amico Smith gli dedicò il grazioso genere Brodiaea: per meriti reali? per amicizia? per un intrigo di cui non sappiamo quanto il gentiluomo scozzese fosse consapevole? In ogni caso caso, a torto o a ragione, è questo il nome che la comunità scientifica riconosce. Prevalentemente californiano, e spesso confuso con l'affine Triteleia, offre fiori bellissimi che prolungano la stagione delle bulbose. Un gentiluomo scozzese, tra politica e passione botanica In una seduta della Linnean Society dell'aprile 1808, il presidente James Edward Smith lesse la descrizione di un nuovo genere, denominato Brodiaea in onore di James Brodie, un gentiluomo i cui meriti, secondo lui, non richiedevano una particolare spiegazione. Per lui e per i membri della Society (di cui anche Brodie faceva parte) sarà stato così; ma non per noi, visto che il personaggio in questione non pubblicò nulla e della sua attività come botanico rimangono solo tracce sparse nella corrispondenza di botanici più illustri e qualche esemplare da lui raccolto nell'erbario dell'orto botanico di Edimburgo. James Brodie, o meglio James Brodie of Brodie (1744-1824), era il 21° capo del clan Brodie. Apparteneva a un ramo cadetto e a 15 anni ereditò inaspettatamente il titolo e la tenuta in seguito alla morte in giovane età del 20° capo, il secondo cugino Alexander; questi era figlio del membro forse più illustre della famiglia, il 19° capo Alexander Brodie of Brodie, che sedette alla Camera dei Comuni per 34 anni come sostenitore del governo e per 27 anni fu Lord Lyon King of Arms, il grado più basso dei grandi ufficiali di stato della Scozia, con il compito di regolamentarne l'araldica. Questo grande personaggio viveva al di sopra dei suoi mezzi, sicché James Brodie con il titolo ereditò una tenuta fortemente gravata da debiti e per tutta la vita dovette fare i conti con una situazione finanziaria difficile. Né lo aiutò il matrimonio con Lady Margareth Duff, sorella del conte di Fife, una delle figure dominanti della Scozia nord orientale, contrario al matrimonio. Anzi, Brodie si schierò con gli oppositori di Fife, tra i quali troviamo anche il fratello minore Alexander che, entrato al servizio della Compagnia delle India, al contrario di lui fece fortuna in India. Grazie a lui, James Brodie entrò in contatto con Henry Dundas, il braccio destro di William Pitt, con il sostegno del quale a partire dal 1794 fu eletto alla Camera dei comuni come rappresentate dell'Elginshire. Vi sedette per tre successivi mandati fino al 1807; sembra che non fosse molto assiduo e non prese la parola nemmeno una volta. Era per lo più schierato con il governo, ma non senza ambiguità. Insomma, una carriera politica tutt'altro che brillante, dovuta al fratello ricco (a sua volta deputato) e ad amici influenti. A Londra preferiva la Scozia, dove ebbe anche incarichi militari come tenente colonnello della milizia di Ross, e soprattutto alla politica preferiva le scienze naturali, cui probabilmente sia era accostato negli anni degli studi, prima alla Elgin academy, poi all'università di Saint Andrews. Si specializzò nelle crittogame (alghe, felci, muschi) e scoprì un certo numero di nuove specie sia nei dintorni di Edimburgo sia nella sua tenuta di Brodie. Qui aveva una discreta biblioteca, un gabinetto di curiosità e un erbario; su una delle torrette del castello fece installare un telescopio. Condivideva volentieri le sue scoperte ed corrispondeva con diversi eminenti botanici del tempo, tra cui appunto James Edward Smith e William Jackson Hooker. In English Botany Smith lo cita per Pyrola uniflora (oggi Moneses uniflora), di cui fu il primo a raccogliere un esemplare nelle isole britanniche, e per Ulva defracta, un'alga "trovata sulla costa orientale della Scozia dal nostro liberale corrispondente James Brodie"; in Flora scotica Hooker lo cita per una decina di alghe raccolte nel Firth of Forth e in altre località scozzesi. Nel 1795 Brodie fu ammesso alla Linnean Society e nel 1797 alla Royal Society. La sua vita personale fu funestata da due tragedie: nel 1786 la moglie morì in un incendio a Brodie House; nel 1801 il figlio maggiore James, che si trovava in India al servizio della Compagnia delle Indie, morì annegato in seguito al ribaltamento di un battello nei pressi di Madras. James Brodie morì nel 1824 all'età di 79 anni. Una parte del suo erbario è conservata all'Orto botanico di Edimburgo; si tratta di un'ottantina di esemplari, per lo più di piante palustri, in gran parte carici. Una denominazione intricata Come ho anticipato, questo botanico dilettante è entrato nel gotha dei dedicatari di un genere botanico grazie all'amico e corrispondente James Edward Smith, che istituì il genere Brodiaea con queste parole: "Poiché queste piante formano indubbiamente un nuovo genere delle Liliaceae, o ordine patrizio, l'ho chiamato Brodiaea, per James Brodie della Britannia settentrionale, un gentiluomo i cui meriti scientifici, le cui varie scoperte, le cui generose comunicazioni in ogni occasione utile a illuminare la botanica soprattutto del suo paese, non richiedono una elaborata spiegazione per i membri della Linnean Society". Non si trattava però di una specie scozzese. Esemplari della futura Brodiaea furono raccolti per la prima volta nel 1792 nei pressi dello Strait of Georgia da Archibald Menzies, il botanico della Spedizione Vancouver. Nel 1807, nella sua An introduction to physiological and systematical botany, Smith fece riferimento a quello che già riteneva un nuovo genere per sostenere che i tepali delle liliacee sono sepali piuttosto che petali; però non gli diede un nome. La prima descrizione formale di una specie del genere fu pubblicata all'inizio dell'anno successivo da Richard Salisbury in Paradisus Londinensis come Hookera coronaria (in onore dell'illustratore William Hooker e non del botanico William Jackson Hooker). Immediatamente dopo Smith chiamò Hookeria un genere di muschi e appunto nell'aprile 1808 lesse la descrizione del genere Brodiaea alla Linnean Society; per la pubblicazione a stampa nelle Transactions si dovette aspettare il 1810. Stando alle regole della priorità, Hookera Salisb. dovrebbe essere il nome accettato, mentre Brodiaea e Hookeria (troppo simile a Hookera) dovrebbero essere respinti, Sarebbe così, se Salisbury non fosse stato il paria della botanica in seguito al fattaccio con Robert Brown; l'establishment botanico accettò i nomi di Smith e respinse quello di Salisbury. Secondo George Boulger, le mosse di Smith furono deliberatamente intese a privare il rivale - che detestava ferocemente - della paternità del nuovo genere, e riuscì pienamente nel suo intento. Da allora Hookera Salisbury è nomen rejiciendum, Brodiaea Sm. nomen coservandum. Unica parziale vittoria di Salisbury il successivo ripristino dell'epiteto in base alla legge della priorità: Brodiaea grandiflora Sm. oggi si chiama ufficialmente Brodiaea coronaria (Salisb.) Jeps. Chissà se James Brodie era al corrente dell'intrigo; è possibile, visto che proprio in una lettera rivolta a lui Smith definì Salisbury "quel rettile", e precisò "più calpesti uno str...o più puzza". Da parte mia, temo che la dedica a Brodie sia più giustificata dall'amicizia e forse dalla complicità (dopo tutto lo scozzese era un politico di lungo corso non alieno da manovre e camarille) più che da meriti che "non richiedono una elaborata spiegazione". Fiori azzurri dalla California Lasciamo da parte questa vicenda decisamente squallida per passare al bellissimo genere Brodiaea, anche se, oltre al suo nome, ha fatto discutere anche la sua collocazione tassonomica. Smith lo collocò "indubitabilmente" nelle Liliaceae, e i botanici successivi ora nelle Liliaceae, ora nelle Alliaceae, ora nelle Amaryllidaceae. Unico bastian contrario, ancora Salisbury che pensava che appartenesse a una famiglia propria, che egli stesso istituì e denominò Themidaceae (dal genere monotipicoThemis rappresentato unicamente da T. ixioides). Solo verso la fine del Novecento con gli studi filogenetici molecolari è emerso con chiarezza che a vederci giusto era stato proprio Salisbury (magari rettile, ma di certo grande botanico). Di conseguenza, nel 1996 la famiglia Themidaceae venne ripristinata; più di recente, è passata al rango di sottofamiglia delle Asparagaceae con il nome Brodiaeoideae. La sottofamiglia, di cui Brodiaea è ora il genere tipo, comprende 12 generi di erbacee perenni diffusi unicamente lungo la costa pacifica dell'America settentrionale, dal British Columbia al Guatemala; i due più grandi sono Triteleia (16 specie) e Brodiaea (18 specie) che sono anche quelli più comunemente coltivati nei giardini. Tratti comuni a tutta la sottofamiglia sono il cormo amidaceo che si rinnova ogni anno a partire da quello vecchio; le foglie lineari, talvolta carnose; i fiori bisessuali, con 6 tepali in due giri di tre, raccolti in infiorescenze ad ombrella; 6 stami fertili o 3 stami alternati a 3 staminoidi; ovario supero triloculare; frutto a capsula che si apre lungo le suture dei carpelli; semi ricoperti da uno strato duro di colore nero. Poiché i confini tra i diversi generi della sottofamiglia non sono netti e Brodiaea fu il primo ad essere stabilito, in passato ne hanno fatto parte molte specie via via trasferite in altri generi; è il caso anche diTriteleia laxa, la specie più coltivata dell'intero gruppo, che è spesso ancora commercializzata sotto il sinonimo Brodiaea laxa, tanto che per molti è la Brodiaea per antonomasia anche se da tempo non appartiene più a questo genere. Non di rado sono commercializzate come Brodiaea anche le specie e gli ibridi di Dichelostemma. Themis non esiste più e T. ixioides, dopo essersi chiamata tra l'altro Brodiaea ixioides, è ora Triteleia ixioides. Brodiaea è presente lungo la costa pacifica dell'America settentrionale dal British Columbia alla Baja California, con centro di diversità nella California settentrionale. Alcune specie endemiche della California si sono adattate a suoli con particolare composizione chimica, hanno limitata diffusione e sono a rischio di estinzione. Diverse sono coltivate come piante da giardino, apprezzate sia per il raro colore azzurro delle corolle sia perché prolungano la stagione di fioritura delle bulbose primaverili; infatti, più che in primavera tendono a fiorire all'inizio dell'estate. In primavera dal cormo emergono da una a sei foglie lineari. Solitamente ogni cormo produce un singolo scapo fiorale privo di foglie che porta alla sommità un'infiorescenza a ombrella, composta di fiori a stella con sei tepali azzurri o viola, congiunti alla base a formare un tubo con sei lobi liberi alla gola, i tre esterni più stretti dei tre interni. La maggior parte delle specie presenta tre stami fertili e tre staminoidi simili a piccoli petali, ciascuno opposto a uno dei tepali esterni. E' questa la caratteristica più distintiva del genere, che lo distingue tra l'altro da Triteleia che invece possiede sei stami fertili. Da Dichelostemma invece si distingue per lo scapo diritto anziché ricurvo e per l'ombrella aperta anziché densa e compatta. Le specie più frequentemente coltivate sono Brodiaea californica, la più grande, con corolle a calice stellato in colori che variano dal bianco al lavanda e occasionalmente al rosa; B. coronaria (sin. B. grandiflora), con corolle a campana dai petali ricurvi, da blu a viola a rosa porpora; B. elegans, con tepali blu-violetto che contrastano con gli staminoidi bianchi. Altre informazioni nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2024
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